Dalle Satire (Alfieri, 1912)/Satira Sesta. L'Educazione
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Satira Sesta.1
L’Educazione.
.....Res nulla minoris Constabit patri, quam filius. |
Juven., Sat. v. 187.2 |
Pel padre omai la minor spesa è il figlio. |
Signor Maestro, siete voi da Messa?3 —
Strissimo sí, son nuovo celebrante.4 —
3 Dunque voi la direte alla Contessa.
Ma, come siete dello studio amante?
Come stiamo a giudizio?5 i’ vo’ informarmi
6 Ben ben di tutto, e chiaramente, avante. —
Da chi le aggrada faccia esaminarmi.
So il Latino benone: e nel costume
9 Non credo ch’uom nessun potrà tacciarmi.6 —
Questo vostro Latino è un rancidume.7
Ho sei figli: il Contino è pien d’ingegno,8
12 E di eloquenza naturale un fiume.
Un po’ di pena per tenerli a segno
I du’ Abatini e i tre Cavalierini
15 Daranvi; onde fia questo il vostro impegno.
Non me li fate uscir dei dottorini:9
Di tutto un poco parlino, in tal modo10
18 Da non parer nel mondo babbuini:11
Voi m’intendete. Ora, venendo al sodo,12
Del salario parliamo. I’ do tre scudi;13
21 Che tutti in casa far star bene io godo. —
Ma, Signor, le par egli? a me, tre scudi?
Al cocchier ne dà sei. — Che impertinenza!
24 Mancan forse i Maestri, anco a du’ scudi?
Ch’è ella in somma poi vostra14 scïenza?
Chi siete in somma voi, che al mi’ cocchiere
27 Veniate a contrastar la precedenza?
Gli è nato in casa, e d’un mi’ cameriere;
Mentre tu sei di padre contadino,15
30 E lavorano i tuoi l’altrui podere.
Compitar,16 senza intenderlo, il Latino;
Una zimarra, un mantellon talare,17
33 Un collaruccio sudi-cilestrino,18
Vaglion forse a natura in voi cangiare?
Poche parole: io pago arcibenissimo:
36 Se a lei non quadra,19 ella è padron d’andare. —
La non s’adiri, via, caro Illustrissimo:20
Piglierò scudi tre di mensuale:21
39 Al resto poi provvederà l’Altissimo.22
Qualche incertuccio23 a Pasqua ed al Natale
Saravvi, spero: e intanto mostrerolle
42 Ch’ella non ha un Maestro dozzinale.24 —
Pranzerete con noi; ma al desco molle25
V’alzerete di tavola: e s’intende
45 Che in mia casa abiurate il velle e il nolle.
Oh ve’! sputa Latin chi men pretende:
Cosí i miei figli tutti (e’ son di razza)26
48 Vedrete che han davver menti stupende.
Mi scordai d’una cosa: la ragazza27
Farete leggicchiar di quando in quando;
51 Metastasio, le ariette; ella n’è pazza.
La si va da se stessa esercitando:
Ch’io non ho il tempo e la Contessa meno:
54 Ma voi gliele verrete interpretando,
Finché un altro par d’anni fatti sieno;28
Ch’io penso allor di porla in monastero,
57 Perch’ivi abbia sua mente ornato pieno.29
Ecco tutto. Io m’aspetto un magistero30
Buono da voi. Ma, come avete nome? —
60 A servirla, Don Raglia da Bastiero.31 —
Cosí ha provvisto il nobil Conte al come
Ciascun de’ suoi rampolli un giorno onori
63 D’alloro pari al suo le illustri chiome.
Educandi, educati, educatori
Armonizzando32 in sí perfetta guisa,
66 Tai ne usciam poscia Italici Signori
Frigio-Vandala stirpe, irta e derisa.33
Note
- ↑ Questa satira fu, secondo l’autografo laurenziano, incominciata il 5 decembre 1795, e finita tre giorno dopo.
- ↑ Nel 1777 l’A. aveva letto per la prima volta le satire di Giovenale; e vi ritornò con piú amore, tentandone anche la traduzione in terza rima, nel 1790 (Aut., IV, 5° e 20°).
- ↑ 1. Signor Maestro, chiede il Conte all’istitutore che si è presentato per entrare al suo servizio, avete voi pronunciati i vóti, potete voi dire la messa?
- ↑ 2. Strissimo, aferesi per illustrissimo; frequente nel dialetto veneziano. — Son nuovo celebrante: ho pronunciati i vóti or ora.
- ↑ 5. A giudizio, a criterio.
- ↑ 9. Tacciarmi, accusarmi.
- ↑ 10. Un rancidume, una cosa caduta in discredito, e anche inutile.
- ↑ 10-11. Il Contino è il maggiore dei figli del Conte, al quale, per la legge del maiorascato, spettava il titolo paterno, e la massima parte dei beni. — Il Parini (Mattino, 227 segg.):
... A voi, divina schiatta,
Vie piú che a noi mortali, il ciel concesse
Domabile midollo entro al cerèbro
Sí che breve lavor basta a stamparvi
Novelle idee. In oltre a voi fu dato
Tal de’ sensi e de’ nervi e degli spirti
Moto e struttura, che ad un tempo mille
Penetrar puote e concepir vostr’alma
Cose diverse, e non però turbarle
O confonder giammai, ma scevre e chiare
Ne’ loro alberghi ricovrarle in mente. - ↑ 16. Dei dottorini, dei saputelli. «I miei parenti», scrive l’A. al cap. 2° dell’ep. I dell’Aut., «erano anch’essi ignorantissimi, e spesso udiva loro ripetere quella rituale massima dei nostri nobili d’allora; che ad un signore non era necessario di diventare un dottore».
- ↑ 17. Sieno capaci di parlare superficialmente di tutto, sí da far buona figura in società. Anche il Giovin Signore del Parini ciangotta il francese, studia il violino, è circondato da un nuvolo di maestri, sicché
Il vulgo... a cui non dessi il velo- Aprir de’ venerabili misteri
- Fie pago assai, poiché vedrà sovente
- Ire e tornar dal suo palagio i primi
- D’arte maestri, e con aperte fauci
- Stupefatto berrà le sue sentenze.
- ↑ 18. I babbuini sono una specie di scimmie; qui vale quanto stupidi.
- ↑ 19. Al sodo: quello, adunque, di cui si è parlato fino ad ora è di poca importanza; ciò che preme è il salario.
- ↑ 20. Tre scudi, circa quindici lire; e il Conte ha il coraggio di dire che a casa sua fa star tutti bene! Avaro non solo, ma vanaglorioso.
- ↑ 25. Vostra, di voi educatori.
- ↑ 29. Si noti il passaggio dal voi al tu; non il tu confidenziale, ma dispregiativo; a cui succede il lei arrogante del v. 36°.
- ↑ 31. Compitare, balbettare, leggere malamente, e non intendere quello che malamente si legge.
- ↑ 32. La zimarra è la lunga cappa dei preti. — Talare, sacerdotale.
- ↑ 33. Sudi-cilestrino, di color celeste-sudicio.
- ↑ 36. Non quadra, non piace.
- ↑ 37. Non una parola di risentimento nel povero maestro; è proprio vero che altri accetterebbe l’impiego anche a due scudi, quindi, non rimane che piegare la testa.
- ↑ 38. Mensuale, nome che vale quanto stipendio mensile.
- ↑ 39. L’Altissimo, Iddio.
- ↑ 40. Qualche incertuccio, qualche piccola mancia, qualche solderello di piú.
- ↑ 42. Dozzinale, ordinario, da averne una dozzina con poca spesa.
- ↑ 43. Mangiare a desco molle vuol dire mangiare senza tovaglia, e la Crusca ne cita esempi di ottimi scrittori; qui vuol dire l’A.: quando il pranzo è terminato, quando si leva la tovaglia, e incomincia la conversazione.
- ↑ 45-47. Il velle e il nolle: il volere e il non volere. A queste due parole latine si riferiscono i versi che seguono: dopo averle pronunciate, il Conte ci ripensa e, compiacendosene, dice: io che non la pretendo in latino, so sfoggiare, al bisogno, le mie brave parole di questo linguaggio; già, in casa nostra siamo tutti geni.
- ↑ 49. Non sono solamente sei maschi da istruire per quindici lire mensili; c’è anche la Signorina, ma il Conte lo dice ora che l’affare è concluso. — Le ariette, quelle che chiudono le scene piú importanti dei drammi metastasiani, e che davano tanto ai nervi all’A. (Aut., II, 4).
- ↑ 55. Fatti sieno, sieno trascorsi: anche nell’Aut. — (II, 5°): «con cui si era fatta la gioventú».
- ↑ 57. E per lasciarvela. A chi non apparisce a questo punto dinanzi alla memoria l’immagine della Monaca di Monza, la cui sorte era, prima ancòra ch’ella nascesse, irrevocabilmente stabilita? — Ornato pieno, piena coltura.
- ↑ 58. Magistero, insegnamento.
- ↑ 60. Il nome e il cognome di questo istitutore sono, mercé una lepidezza di poco buon gusto, abbastanza trasparenti, perché vi sia bisogno di spiegarne il significato. Può darsi che, nel foggiare il tipo di Don Ralia, l’A. avesse in mente quel Don Ivaldi, prete ignorantuccio, del quale discorre nei primi capitoli dell’Autobiografia, e di cui si ricordava però con affetto molti anni dopo, se ne chiedeva premurosamente notizie alla madre (lett. del 13 dic. 1790); ma con maggiore probabilità gliene prestarono i colori le qualità negative dei tanti maestri con cui ebbe che fare in casa e fuori di casa. Carlo Porta ha, nella larga schiera dei personaggi che vivono nelle sue poesie di vita immortale, un tipo che ricorda quello di Don Ralia da Bastiero: Don Ventura, il cappellano prescelto dalla Marchesa Travasa.
- ↑ 65. Armonizzando, andando perfettamente d’accordo.
- ↑ 67 Frigio-Vandala; i Frigi ebbero fama di effeminati, d’imbelli; i Vandali sono rimasti famosi per la loro barbarie: irta, incivile, rozza. Si noti da ultimo che l’A. dice usciam (v. 66), comprendendo anche se stesso nel numero di quelli che erano stati rovinati da siffatti maestri, cui sceglieva l’ignoranza e l’avarizia dei genitori.