Dalle Satire (Alfieri, 1912)/Satira Quinta. Le Leggi

Satira Quinta. Le Leggi

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Satira Quinta.1

Le Leggi.

«Le Leggi son; ma chi pon mano ad esse?»2
Cosí esclamava il mio divin Poeta;3
3 Ed io ’l ripeto con sue voci stesse.
Ma un po’ di giunta a quel sovran Pianeta
Farò, se ho tanto polso,4 comentando;
6 Io, trista coda di sí gran Cometa.
Le Leggi (egregio nome venerando)
Parmi sien quelle, a cui libero senno
9 Di pochi o d’uno dié ’l sovran comando.5
Leggi son, quando a niuno obbedir denno:6
L’altre cui stampa Onnivolere7 insano,
12 Che al volere dei piú non fa pur cenno,8
Son di Leggi un sinonimo profano
Che dei regnanti giace sotto a’ piedi;
15 E ad esse, sol per nuocer, si pon mano.
Della Chiosa e del Testo in un mi vedi
Sbrigato: or supplirò, Lettor, col mio,9
18 Se d’udïenza alquanto mi concedi.
Silogizzando con severo brio
Vengo ad espor le non-giustizie10 tante,
21 Per cui paghiam del servir nostro il fio.
Chi può tutto, vuol tutto: indi alle sante
Eque leggi dell’uomo primitive
24 L’util proprio privato ei manda innante.11
Le costui leggi adunque in sangue scrive
La Ingiustizia, che ascosa in bianco velo12
27 Le virtú vere tacita proscrive.

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Le avvampa in volto, il so, mentito zelo
Del comun pro; ma il lagrimoso effetto
30 N’è il comun danno: ond’io son reo, se il celo.
Por mente vuolsi all’opra e non al detto.
Quai che i Governi sien, legizzan13 tutti:
33 Ma nei liberi il Buono ha sol ricetto.
Viltà, doppiezza, e crudeltà, son frutti
Cui la impudente tirannía germoglia,14
36 Madrigna ai Buoni e piú che madre ai Brutti.15
Quindi i leggi-passivi audace spoglia
Il Sopra-leggi a suo talento, e ride
39 Della impotente omai pubblico doglia.16
Satollo ei poscia, il soprappiú divide
Tra i Satelliti suoi leggi-gridanti17
42 Contro chi un Cervo od un Fagian gli uccide.
Animali son questi sacrosanti,
Nati a immolarsi da regnante destra,
45 O al piú dai regi sempiterni infanti.18
Fera inflessibil legge t’incapestra,19
Se osasti insano o con piombo o con ferro
48 Fare in tai bestie elette empia fenestra:20
Ma se ad altr’uom, col fello animo sgherro,
Da tergo, a tradimento, hai dato morte,
51 Spera: appo i Re fia remissibil erro.21
Né il mio dire oltre il ver qui paja forte:
D’Italia parlo, di delitti or madre,
54 Cui forza è ch’io giustizia o infamia apporte.22
Due sono, Itali miei, l’opre leggiadre,23
Ch’or vi fan noti: timorosa pace,24

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57 E ognor di sangue pur vostre terre adre.25
Ma il miser uom che assassinato giace,
Dall’assassino io già nol tengo spento,
60 Bensí dal vile regnator rapace.
L’impunità del sozzo tradimento
Qui si dona o si vende a prezzo vile
63 Dai rei Pastori dell’Ausonio armento:26
E sian Re, sian Magnati, o Prete umíle,
Che degl’Itali squarci27 abbin l’impero,
66 Concordan tutti in lasciar far lo stile.28
Il portar armi hanno inibito, è vero;
Ma non l’usarle in proditoria guisa:
69 Legge morta è piú infamia e danno mero.
Là spirar veggio atrocemente uccisa
Dal marito la moglie addormentata;
72 Eppur salvarsi l’uccisor divisa:29
E asilo trova, e di pietà malnata
Sotto l’ali ei s’appiatta, e piange e paga,
75 Finché appien l’empia30 Temi egli ha placata.
Qui veggo (io raccapriccio) infame piaga
Farsi dal figlio nel paterno cuore;
78 Empietà, d’ogni empiezza e orror presaga.31
Ma il percussor forse percusso32 ei muore?
No: mentecatto è il misero omicida...
81 Ricco, aggiungi: e l’Italia abbia il su’ onore.33
Vendetta invan qui contro l’oro grida:
Prezzo ha ’l sangue34 fra noi: può l’uom con l’oro
84 Matto esser finto, e vero parricida.

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Matto è davver chi aspetta omai ristoro
D’alcun suo danno in cosí rei governi,
87 Che quanto han piú misfatti han piú tesoro.35
Ma, chi fia che l’aspetti? agli odj eterni
Con sangue e stragi Nemesi soccorre;
90 E il tuo tradir sul tradir d’altri imperni.36
Ai pugnali i pugnali contrapporre
Lascian gli empi Re Veneti,37 con arte,
93 Per meglio a sé il lor gregge sottoporre.
L’assïoma «Ben domina chi parte»,38
D’ogni assoluto e imbello regno base,
96 Quivi è piú sacro che le Sacre Carte.39
Quivi ogni cuor sanguinolenta invase
La prepotente Codardía, che svena
99 Quei ch’han le ciglia, men di audacia rase.40
Vili impuniti Signorotti han piena
Di scherani lor Corte, e uccider fanno
102 Chi sott’essi non curva e testa e schiena.
E battiture anco tra lor si danno,
Ma oblique41 ognora, né in persona mai;
105 Che l’armi a faccia a faccia oprar non sanno.
Almo rimedio a sí selvaggi guai,
Vien poscia in senatoria maestà
108 Luce spiccata dagli Adriaci rai:
Sgrammaticando, è detto il Podestà
Costui, ch’io Podestessa42 direi meglio:
111 Poiché i delitti ei mai cessar non fa.

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Veggio Bresciane donne iniquo speglio43
Farsi di ben forbiti pugnaletti,
114 Cui prova o amante infido o sposo veglio.44
Tai son de’ lor bustini i rei stecchetti:45
Né ascosi gli han; ma d’elsa e nastro ornati
117 Ombreggian d’atro orrore i vaghi petti.
Assassini ambo i sessi, abbeverati
Di sangue, usbergo han poi d’altri assassini
120 Cui noma il volgo stupido Avvocati.46
Lor facondia noleggiasi a zecchini:
Trasmutan l’assassinio in rissa mera,47
123 Onde i cori a pietà fan tosto inchini.
L’Italia (in questo sol una ed intera)
Tien48 l’omicidio in rissa un peccatuccio;
126 Tanto a chi infrange il Venerdí49 severa.
Tre coltellate ha date, il poveruccio:
Disgrazia! Chiesa, chiesa: a lui dia scampo
129 Un qualche santo Frate in suo cappuccio.50
Io qui di sdegno smisurato avvampo,
Com’uom devoto a Temide si adira;
132 E al Tebro51 io volo rapido qual lampo.
Scorgo da impuro fonte ivi la dira52
Empia emanar micidïal pietade,
135 Per cui l’offeso solo, e invan, sospira.
Gente di sangue e di corrucci invade53
Le vie colà: cui dà ricovro il Tempio,
138 Mentre l’ucciso in su la soglia cade:
Tinto, fumante ancor del crudo scempio,
All’are54 innanzi il rio pugnal forbisce
141 L’uccisor salvo, agli uccisori esempio.

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Di caldo sangue rosseggianti strisce55
Svelano invan dell’assassino l’orme:
144 Sacro Portier seguirle ti inibisce.
D’impuniti misfatti orride torme
Tutto annerano il ciel di Roma pia,
147 Dove sol Prepotenza illesa dorme.
D’ogni Grande il palazzo è Sagrestia:56
L’omicida securo ivi si asconde,
150 Finché innocente giudicato ei sia.
Se il proteggono i Grandi, ei n’han ben donde:57
Assassini essi pur, ma di veleno,
153 Dritto è che stuol di Pari58 li circonde.
Mostruosa cosí, qual piú qual meno,
Ogni gente d’Italia usi raccozza
156 Fero-vigliacchi entro al divoto59 seno.
Se parli, o scrivi, o pensi, ella ti strozza:60
Ma, quanti vuoi veri delitti eleggi,
159 Benignamente tutti ella li ingozza. —
Non si maritan, no, Servaggio e Leggi.61


Note

  1. Questa satira fu cominciata il 15 novembre 1795, e terminata il 1° dicembre.
  2. 1. Dante, Purg., XVI 97.
  3. 2. Altrove, rivolgendosi a Dante, l’A. lo chiama Signor d’ogni uom che carmi scriva.
  4. 5. Se ho tanto polso, se son sufficiente a sí grande opera.
  5. 7-9. Leggi son dunque per l’A. quelle che, liberamente emanate dal monarca o da pochi, sono state accolte dall’universale come supreme regolatrici.
  6. 10. Quando, cioè, esse veramente sieno uguali per tutti.
  7. 11. Onnivolere, autorità arbitraria e sconfinata.
  8. 12. Non fa pur cenno, espressione foggiata sulla dantesca (Purg., VI, 141):
    Fecero al viver bene un picciol cenno.
  9. 16-17. Il testo, la definizione, è contenuta ne’ versi 7-9, la chiosa, la nota, nei versi 10-15.
  10. 20. Non-giustizia pare a me, od è, piú efficace che ingiustizia.
  11. 24. Manda innante, prepone.
  12. 25-26. Le costui leggi, le leggi dell’onnivolente. — In bianco velo, per simulare il candore.
  13. 32. Legizzan, fan leggi, ma in senso dispregiativo.
  14. 35. Germoglia è qui usato attivamente, ed ha per proprio soggetto la impudente tirannia.
  15. 36. I Brutti, come nella Sesquiplebe, nel signif. di perversi. L’immagine della madrigna e della madre già ricorre nel son. L’idioma gentil sonante e puro.
  16. 38-39. Il sopra-leggi, colui che si mette al di sopra della legge (nella Tirannide, I, 2° è detto l’infrangi-leggi); — i leggi-passivi son quelli che ne soffrono gli effetti.
  17. 41. Leggi-gridanti, coloro che predicano agli altri il rispetto alla legge.
  18. 45. I regi sempiterni infanti: gli infanti erano i secondogeniti della Casa Reale di Spagna, che conservavano, anche a cinquant’anni, questa bambinesca denominazione: qui si vuol dire, in generale, i figli dei re.
  19. 46. Incapestra val quanto impicca, ed è voce alfieriana.
  20. 48. Fenestra, ferita, apertura.
  21. 51. Erro, errore; ma ci sta per la rima.
  22. 54. È necessario che, mercé i versi miei, l’Italia ripari alle sue colpevoli ingiustizie, o che divengano note a tutto il mondo.
  23. 55. L’opre leggiadre; qui è detto ironicamente, ma l’espressione, senza alcun’ironia, è di Dante (Purg., XI, 61):
    L’antiquo sangue e l’opere leggiadre
    De’ miei maggior...
  24. 56. Timorosa pace: pace non resultante dal reciproco affetto, ma dalla vicendevole paura.
  25. 57. Adre, cupe, molli.
  26. 63. Coloro che comandavano alle varie parti d’Italia.
  27. 65. Gl’Itali squarci, le varie parti della smembrata Italia.
  28. 66. Concordano tutti nel lasciar impunito l’assassino.
  29. 72. Divisa, pensa, provvede.
  30. 75. Empia sí, sacrilega in questo caso la Legge (Temi), perché non colpisce chi paga, e chi sa provvedere, compiuto il delitto, a mettersi in luogo ove non possa essere preso. Contro tali privilegi aveva levato, nel 1764, la sua autorevole voce il Beccaria, nel cap. XXI del libro Dei delitti e delle pene: «Dentro ai confini di un paese», sono le sue parole, «non deve esservi alcun luogo indipendente dalle leggi: la forza di esse seguir deve ogni cittadino, come l’ombra segue il suo corpo. L’impunità e l’asilo non differiscono che di piú e meno; e come l’impressione della pena consiste piú nella sicurezza d’incontrarla, che nella forza di essa, gli asili invitano piú ai delitti, di quello che le pene non ne allontanano. Moltiplicare gli asili è il formare tante piccole sovranità; perché dove non sono leggi che comandano, ivi possono formarsene delle nuove ed opposte alle comuni, e però uno spirito opposto a quello del corpo intero della società». E si ricordino anche, intorno agli asili, le parole del Manzoni al cap. I dei P. S.
  31. 78. Non mi sembra veramente che tale mostruoso delitto sia solo presagio d’ogni empiezza e d’ogni orrore, ma che ne sia la terribile prova, la inconfutabile testimonianza.
  32. 79. Percusso, colpito, punito.
  33. 81. L’Italia abbia il su’ onore, abbia ciò che le spetta, ciò che ha voluto.
  34. 83. Il sangue, i delitti.
  35. 87. Che si arricchiscono, facendo sborsar denari a chi ha commesso delitti.
  36. 88-90. L’aspetti, s’intende, il ristoro, nominato piú sopra, al v. 85. E il significato, profondo e vero, di tutta la terzina è il seg.: poiché la legge non ti soccorre, punendo essa colui che ti ha offeso, avviene che la dea della vendetta attizzi eterno odio fra chi ti ha recato ingiuria e te, e che, tradito da chi dovrebbe aiutarti, tu divenga traditore alla tua volta. La Nemesi dicevasi da taluni figlia di Giove e della Necessità, da altri dell’Oceano e della Notte, ed aveva un tempio a Ramno.
  37. 92. Gli empi Re Veneti, i capi della aristocratica repubblica veneta, piú superbi e potenti dei Re.
  38. 94. È l’antico aforisma: divide et impera. — Parte, divide, separa.
  39. 96. Le Sacre Carte, il Vangelo.
  40. 99. Rase, prive; cosi Dante (Inf., VIII, 118 seg.):
    ... le ciglia avea rase
    D’ogni baldanza...
  41. 104. Oblique, a tradimento. Scrive il Molmenti, a proposito del punto d’onore e dei duelli a Venezia nel secolo xviii (La storia di V. nella vita privata dalle origini alla caduta della Repubblica, Torino, Roux e Favale, 1880, 424) che «il timore e la servilità stranamente si avvicendavano alla spavalderia e alla arroganza, e [che] la scienza cavalleresca era degenerata in una scienza da casuisti», e ne reca gli esempi.
  42. 109-10. Podestà... Podestessa, ricorda le Achive e non Achei dell’Iliade. Durante il dominio della Repubblica veneta su Brescia, la governavano due patrizi, che venivano scambiati ogni sedici mesi; uno d’essi chiamavasi podestà, l’altro capitano e con, termine piú generico, rappresentanti.
  43. 112. Famose le donne bresciane per la loro fierezza: il popolo le chiama comunemente büle. — Speglio, specchio.
  44. 114. Veglio, vecchio.
  45. 115. Alle stecche del busto portano questi pugnali.
  46. 120. Quattro erano, secondo l’A., le pesti del mondo (cosí in un epigramma): i re, i confessori, i medici e gli avvocati.
  47. 122. Mera, semplice.
  48. 125. Tien, considera.
  49. 126. Il Venerdí, la trasgressione all’ordine di mangiare di magro in tal giorno della settimana.
  50. 127-129. Il Manzoni (Pr. Sposi, IV): «.... Salvatelo, salvatelo. — Sta fresco anche lui. — Vedete com’è concio! butta sangue da tutte le parti. — Scappi, scappi. Non si lasci prendere».
  51. 132. Al Tebro, a Roma.
  52. 133. Dira, crudele.
  53. 136. Dante, nell’Inf., (XXIV, 129), di un ladro:
    io ’l vidi uom già di sangue e di corrucci.
    Nel son. Vuota insalubre region che stato:
    Squallidi, oppressi, estenüati volti
    Di popol rio, codardo e insanguinato...
  54. 140. All’are, agli altari, nel tempio.
  55. 142. Similmente il Parini (Mattino, 1083):
    ... il suol di lunga striscia,
    Spettacol miserabile!, segnaro.
  56. 148. Non solamente le chiese sono luoghi d’impunità, ma il palazzo di ogni nobile è inviolato asilo a chi siasi macchiato di qualche delitto.
  57. 151. I Grandi hanno ben ragione di proteggere gli assassini: sono assassini essi pure. Il Manzoni, di Don Rodrigo e del Griso (P. S., VII): «Dopo aver ammazzato uno, di giorno, in piazza, [il Griso] era andato a implorar la protezione di Don Rodrigo; e questo vestendolo della sua livrea, l’aveva messo al coperto da ogni ricerca della giustizia. Cosí, impegnandosi a ogni delitto che gli venisse comandato, si era assicurata l’impunità del primo. Per Don Rodrigo, l’acquisto non era stato di poca importanza; perché il Griso, oltre all’essere, senza paragone, il piú valente della famiglia, era anche una prova di ciò che il suo padrone aveva potuto attentar felicemente contro le leggi; dimodoché la sua potenza ne veniva ingrandita, nel fatto e nell’opinione».
  58. 153. Di Pari, di rei simili ad essi.
  59. 156. Divoto, uso alle forme esteriori del culto.
  60. 157. Non solo in Italia è giudicato reo di morte chi parla o scrive in senso contrario al presente ordine - o disordine - di cose; ma si punisce senza pietà anche chi osi semplicemente pensare con la propria testa.
  61. 160. «... io domando in qual cosa differisca il governo e autorità di un solo nella tirannide, dal governo e autorità di un solo nella monarchia. Mi si risponde: «Nell’abuso». Io replico: «E chi vi può impedire quest’abuso?» Mi si soggiunge: «Le leggi». Ripiglio: Queste leggi hanno elle forza ed autorità per se stesse, indipendente affatto da quella del principe? Nessuno piú a questa obiezione mi replica. Dunque, all’autorità di un solo, potente ed armato, andando annessa l’autorità di queste pretese leggi (e fossero elle puranche divine) ogni qual volta le leggi e costui non concordano, che faranno le misere, per se stesse impotenti, contro alla potestà assoluta e la forza? Soggiaceranno le leggi; e tutto giorno, in fatti, soggiacciono». (La Tirannide, I, 2°).