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240 dalle «satire»


45 Che in mia casa abiurate il velle e il nolle.
Oh ve’! sputa Latin chi men pretende:
Cosí i miei figli tutti (e’ son di razza)1
48 Vedrete che han davver menti stupende.
Mi scordai d’una cosa: la ragazza2
Farete leggicchiar di quando in quando;
51 Metastasio, le ariette; ella n’è pazza.
La si va da se stessa esercitando:
Ch’io non ho il tempo e la Contessa meno:
54 Ma voi gliele verrete interpretando,
Finché un altro par d’anni fatti sieno;3
Ch’io penso allor di porla in monastero,
57 Perch’ivi abbia sua mente ornato pieno.4
Ecco tutto. Io m’aspetto un magistero5
Buono da voi. Ma, come avete nome? —
60 A servirla, Don Raglia da Bastiero.6
Cosí ha provvisto il nobil Conte al come
Ciascun de’ suoi rampolli un giorno onori
63 D’alloro pari al suo le illustri chiome.
Educandi, educati, educatori
Armonizzando7 in sí perfetta guisa,
66 Tai ne usciam poscia Italici Signori
Frigio-Vandala stirpe, irta e derisa.8


  1. 45-47. Il velle e il nolle: il volere e il non volere. A queste due parole latine si riferiscono i versi che seguono: dopo averle pronunciate, il Conte ci ripensa e, compiacendosene, dice: io che non la pretendo in latino, so sfoggiare, al bisogno, le mie brave parole di questo linguaggio; già, in casa nostra siamo tutti geni.
  2. 48. Non sono solamente sei maschi da istruire per quindici lire mensili; c’è anche la Signorina, ma il Conte lo dice ora che l’affare è concluso. — Le ariette, quelle che chiudono le scene piú importanti dei drammi metastasiani, e che davano tanto ai nervi all’A. (Aut., II, 4).
  3. 55. Fatti sieno, sieno trascorsi: anche nell’Aut. — (II, 5°): «con cui si era fatta la gioventú».
  4. 57. E per lasciarvela. A chi non apparisce a questo punto dinanzi alla memoria l’immagine della Monaca di Monza, la cui sorte era, prima ancòra ch’ella nascesse, irrevocabilmente stabilita? — Ornato pieno, piena coltura.
  5. 58. Magistero, insegnamento.
  6. 60. Il nome e il cognome di questo istitutore sono, mercé una lepidezza di poco buon gusto, abbastanza trasparenti, perché vi sia bisogno di spiegarne il significato. Può darsi che, nel foggiare il tipo di Don Ralia, l’A. avesse in mente quel Don Ivaldi, prete ignorantuccio, del quale discorre nei primi capitoli dell’Autobiografia, e di cui si ricordava però con affetto molti anni dopo, se ne chiedeva premurosamente notizie alla madre (lett. del 13 dic. 1790); ma con maggiore probabilità gliene prestarono i colori le qualità negative dei tanti maestri con cui ebbe che fare in casa e fuori di casa. Carlo Porta ha, nella larga schiera dei personaggi che vivono nelle sue poesie di vita immortale, un tipo che ricorda quello di Don Ralia da Bastiero: Don Ventura, il cappellano prescelto dalla Marchesa Travasa.
  7. 65. Armonizzando, andando perfettamente d’accordo.
  8. 67 Frigio-Vandala; i Frigi ebbero fama di effeminati, d’imbelli; i Vandali sono rimasti famosi per la loro barbarie: irta, incivile, rozza. Si noti da ultimo che l’A. dice usciam (v. 66), comprendendo anche se stesso nel numero di quelli che erano stati rovinati da siffatti maestri, cui sceglieva l’ignoranza e l’avarizia dei genitori.