Così parlò Zarathustra/Parte quarta/Il saluto
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Il saluto.
Solo a ora tarda, nel pomeriggio, Zarathustra, dopo aver cercato e vagato a lungo e invano, fece ritorno alla sua caverna.
Ma quando si trovò davanti ad essa, alla distanza di forse venti passi, successe cosa inaspettata: udì egli un’altra volta fender l’aria l’acuto grido di soccorso. E, cosa più strana ancora, il grido era uscito dalla sua stessa caverna. Ma era un grido lungo, molteplice e singolare; e Zarathustra notò distintamente ch’esso si componeva di molte voci unite, e, se bene udito da lontano, sembrava uscisse da una bocca sola.
Allora Zarathustra si slanciò verso la sua caverna. Quale vista lo attendeva!
Tutti coloro ch’egli aveva incontrati quel giorno stavano ora insieme raccolti a sedere: il re di destra e il re di sinistra, il vecchio negromante, il papa, il mendicante volontario, l’ombra, il coscienzioso dello spirito, il triste indovino e l’asino, ma il più brutto degli uomini s’era posto in capo una corona e s’era adornato di due cinti di porpora — giacché, al pari di tutti i deformi, amava mascherar la propria bruttezza coi travestimenti.
E in mezzo a quella accolta d’afflitti stava l’aquila di Zarathustra, con le penne irte e inquieta, poiché la interrogavano su troppe cose, per le quali la sua superbia non aveva risposta.
Ma a torno al collo di lei s’era attorcigliato il serpe prudente.
Tutto questo osservò Zarathustra meravigliato; poi considerò ad uno ad uno i suoi ospiti con indulgente curiosità, lesse ciò che era nelle loro anime, e stupì un’altra volta. Frattanto i convenuti s’eran levati da sedere ed attendevano riverenti che Zarathustra cominciasse a parlare. E Zarathustra parlò così: «Oh voi disperati! Oh voi strani! Io aveva dunque sentito il vostro grido? Ed ora so anche ove debbo cercar colui, che oggi cercai invano: l’uomo superiore.
È qui nella mia caverna, l’uomo superiore! Nè ciò è strano!
Non l'ho forse attirato io stesso verso di me, coi sacrifizi di miele e con gli astuti richiami della mia felicità?
Tuttavia mi pare che voi male v’accompagniate; che voi vi rendiate sgraditi gli uni agli altri, sedendo così insieme. È necessario che venga quell’uno, — quell’uno, che vi fa ridere ancora — un buon diavolo allegro, un danzatore e uno sguaiato, insomma un qualche vecchio pazzo: che ne dite voi?
Perdonatemi un tal discorso volgare; indegno, in verità, di ospiti di riguardo quali voi siete! Ma voi non comprendete da che proceda l’insolenza del mio cuore: — voi stessi e il vostro aspetto ne siete cagione; perdonatemelo! Poi che ognuno sente crescere il proprio coraggio alla vista di coloro che disperano.
Confortare chi è in preda alla disperazione: chi non si sente da tanto?
Anche a me voi deste tale forza: un eccellente dono, o miei ospiti: un dono degno d’ospiti onesti! Ebbene, non abbiatevi per male ch’io v’offra del mio.
Questo è il mio regno e il mio dominio: ma ciò ch’è mio per questa sera e per questa notte deve appartenere a voi pure.
I miei animali devono servirvi: la mia caverna sia il vostro luogo di riposo! In casa mia nessuno deve disperare: nella mia caccia riservata io proteggo ciascuno contro le sue bestie feroci. E questa è la mia cosa che vi offro: la sicurezza!
Ma la seconda è il mio dito mignolo. E quando avrete quello, prendetevi pure tutta la mano, su via! E anche il cuore! Benvenuti in questo luogo: benvenuti, ospiti amici!».
Così parlò Zarathustra con un riso pieno di giocondità e di malizia. E i salutati s’inchinarono un’altra volta e tacquero riverenti; poi il re che stava alla destra rispose in nome di tutti: «Al modo, o Zarathustra, con cui tu ci offri la mano e il saluto, noi ti riconosciamo. Tu ti umiliasti dinanzi a noi; per poco non avresti fatto torto alla nostra riconoscenza!
Ma chi come te saprebbe con tanto orgoglio umiliarsi? Ecco quello che ci conforta; ciò è un ristoro per i nostri occhi e per i nostri cuori.
Metteva conto per ciò di salire monti anche più alti di questo. Noi siamo venuti qui guidati dalla curiosità di vedere, la quale risana gli occhi ammalati.
Ed ecco, già è cessato il nostro affannoso gridare al soccorso.
Già la nostra mente ed il cuore son fatti ora sereni e quasi ebbri di gioia. Poco ancora; e il nostro coraggio trasmoderebbe in insolenza.
Nulla, o Zarathustra, vince la gioia d’una forte ed alta volontà. Un intero paesaggio acquista lietezza da un tale albero.
Al pino io ti assomiglio, o Zarathustra; al pino che cresce alto al par di te: lungo, taciturno, duro, solitario; del miglior legno e del più flessibile: — al pino che diffonde i suoi rami vigorosi e verdi per afferrare il suo dominio, posando robuste domande ai venti e alle tempeste ed a tutto ciò che ha stanza negli spazi eccelsi, e dando anche più vigorosa risposta come uno che comanda, da vittorioso: oh, e chi mai non dovrebbe ascender gli alti monti, per ammirare si fatte piante?
Da cotesto tuo albero, o Zarathustra, ha conforto anche chi è cupo o deforme; nel riguardarti anche l’incostante acquista sicurezza e salute.
In verità, mille sguardi si volgono oggi verso la tua montagna e verso il tuo albero; un desiderio ardente s’è levato verso di te e più di uno già ha imparato a domandare: Chi è dunque Zarathustra? E tutti coloro ai quali tu stillasti nell’orecchio e nell’anima il tuo canto e il tuo miele; tutti i nascosti, tutti i solitari e anche i solitari accoppiati dicono nel loro cuore:
«Dimora tuttavia tra i viventi codesto Zarathustra? Non mette più conto di vivere; tutto è uguale, tutto è vano, se non si vive con Zarathustra».
«Perchè non giunge colui che da tanto tempo ci è annunziato?».
Così chiedono molti. «Forse lo attrasse a sè la solitudine?
O forse dobbiamo noi pellegrinare alla sua volta?».
La stessa solitudine diventa ora fracida e si spezza, simile ad un sepolcro che si schianta e più non può trattenere i suoi morti. Balzano da ogni luogo i risorti.
E le onde si accavallano ormai intorno alla tua montagna, o Zarathustra. E per quanto eccelsa sia la tua altezza, molti sono costretti ad ascenderla per venire a te; la tua navicella non si troverà più a lungo all’asciutto.
E se noi disperanti, pur ora entrati nella tua caverna, già più non disperiamo, ciò è indizio e presagio che taluno miglior di noi è avviato alla tua volta;
— Giacchè Dio stesso giunge a te: o, meglio, ciò che di Dio rimane tra gli uomini; cioè, tutti coloro che conoscono per prova il grande desiderio, la grande nausea, la grande stanchezza;
- Tutti quelli che non vogliono vivere, se più non possano sperare — e se non imparino da te, o Zarathustra, la grande speranza!».
Così parlò il re ch’era alla destra; e afferrò la mano di Zarathustra per baciarla; se non che Zarathustra si schermi e si ritrasse. Ma poco dopo ritornò ai suoi ospiti e avvolgendoli in uno sguardo chiaro e scrutatore, così parlò:
«O miei ospiti, voi uomini superiori, io voglio parlarvi apertamente e francamente; io non vi attendeva già su questo monte».
(«Apertamente e francamente? Che Dio l’abbia in misericordia! disse allora il re ch’era alla sinistra, fra sè: si capisce che egli non conosce i nostri concittadini, quel saggio dell’Oriente!
Ma egli voleva forse dire «apertamente e rudemente» — ebbene: Oggi questo non è il peggiore dei gusti!»).
«Voglio concedere che voi tutti siate uomini superiori», prosegui Zarathustra; «ma per me non siete alti e robusti a bastanza.
«Per me: voglio dire per ciò che in me è inesorabile, che ancor tace, ma non tacerà sempre. E se pure voi fate parte di me, non siete tuttavia il mio braccio destro.
«Chi al pari di voi, mal si regge su le gambe deboli e contraffatte vuole anzitutto, lo dica o non lo dica, esser risparmiato.
«Ma le mie braccia e le mie gambe io non le risparmio: io non risparmio i miei guerrieri: e come potreste voi esser atti alla mia guerra?
«Con voi guasterei tutte le mie vittorie. E più. d’uno tra voi cadrebbe a terra al solo rullo dei miei tamburi.
«Poi non siete per me a bastanza belli e bennati. Le mie dottrine ricercano specchi limpidi e tersi; la vostra superficie è tale da contraffare la mia stessa imagine.
«Le vostre spalle sono oppresse da troppi pesi e ricordi: molti anni maligni sono annidati nei vostri angoli remoti. C’è della plebe nascosta anche in voi.
«E se pure siete alti e d’una razza superiore, molte cose tuttavia sono in voi incurvate e deformi. E non c’è fabbro al mondo che possa raddrizzarvi, come io vorrei.
«Voi rendete imagine di ponti; possano uomini a voi superiori varcarvi! Voi non avete valore che di gradini; non dovete adirarvi contro colui che scalandovi ascende alla propria altezza!
«Dal vostro seme possa un giorno nascere anche a me un figlio genuino e un perfetto erede: ma ciò è ancor lontano. Voi non siete ancora di quelli che avranno diritto alla mia eredità’ e al mio nome.
«Non già di voi stavo in attesa su questo monte; non con voi posso discenderne per l’ultima volta. Voi non veniste che quali precursori d’altri che sono avviati verso di me!
— «Ma non siete già gli uomini dal grande desiderio, dalla grande nausea, nè, quali voi vi chiamaste, gli avanzi di un Dio.
— «No! no! Tre volte no! Ben altri io attendo su questi monti, e non voglio partirmi di qui senza di loro!
— «Altri attendo: più alti, più forti, più vittoriosi, più fiduciosi; altri che sono diritti di corpo e d’anima; leoni gioivi devono giungermi!
«O miei ospiti bizzarri, — nulla avete ancor udito de’ miei figli? Sono avviati alla mia volta?
«Parlatemi dunque de’ miei giardini, delle mie viole beate, della mia nuova e bella stirpe: perchè non mi parlate di ciò?
«Questo è il dono che dal vostro amore, in compenso dell’ ospitalità, io chiedo: parlatemi de’ miei figli! Allora mi troverete ricco e povero a un tempo: che cosa non ho sacrificato, che non sacrificherei per questo?
— «Che non darei e che non ho già dato per ottenere una sola cosa: questi figli, questa vivente vegetazione, questi alberi vitali della mia valle e della mia più sublime speranza?
Così parlò Zarathustra; poi improvvisamente si tacque: giacchè lo assali il suo desiderio, ed egli chiuse gli occhi e la bocca, per la grande commozione. E anche i suoi ospiti se ne stettero silenziosi e costernati; soltanto il vecchio indovino faceva cenni con le mani.