Così parlò Zarathustra/Parte quarta/A meriggio

A meriggio

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A meriggio.

E Zarathustra corse e corse ancora, e non trovò più nessuno. Si ritrovò nella solitudine sè stesso, e godette e assaporò squisitamente la sua solitudine, e pensò lungamente a cose buone.

Ma verso l’ora del meriggio, quando il sole incombeva proprio sul suo capo. Zarathustra passò vicino ad un vecchio albero curvo e nodoso, cui tutto intorno allacciava il prodigo amore [p. 263 modifica] d’un ceppo di vite, che lo nascondeva a sè stesso; pendevano dall’albero, offrendosi al viandante in copia, grappoli dorati.

Provò allora desiderio di estinguere la sua sete e di spiccare un grappolo; ma mentre stava per stendere il braccio un altro desiderio più intenso lo colse: sdraiarsi all’ombra dell’albero, nell’ombra del pieno meriggio, e dormire.

Così fece Zarathustra; e come si fu disteso al suolo, nel silenzio e nel segreto dell’erba variopinta dimenticò la sete e si addormentò. Poi che, come dice la sentenza di Zarathustra, una cosa è più necessaria dell’altra. Solo i suoi occhi rimasero aperti; — poiché non potevano saziarsi di rimirare ed esaltar l’albero e l’amore del ceppo di vite. E, mentre si addormentava, così parlò Zarathustra nel suo cuore:

«Zitto, zitto! Non è forse il mondo divenuto perfetto in questo momento? Che cosa mi succede dunque?

Simile ad un vento leggiero, che invisibile danza su una liscia superficie di mare, volubile come una piuma, il sonno danza su di me.

Esso non mi chiude gli occhi, e mi lascia desta l’anima.

Leggero come una piuma.

Egli mi persuade, io non so come: egli mi blandisce nell’ intimo con mano carezzevole; egli mi costringe. Sì, egli mi costringe a distendere la mia anima!

— Come diventa lunga e stanca, la mia anima strana!

Forse la sera d’un settimo giorno è giunta per lei proprio al meriggio? O forse vagò già troppo a lungo beata tra le cose buone e mature?

Essa, distendendosi, si fa lunga lunga! Giace silenziosa, la mia anima stanca. Troppo buone cose ha già assaggiate: questa tristezza dell’ora la opprime; essa torce la bocca.

— Come una nave che entri nel più tranquillo de’ suoi porti, essa si accosta alla terra, stanca del lungo errare per mari malsicuri; la terra non è forse più fedele?

Quando questa nave si stringe amorosamente alla terra, basta che dalla terra un ragno mandi i suoi fili sino a lei. Non v’ha bisogno di corde più resistenti.

E simile a una nave cullantesi nella più quieta delle sue baie, io riposo ora vicino alla terra, fedele e fidente, in attesa di venir avvinta a lei con invisibili fili. [p. 264 modifica]

Oh felicità! Oh felicità! Vuoi forse cantare, anima mia?

Tu giaci su l’erba: ma questa è l’ora segreta e solenne in cui il pastore fa tacere la sua zampogna.

Fanne di meno! L’ardente meriggio dorme sui campi.

Non cantare! Zitti! Il mondo è perfetto.

Non cantare, uccello dei campi, oh, tu anima mia, trattienlo persino dal bisbigliare! Guarda dunque — zitto! Il vecchio meriggio dorme, esso muove le labbra; non beve esso forse in questo punto una goccia di felicità?

— Un sorso d’aurea felicità, di vino vecchio e dorato?

Qualcosa vola sopra di lui; la sua felicità sorride. Così sorride un Dio! Zitto!

— Quanto poco basta per la felicità!».

Così parlai un giorno, e mi credetti accorto. Invece avevo bestemmiato: me ne avvedo oggi. I pazzi accorti parlano meglio.

Appunto di ciò che più è lieve, silenzioso, leggiero: del fruscio d’una lucertola, d’un sospiro, d’un momento d’un batter d’occhi: — di poca cosa in somma è formata la migliore felicità.

Zitto!

— Che cosa mi avviene? Ascolta! Forse il tempo se ne volò lontano? Non sto io cadendo? Non sono caduto — dimmi — nel pozzo dell’eternità?

— Che mi accade? Ascolta! Sento pungermi, ahimè, nel cuore! Nel cuore? Oh, spezzati, spezzati o cuore, dopo una tale felicità, dopo una simile trafittura!

— E come? Non è divenuto forse perfetto il mondo in questo momento? Rotondo e maturo? Oh l’anello aureo e rotondo!

dove vola? Io gli corro dietro! Pst!

Silenzio» — (e qui Zarathustra stirò le membra e sentì che dormiva). «Su, su!», disse a sè stesso, dormiglione! Tu che dormi a meriggio! Orsù, vecchie gambe! Il tempo stringe e voi dovete fare ancor un bel tratto di strada.

Avete ceduto al desiderio del sonno: per quanto tempo?

Una mezza eternità! Orsù, mio vecchio cuore! E quanto potrai ora vegliare a tuo capriccio?

(Ma in quello stesso momento s’addormentò di nuovo, e la sua anima parlò contro di lui schermendosi, e si distese un’altra [p. 265 modifica]volta). — Ma lasciami dunque! Zitto! Non è forse divenuto perfetto il mondo in questo punto? Oh, la bella palla aurea e rotonda!

«Alzati» — soggiunse Zarathustra — «piccola ladra oziosa! E come? Pretenderesti sempre di stirarti, sbadigliare, sospirare, cader giù nei pozzi profondi? Ma chi sei tu? Oh anima mia!» — (e qui sabbalzò poichè un raggio di sole lo feriva su la faccia).

«O cielo che t’incurvi sopra di me» — disse sospirando e mettendosi a sedere — «tu mi stai guardando? Tu ascolti i discorsi della mia anima bizzarra?

Quando berrai tu questa goccia di rugiada, che cadde su tutte le cose terrestri, — quando berrai quest’anima strana; quando, o pozzo dell’eternità? Tu abisso sereno e terribile del meriggio! Quando berrai in te l’anima mia?».

Così parlò Zarathustra; e si levò dal suo giaciglio come se uscisse da un’ebbrezza sconosciuta: ed ecco, sul capo di lui, ancora sempre pendeva il sole. Ma da ciò qualcuno potrebbe inferir con ragione che Zarathustra non aveva dormito a lungo.