Conchiglie/La prima lettera d'amore
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | Filantropia | L'educazione di Rosina | ► |
La prima lettera
d’amore.
(Storiella dei vecchi tempi).
Aveva forse quattordici anni, era una ragazzetta; ma chi avesse guardato i suoi occhi pensierosi pieni di fiamme capiva che la donna era già nata e che un’anima ardente e precoce contrastava all’adolescenza i suoi ultimi diritti.
Ella ancora non lo sapeva, perchè bene educata e cresciuta rigorosamente in una famiglia di costumi esemplari, non spiegava ancora a sè stessa perchè quando gli amici del babbo gli stringevano il ganascino dicendo: La si fa bellina eh! presto presto...: ella arrossiva tutta e un fuoco interno le bruciava le vene.
Una cosa poi che non avrebbe confessato a nessuno e che per più giorni l’aveva tenuta nel terribile dubbio di un peccato mortale, era il fatto di avere osservato in una certa strenna un’incisione patetica che rappresentava un giovine ed una fanciulla nell’atto di scambiarsi un bacio; e che lei, proprio lei, guardando tutti i momenti di nascosto quella figura, allungava le labbra con un intenso desiderio di imitazione. Andata a confessarsi in quel torno, quando il prete le domandò: Sei sicura di non aver mai commesso peccato di desiderio? — di non esserti volontariamente soffermata su pensieri od imagini disoneste?: ella meditato un istante su quel volontariamente che le offriva la scappatoia della forza superiore rispose impavida: No.
Ma il suo desiderio immenso, irresistibile, era quello di ricevere una lettera d’amore. Ella pensava con invidia alle fortunate mortali che hanno una corrispondenza amorosa. Aveva inteso di una ragazza che s’era trovato un bigliettino nascosto nel libro da messa, e sa il cielo le distrazioni che le cagionavano tutti i biglietti da comunione pasquale che giacevano nel suo libro; li apriva tremando, sperando sempre di leggervi le parole fatali — angelo mio!
Passando davanti alla buca della posta interrogava con un lungo sguardo carico di desiderii quella misteriosa cassettina che doveva contenerne degli angeli e degli idoli! — almeno ella lo supponeva, giudicando che la metà del genere umano dovesse passare il tempo a scrivere lettere amorose e l’altra metà a leggerle.
Si sfogava a scrivere delle pagine appassionatissime alle sue compagne di scuola; le assicurava di un amore eterno; mandava a tutte ciocche di capelli e viole secche — e tuttavia non riusciva a illudersi di avere un carteggio amoroso. Ella faceva il conto dei mesi e degli anni; diceva: Chi sa se l’anno venturo, come oggi, avrò ricevuto una lettera d’amore? doveva essere quella la sua olimpiade.
Capita un giorno che la domestica le si avvicina con aria di mistero e le consegna un rettangolo di carta verdina, con tanto di indirizzo scritto sulla falsariga, in bell’ordine, che pareva stampato, e con ostia di gomma al posto della ceralacca — vedere che ostia elegante! — portava impresso un uccellino azzurro su fondo d’argento.
Poco mancò che la ragazza cadesse in terra di colpo; ma fattasi forte, come sapeva che in tali circostanze sono sempre forti le eroine da romanzo, domandò alla domestica:
— Per chi è questa lettera?
— È per lei, vede?
— Chi te l’ha data?
— Era giù dal portinaio. Anzi ho pensato di ritirarla subito, perchè...
— Hai fatto bene, brava; quando mi marito ti darò i confetti.
Senza essere soverchiamente lusingata da quei confetti lontani, la servetta ringraziò e lasciò sola la padroncina la quale, con una mano sul cuore che le martellava, fece in un momento e ad occhi aperti una dozzina di sogni uno più stravagante dell’altro.
Un foglio intravide lo sguardo indovino A un ramo sospeso del suo gelsomino |
Al foglio piegato protese la mano; |
Oh! quante volte aveva letta, riletta, tornata a leggere questa poesia d’Arnaldo Fusinato; ed ora la ripeteva, tenendo in mano la lettera che non osava aprire ma che beveva cogli occhi. A madamigella Giovanna Guzzolini: Sue gentilissime mani. Il gentilissime mani le sembrava già una dichiarazione d’amore.
Positivamente la carta scottava. L’A maiuscola della prima linea sembrava sorriderle con un volto pallido e un cappello a cilindro in testa; tutte le lettere che componevano la parola madamigella danzavano davanti ai suoi occhi; e Giovanna Guzzolini, il suo nome, scritto così bene, con quelle due G. inglesi a svolazzi le dava le vertigini.
Finalmente si decise:
L’azzurro suggello ne infranse, l’aprì... |
Conteneva un foglio tanto ricco di trafori e di ricami, con fiori, arabeschi ornati, pagode, gingilli, che sembrava un fazzoletto di battista colla trina. Ella non aveva mai visto un simile prodigio; doveva costare per lo meno ottanta centesimi senza la busta. Lo spiegò con mille precauzioni, tremando sempre un poco e lesse: Cara Giovannina!
Questo fu un disinganno, convien dirlo. Cara Giovannina non corrispondeva al vocativo che ella aveva imaginato. Cara Giovannina lo dicono tutti, è comune, non significa nulla. Ella era proprio mortificata. Tuttavia non volle fermarsi lì e continuò a leggere:
«Tu forse (v’era stata, si vede una gran tenzone nell animo dello scrivente per sapere se forse andava terminata coll’e oppure coll’i perchè quest’ultima vocale era parecchio scombiccherata) crederai che io non mi ricordi più di te, come tu forse (aveva guardato il dizionario e s’era deciso per l’e) non ti ricordi più di me. Ma non è vero. Io mi ricordo sempre, poichè le montagne stanno ferme ma gli uomini s’incontrano.
«Se il destino vuole noi ci incontreremo e ricordati allora che io sono e sarò sempre il tuo
aff.° amico ed...... Giuseppino Perinelli. |
Non c’era da illudersi, Giuseppino Perinelli non aveva nulla di comune col bruno cavaliere di Fusinato che scriveva alla sua bella:
Lina! dall’ora che nel tuo sembiante Avidamente il guardo mio fissai, |
Perinelli non parlava di patria nè di Dio; tirava in ballo le montagne, questo è vero, ed è già qualcosina, perchè si sa che altro è scrivere in versi e altro scrivere in prosa.
Passato il primo momento di sconforto la ragazza tornò a leggere la lettera, fermandosi con particolare compiacenza sulle reticenze della firma — ed...... Che mi fate celia! Quell’ed...... era pieno di misteri. Non si mettono mica impunemente dei puntini invece di una parola, se fosse una parola da potersi dire davanti a babbo e mamma!
Da quell’istante si palesò chiara a Giovannina la profonda scaltrezza di Giuseppino. Egli doveva essere preparato a che la lettera capitasse nelle mani dei genitori e per questo, tolto il paragone delle montagne che implicava l’idea di un amore a tutta pruova, niente nella lettera palesava i suoi intimi sentimenti, ma tutti si erano trasfusi in quei simbolici puntini che babbo e mamma non dovevano capire. Eh! sono furbi i giovinotti.
Ma chi sa poi se Giuseppino Perinelli era un giovinotto! Poco la ragazza se ne ricordava. Avevano giocato insieme, a otto e dieci anni, sparando delle pistole a vento in grandi fette di rapa: cinque buchi, la ruota — quattro buchi, la stella — tre buchi, l’occhio della fede — due buchi, gli occhiali — e quando facevano un buco solo, Giovannina e Giuseppino vi applicavano successivamente la pupilla per vedere il panorama.
Da quei giuochi innocenti in poi i due ragazzi non si erano più trovati insieme, e Giovannina che aveva completamente dimenticato il suo amico, ora che le ricompariva davanti coll’appendice romantica di quell’ed...... non potè a meno di sentirsi dolcemente commossa.
Intanto se aveva scritto ed invece di e, vuol dire che la parola seguente incominciava con una vocale. E quanti erano i puntini? Sei. Ergo — la parola sottintesa non poteva essere che amante. Dunque Giovannina aveva un amante!
A pranzo, quantunque quel giorno (come al solito per di vero) ella sentisse un forte appetito, restò un momento dubbiosa, ponendosi il quesito se una donna che ha un amante può permettersi di mangiare due volte lo stracotto? La soluzione affermativa le parve un po’ troppo verista; Giovannina ebbe l’eroismo di scegliere la dieta. Le pareva anche che tutte le persone dovessero guardarla e accorgersi che ella aveva un amante, che il cielo, l’aria, il sole, gli alberi, i sassi, gli uccelli, il gatto, fossero tutti compresi di quel grande avvenimento; e da un punto all’altro dell’universo una melodia flebile e arcana mormorasse con un tremulo sostenuto: Giovannina ha un amante.
La scelta del posto ove mettere la lettera non fu cosa da poco; posso anzi assicurare che quella lettera cambiò molte volte domicilio — prima al piano nobile del seno (e fu allora che Giovannina si agitava tutti i momenti e metteva fuori interminabili sospiri per udire il cric crac della carta contro il suo cuore) — poi negli ammezzati delle tasche — infine nel pedule di un vecchio paio di calze, cacciate in fondo in fondo al cassettone. Giovannina per altro non la dimenticò: ogni tanto andava a prenderla e tornava a deliziarsi nella contemplazione dei sei puntini, più provocanti a’ suoi occhi che non fosse ad Eva nell’Eden il pomo della scienza.
S’era anche lusingata, ma inutilmente, che Giuseppino dovesse scriverle ancora; quanto a lei non poteva rispondergli perchè nel turbamento della prima dichiarazione il suo amico ed...... aveva dimenticato di darle il proprio indirizzo.
Così passò un anno all’incirca senza avere più notizie di Giuseppino, ma Giovannina lo cercava in tutti i giovanotti bruni e snelli in cui si imbatteva: ella pensava che in quattro anni doveva essersi fatto alto più di lei ed avere per lo meno mezzo centimetro di baffi e uno sguardo fatale.
Un giorno d’inverno che ella era uscita colla sua mamma incontrò sulla piazza di Santa Marta la scolaresca dell’istituto tecnico che usciva in massa tumultuosa, sbaragliandosi per la piazza come un branco di puledri scappati dalla stalla.
— Quello là — disse la mamma — guarda, mi pare Giuseppino, il figlio del farmacista che stava rimpetto a noi, che non voleva mai soffiarsi il naso...
Giovannina guardò e vide in mezzo a tre ragazzotti che facevano le palle di neve il suo amico ed...... — proprio lui, tale e quale lo aveva conosciuto quattro anni addietro, con un nasino rosso alla francese ed ora aveva per di più i geloni alle orecchie; portava un gran tabarro tagliato fuori da un ex cappotto della Guardia Nazionale e sui polsi aveva due manichini di lana violetta lavorati a un punto diritto e un punto rovescio coll’orlo festonato.
O ideale!
— Povero fiigliolo, non è punto imbellito! — disse la mamma.
— Punto — rispose mogia mogia la figlia.
Giunta a casa stracciò in cento pezzi la lettera traforata e la gittò nel fuoco, ultimo definitivo domicilio.
Molti, ma molti anni dopo, Giovannina faceva il viaggio di nozze insieme con un bel giovinotto e, vedi combinazione, chi le diede i biglietti per Venezia fu Giuseppino — naso francese sempre, assenza totale di baffi, berretto d’ufficio turchino con listino d’argento.
— Se tu sapessi! mormorò Giovannina all’orecchio di suo marito, indicandogli il giovane impiegato.
— Che cosa? domandò il marito.
Ma subito dopo entrarono in un vagone coupé e non si sa se Giovannina abbia avuto tempo di raccontare la sua storia.