Compendio storico della Valle Mesolcina/Capitolo XIV
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CAPITOLO XIV.
(dal 1024 al 1162)
Nell’anno 1024, morì senza eredi maschili Guglielmo Dokburg di quella famiglia l’ultimo proprietario del castello di Mesocco, lasciando solo tre figlie, la primogenita delle quali, per intrighi d’Ernesto allora Duca della Rezia sotto l’imperatore Conrado II, fu nell’istess’anno data in matrimonio ad Enrico Freiher1 de Hohensax, oltramontana famiglia che era già stata feudataria dei Duchi di Germania e Rezia sotto i Re franchi, ricevendo in dote il detto castello con tutti li suoi antichi diritti e privilegi, il titolo di Conte della Mesolcina, e i diritti usurpati dai Dokburg. D’allora in poi Enrico s’arrogò il nome di Monsax, e più tardi i suoi discendenti adottarono quello solo di Sax, che da diverse scritture viene poi a torto variatamente italianizzato, e così riportato anche da alcuni moderni storici.
Pare che il primo di questa nuova dinastia sia stato di egual tempra dell’antecedente Conte della Mesolcina, poichè già nel primo anno di sua amministrazione si racconta un fatto enorme di sua tirannia. La Giustizia aveva in quell'anno a decidere d’una donna che veniva incolpata d’aver con malizia soffocato il suo figlio. Il Conte presidente, uomo crudele, fece chiamare nella radunanza dei giudici il suo segretario, maligno simile al suo Signore, e che passava per craneologista, cioè conoscitore delle inclinazioni umane alla maniera dei rinomati Dott. Gall e Lavater.
Comparsa la creduta colpevole davanti ai suoi ignoranti giudici, ed esaminata alla loro presenza dall’impostore Segretario, fu da questo arditamente accusata di feroci inclinazioni. Questa sola dichiarazione, sostenuta dall’inumano presidente, bastò perchè i superstiziosi giudici condannassero quell’infelice donna ad essere abbruciata, ciocchè in modo barbaro fu eseguito all’istante.
L’anno 1080 è rimarchevole per essersi gli abitanti accanitamente divisi in due partiti a favore d’una bizzarra causa stata agitata da due Vallerani, derivante per l’erezione ed impedimento d’una cappella, epoca d’entusiasmo per simili particolari fabbricazioni. Quei due ostinati l’uno di Norantola e l’altro di Cama si prevalsero delle rivalità ed antipatia che in quel tempo esisteva tra le primarie famiglie della Valle per procacciarsi aderenti in sostegno delle capricciose lor pretensioni. Chiamati in Mesocco per ultimare le loro contestazioni, vi comparvero assistiti dai loro numerosi partitanti; ma il Conte presidente, giovine d’età e debole di spirito, non potè accordarli, per cui i due partiti vennero animosamente alle mani, e furonvi vittime d’ambe le parti. Si temeva e con ragione che questo affare avrebbe prodotto funeste conseguenze per le misure severe che il Duca della Rezia avrebbe prese; come in fatti poco dopo fu sparsa la voce che quel Vicario dell’Imperatore avrebbe spedito un altro presidente per amministrare con rigore la Valle, per cui Giovanni Rasiol di Mesocco uomo di molto merito, e solo intento al bene del suo paese, partì senza ritardo per la Rezia, ed ottenne per mediazione di Norberto allora Vescovo di Coira che la Mesolcina fosse governata come per lo passato, e fu l’origine della riconciliazione fra i Vallerani.
Verso quell’epoca le due Comuni Pallas e Cervis si fabbricarono ciascuna una chiesa propria, dedicando la prima a S. Lucio, e l’altra a S. Domenica; da quel tempo in poi la Comune Cervis adottò il nome di quella nuova sua chiesa. Il coadjutore della parrocchia del Tempietto era tenuto, dietro le convenute condizioni, di funzionare in S. Lucio, e quello di S. Maria in S. Domenica.
Anche nella Mesolcina si predicava con entusiasmo, come generalmente nel resto dell’Europa la Crociata stata pubblicata nell’anno 1095 dal Consiglio tenutosi in Clermont sotto il Papa Urbano II. In una di queste prediche recitata un anno dopo da un insigne oratore nella parrocchia di S. Maria di Calanca si trovava presente un certo Martinel vivace caprajo di Castaneta, il quale convinto dell’oggetto inculcato dall’erudito predicatore, giurò di far parte esso pure di quella spedizione, e corse ad informare l’amata promessa sua sposa, la quale non potè distorlo dalla presa sua risoluzione. Prima di partire, e come per volersi assicurare della continua fedele costanza d’Elisabetta, il giovine e geloso Martinel l’obbligò con giuramento a visitare ogni giorno, sino al suo ritorno, un’orma del suo piede che espressamente aveva incisa sopra un sasso terragno vicino ad una fontana che scorre lungo una valletta; luogo ove essi si riposavano sovente in compagnia pascolando le loro capre. Questa pietra sulla quale si vede sino al giorno d’oggi con chiarezza e perfettamente impressa l’orma d’una pedata che serve per assicurare il passo, traversa il piccol sentiere che conduce ai vicini molini, a poca distanza ed al di sopra del nuovo stradale tra Castaneta e Molina. Tal pietra potrebbe con ragione essere chiamata la pietra della costanza, poichè la povera fedele pastorella non mancò di mantenere la giurata promessa per tutto il tempo di sua vita, giacchè il di lei amante non ritornò più dalla Palestina. Dopo la morte d’Elisabetta, i parenti dei due amanti, per eternare un tanto attaccamento, fecero, al di sotto di quella pietra, construire una piccola cappella che anche oggigiorno si vede quasi diroccata a pochi passi al di sopra dell’accennato stradale.
È pur degna di ricordanza la virtuosa resistenza d’una giovane mesolcinese la quale viveva in quel tempo. Il Conte che dominava la Valle verso la metà del duodecimo secolo s’invaghì della vezzosa figlia del pedone2, allorchè essa un giorno con garbate maniere, incaricata dal di lei padre, gli fece una missione. Dopo quel momento l’agitato Conte per poter arrivare ai voluttuosi suoi intenti, non avendo potuto altrimenti riuscire, immaginò e pervenne in poco tempo con mezzi indiretti a maritare l’onesta ed amabile donzella, lusingandosi egli di poter poi così pervenire almeno di mettere in esecuzione i laidi inventati diritti dei Castellani; ma egli s’ingannò nei suoi calcoli, perchè non ebbe altra soddisfazione che quella d’aver contribuito alla dotazione di Teresa ed alle spese delle di lei nozze, dopo le quali essa di portò, ancor parata degli abiti nuziali, col suo sposo e parenti nel castello del Conte, il quale aveva esternato un vivo desiderio di vedere i nuovi sposi, per ringraziarlo delle spese che egli aveva contribuite in di lei favore. Arrivato l’accompagnamento nel castello, Teresa si fece avanti al suo benefattore rendendogli debitamente grazie dei doni ricevuti; ma nell’istesso tempo lo rimproverò con risentimento degli artificiosi e vili mezzi i cui egli si era servito, cercando di poter disonorarla, e con maggior energia, essa lo rimproverò poi aspramente, come se fosse stata inspirata, delle vessazioni che usava verso gli abitanti di lei compatrioti. Gli arditi e piccanti rimproveri di Teresa diretti al Castellano spaventarono tutti gli astanti, e fecero stupire l’istesso Conte, il quale confuso licenziò i due sposi col loro seguito. Si pretende che dopo quel fatto il Conte fosse divenuto men inumano. Non ci è conservato che il nome di battesimo d’una sì coraggiosa e lodevole eroina, la quale abitava nella Comune di Soazza.
Causa le dissensioni che regnavano nella Rezia, verso la fine di questo periodo, cagionate dai grandi della Germania, la Val Mesolcina passò, per intrighi d’un certo curato Comasco che funzionava nella parrocchia della Calanca, sotto il Dominio spirituale del Vescovo di Como, restandovi però solamente pochi anni.
Durante lo spazio di sette cento cinquantanove anni, cioè dall’ultima breve sua indipendenza, la Mesolcina sottomessa, fu primariamente amministrata da’ Governatori sotto i Goti, da’ Conti sotto i Re franchi, da’ Governatori sotto i Lombardi, indi di nuovo da’ Conti sotto i Carolingi, e più tardi da quelli del germanico Imperatore. Sotto gli uni, come sotto gli altri la Valle fu sempre dispoticamente governata, e più o meno tiranneggiata in diverse maniere, e sotto tutti que’ Governi, ha sempre dovuto con proporzione contribuire quel numero d’uomini che esigevano le circostanze ed i capricciosi voleri.