Compendio storico della Valle Mesolcina/Capitolo XIII

Capitolo XIII

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CAPITOLO XIII.

(dal 774 al 1024)

Fine del Regno lombardo; la Valle feudo; alto Dominio dei Carolingi; riunione alla Rezia; separazione di Lumino e Caggione; nuova parrocchia; sostituzione di nome; magistratura; emigrazione; rifabbricazione d’alcuni castelletti; tirannie dei Dokburg; vedetta di Fariolo; cangiamento di nome; ponte di Gola; nuova strada; alluvioni; inondazione della Calancasca.





Cessata la Dominazione e il Regno de’ Longobardi nell’anno 774, la Valle fu convertita in Feudo passando nuovamente sotto i Franchi [p. 62 modifica]chiamati allora Carolingi, cioè sotto l’alto Dominio, venendo aggregata ai Land-Graven, Contado della Rezia, come lo era di già nel sesto secolo allorchè faceva parte del Ducato d’Allemagna e Svevia. In tale occasione le due Comuni di Lumino e Caggione coi loro territorii che si estendevano dalla parte di levantee sino al Riale di Lumino, vennero unite al Contado di Bellinzona, e l’origine fu un influente proprietario di Caggione, il quale ottenne per motivi sconosciuti tale separazione e disgiunzione, la quale fu causa che si adottasse un’altra situazione più conveniente per parrocchia di quella ove si trovava il Tempietto, qual nuova parrocchia venne poi, sotto l’istesso nome, eretta in Roveredo sul luogo ove presentemente si vedono i resti della chiesa chiamato S. Giorgio, ed ove esisteva allora un piccol folto bosco, dal quale quella Comune prese poi il nome di Rogored.

Subito al principio di quel nuovo Governo, la Mesolcina ricevette il suo particolar Tribunale di giustizia, i di cui membri dovevano essere vallerani, e venivano proposti al Governatore della Rezia dal loro Presidente che era sempre il feudatario di Mesocco, al quale Presidente era riservata una tale assoluta autorità in molte circostanze giudiziarie sì civili, che criminali, che le sentenze riuscivano quasi sempre secondo la sua volontà.

[p. 63 modifica]Come l’Impero dei Re franchi era diviso in Ducati, Contadi e Feudi, perciò esso veniva amministrato da differenti Governatori, i quali tiranneggiavano i popoli nella maniera più barbara e crudele.

Nel 896, più che un terzo dei Mesolcinesi d’ogni stato e condizione abili alle armi s’arrolarono volontariamente sotto le bandiere d’Arnolfo, padre di Lodovico, ultimo Monarca della stirpe dei Carolingi, allorchè andava in Italia per farsi riconoscere Imperatore. È probabile che questa sorte d’emigrazione derivasse causa le tirannie de’ castellani che governavano in quel tempo la Valle.

Sullo spirare del nono secolo, epoca del decadimento della potenza dei Carolingi, i Grandi, non che i Governatori sì nella Rezia, che nei paesi vicini a motivo di quell’indebolimento, s’arrogavano le Signorie delle quali non erano che semplici amministratori, e procacciandosi dei privilegi, se ne facevano ereditari; similmente i proprietari del castello di Mesocco s’attribuirono in quel tempo di confusione la Signoria della Mesolcina, e fecero riconstruire alcuni degli antichi castelletti stati eretti sotto il Dominio romano, e demoliti già al principio del quinto secolo, cioè quello di Norantola, di Santa Maria, di Roveredo, e di s. Vittore [p. 64 modifica]per mantenervi i loro emissari e satelliti, affinchè invigilassero e punissero l’imponente innato amore d’indipendenza dei Mesolcinesi.

Allorchè s’incominciarono simili primi lavori, cioè alla rifabbricazione del castelletto Mezot, nessun vallerano ha voluto, sotto inventati pretesti, prestarvisi, ben prevedendo essi a qual fine si andavano costruendo quelle torri, per cui si dovette prevalersi di lavoratori forestieri. Il Castellano che allora dispoticamente governava la Valle vedendo simile unanime sedizione, non lasciava fuggire occasione per vessare particolarmente i più influenti sullo spirito pubblico. Un giorno che egli era disceso da Mesocco per vegliare ai lavori di detto castelletto, gli venne riferito che il suo cavallo da sella era stato trovato ucciso nella scuderia, e che a quello del suo servitore si erano tagliati i nervi de’ piedi. Quest’azione commessa forse da un qualche solo malevole, fu però origine che alcuni Mesolcinesi dovettero spatriare e perdere i loro beni, perchè furono imputati come complici, o compromessi in quel fatto.

Circa a quel tempo un figlio del detto Castellano fu trovato morto sulla caccia al di sotto del castello di Mesocco, stato ucciso dal fratello d’una giovine che quel nobile dissoluto aveva disonorata con lusinghe. Remigio Fariolo di Mesocco, [p. 65 modifica]dopo d’aver divulgata la sua soddisfazione nell’aver vendicato l’onore di sua famiglia, ha dovuto però fuggirsene per evitare il castigo d’una vendetta stata eccitata da un sensibile amor fraterno.

Rifabbricato che fu il castelletto Mezot, gli venne dato il nome di torre s. Lucio, derivante da una cappella che il Castellano aveva fatta erigere, e che si vede ancora sopra una colà vicina collina, in onore del primo Vescovo della Rezia, ed a quel piccol paese si diede il nome di Norantola. In quegli anni si rifabbricò pure la torre ossia palazzo Fiorenzana per servire di casa di campagna ai proprietari del castello di Mesocco, come lo era anticamente. Questa recinta torre, ombra d’un’antica opulenza, è presentemente ancora passabilmente conservata al di fuori.

In quei deplorabili tempi, i despoti Dokburg s’arrogarono anche la nomina dei membri della giustizia vallerana, che facevano sempre cadere in creature a loro più soggette e dedicate.

Estinta la stirpe dei Carolingi, nei primi anni del decimo secolo, la Rezia unita ad altri paesi venne eretta in Ducato, sul quale il nuovo eletto Imperatore della Germania ebbe l’alto dominio.

Sino all’anno 912, lo stradale lungo la Valle serpeggiava sempre sulla sinistra del fiume Moesa, incominciando dalla sua sorgente, eccetto allor[p. 66 modifica]chè passava il ponte di Gola, perchè allora, montando primariamente alcuni minuti sino a Benabbia, conduceva a destra, una mezz’ora circa di cammino, sino sotto il castello di Mesocco sul luogo chiamato Verbio, ove traversava il ponte Cantone per riprendere nuovamente la sinistra, dirigendosi così sino a Bellinzona.

Il ponte di Gola vien riconosciuto per il primo ponte di pietra che si costrusse nella Mesolcina già nei primi tempi della sua civilizzazione, come si pote rilevare da un’inscrizione sopra una pietra che era posta ad un suo ingresso, e la quale portava il nome di Lostullux. Questo ponte era costrutto a tre ranghi d’arcate, presentemente non ne ha che due; ciò non di meno egli si trova in buon stato, ed è rimarchevole per la sua antichità e posizione, essendo egli appoggiato sulle solide radici delle due laterali montagne che rinchiudono la Valle.

Verso la fine poi di quel disgraziato anno, si diede principio alla costruzione d’una nuova strada vallerana, incominciando cioè da Verbio sino ai confini del Ticino, giacchè le alluvioni di quell’anno straordinariamente piovoso avevano cagionate tante e tali ruine, che distrussero e resero quasi impraticabile la vecchia, e sul riflesso anche che facilitava così la comunicazione [p. 67 modifica]fra le Comuni, poichè il maggior numero d’esse si trovava, come si trova al presente, da questa parte. Anche oggigiorno si vedono le disastrose vestigie di quell’anno funesto. Particolarmente la Comune di Grono soffrì in quell’occasione grandi e straordinarie disgrazie cagionate, la prima conosciuta volta, dall’arrabbiata Calancasca, che l’aveva tutta innondata di macigni e di pietre, e cambiato l’antico suo letto, il quale era ove presentemente si chiamano i Molini; d’allora in poi Grono si trovò sempre minacciato da’ gravi pericoli per lo stesso torrente.

Sebbene si fosse fatta construrre la sopraccennata nuova strada, non di meno si credette necessario di tenere aperto per il traffico anche quel pezzo di strada vecchia chiamata Bassa, che da Roveredo sulla sinistra del fiume conduce al ponte Moesa, qual tragitto, di un’ora e mezzo di cammino, fu dal 1479, sempre mantenuto a carico della Valle sino all’epoca della fabbricazione dell’ultimo nuovo stradale, 1818, giacchè da quel tempo la manutenzione della strada mercantile viene diretta per conto dell’intero Cantone.

La famiglia dei Dokburg tiranneggiò la Mesolcina trecento anni aggravandola d’arbitrarie tasse, gabelle, tributi, ec. come [p. 68 modifica]venivano generalmente tiranneggiati dai loro Conti e Castellani quei paesi che in que’ tempi soggiacevano al diritto feudale.