Commedia (Lana)/Inferno/Canto XI

Canto XI

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XI.



In questo XI capitolo intende trattare l’autore, per modo di distinzione, tutti li luoghi di pene, ch’hanno li peccatori, li quali sono infra lo primo circolo e, all’ordine dell’inferno com’è detto, in lo settimo: punisceli overo stimolali in sei circoletti, delli quali quelli che sono più verso lo centro son minori, e sono più di lungi, perch’hanno più colpa quelli che vi sono dentro, dal cielo dov’è lo paradiso. Considera l’autore che comettendo lo peccato dell’ingiuria si può fare in due modi: l’uno è ingiuriando altri per forza; l’altro è ingiuriando altri con fraude. Mette quelli che ingiuriano altri per forza in uno girone, lo quale è partito poi in tre circoletti ed è lo settimo circolo all’ordine dello inferno, perchè ingiuriare si può fare in tre modi:

Lo primo è in le persone del prossimo ed in lo suo avere, e questi sono omicidi e tiranni.

Lo secondo modo si è nella persona di sè medesimo ed in lo suo onore: questi sono desperati e biscazzatori1.

Lo terzo modo è in la persona di Dio e in lo suo ordine, e questi sono li contemnenti della divinitade, cioè biastemmiatori di Dio e negatori di lui, sodomiti e usurarii, overo caorsini. E però punisce li primi in lo primo circoletto, li secondi in lo secondo, li terzi in lo terzo.

Quelli che ingiuriano con fraude punisce in uno altro girone che segue alli tre predetti, ed è l’ottavo circolo allo inferno; e partito in due parti overo circoletti, perchè commetter fraude si può contra due condizioni di persone,

La prima è contra l’inconfidenti, che non hanno con lo fraudolente alcuna dimestichezza né familiaritade, ma dovrebbono essere con esso in amore di caritade sicome prossimo: e perchè commettere contra l’inconfidenti si può in due modi, in singulare persona ed in comune, però lo parte in due circoletti.

L’altra persona contro chi si può commetter fraude è quello di chi l’uomo si fida ed ha familiaritade e dimestichezza con esso. E a questa seconda persona non solo per la fraude si frange l’amore di carità che si deve avere al prossimo, ma frangesi sovra quello la fede. E però che questo peccato frange doppio, dispiace più a Dio, ed è messo in un altro circoletto, che è nel centro del mondo, che è apunto in mezzo la ditta cittade. [p. 228 modifica]Quelli ch’èn fraudolenti contra li inconfidenti, e stanno nelli due circoletti del secondo girone, son partiti in due circoletti del secondo girone. L’uno è li fraudolenti in singular persona, come ingannatori, ruffiani, falsari, simoniaci, auguri; e questo è lo primo. L’altro circolo si è li fraudolenti in comune, come barattieri, ipocriti, Caifas e ’l socero che consigdionno li Farisei fraudolentemente che facessino si che Cristo morisse, ladroni, crudeli, cavillosi, e datori di falso consiglio e seminatori di scandalo, alchimisti, e li Giganti che fabulosamente preliarno2 con li dei. E questo si è lo secondo.

Quelli ch’ènno fraudolenti contro li confidenti, che stanno nel centro, com’è detto, sono traditori come Lucifero è; e questi stanno nel terzo circoletto che è nel centro del mondo.

Poscia ch’ha detto la distinzione de’ luoghi, si ’l domanda per modo ch’ è dubbio, qual’è la cagione che molti peccatori sono puniti fuori della detta città, e questi dentro. E sì come apparirà nella esposizione, e lì si solve lo dubbio. Ancora li fa un’altra questione, com’è cioè che lussuria è reputata più ingiuria di Dio che del prossimo, imper quello che l’autore mette per sè li ingiuriatori, com’è detto, del prossimo, e per se li ingiuriatori della divinitade. E solve questa questione come apparirà nel testo.

Poi compie suo capitolo denotando lo tempo che era per constellazione. Ed è da notare che l’autore fin quie non è stato se non un die e una notte, cioè XXIIII ore in questo laberinto. (1) 3

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In su l’estremità d’un’alta ripa,
     Che facevan gran pietre rotte in cerchio,
     Venimmo sopra più crudele stipa:
E quivi per l’orribile soperchio
     Del puzzo, che il secondo abisso gitta,4
     Ci raccostammo dietro ad un coperchio
D’un grande avello, ov’io vidi una scritta
     Che diceva: Anastasio papa guardo ,
     Lo qual trasse Fotin della via dritta.
Lo nostro scender conviene esser tardo,
     Sì che s’ausi prima un poco il senso
     Al tristo fiato, e poi non fia riguardo.

  1. Desperati e giocatori R.; ma resto colla Vind che Dante ha biscazza.
  2. Preliarno do col R. Fabulosamente, cioè: secondo ch’è scritto nelle favole.
  3. Preliarno do col R. Fabulosamente, cioè: secondo ch’è scritto nelle favole.
  4. V. 5. Notò acutamente l’ ab. Lorini che il profondo abisso era gelato e puzzo dar non potea, e ch’era da studiare se il Cod.Cortonese ben leggesse a leggere
    secondo. Diffatti era cotesto un assurdo. Viene poco poi in soccorso il lesto col secondo giron ; e il commento coi circoletti del secondo girone.

V. 1. Venuto Dante verso lo mezzo, pensoso delle parole e divinazione che li avea ragionato Farinata, seguendo suo poema, dice che venne sopra maggiore stipa , la qual era terminata da una riva di pietre, che facean cerchio ritondo sopra quello che erano. E soggiunge che ’l fetore era si dismisurato che avrebbe corrotto ogni senso; sicome dice lo Filosofo in libro De sensu et sensato: — excellentia sensihilium corrumpit sensum. E perciò provide Virgilio ch’era meglio ad entrare adagio, quasi a dire lo senso s’auserà a tal fetore; sichè a farlo adagio per successione meno agrevarà a’nostri sensi.

Apresso ad un sepolcro, overo avello, in lo quale era scritto, sicome nel mondo qua si scrive: sepultura domini etc, cosi era scritto: io guardo papa Anastasio,1 ed a voler più palesare singularmente qual era stato, d’esso dicea quella scritta lo qual fu tratto da Fotin dalla via dritta, e però fu desfatto papa. Lo qual Fotino eretico, per gran familiaritade ch’ebbe con Anestasio, si lo condusse a credere che in Cristo non fusse se non simpliciter una natura cioè umana, sicome è detto in lo nono capitolo là dove funno connumerati in comune li eretici, in lo capitolo della concezione del Figliuol di Dio. 10. Sicom’è detto, per ausar lo senso.

  1. Richiamando il dantesco resta Anastasio ma il Lana scrive Anestasio
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Così il Maestro; ed io: Alcun compenso,
     Dissi lui, trova, che il tempo non passi
     Perduto; ed egli: Vedi che a ciò penso. 15
Figliuol mio, dentro da codesti sassi,
     Cominciò poi a dir, son tre cerchietti
     Di grado in grado, come quei che lassi.
Tutti son pien di spirti maledetti:
     Ma perchè poi ti hasti pur la vista, 20
     Intendi come e perchè son costretti.
D’ogni malizia ch’odio in cielo acquista,
     Ingiuria è il fine, ed ogni fin cotale
     con forza o con frode altrui contrista.
Ma perchè frode è dell’uom proprio male, 25
     Più spiace a Dio; e però stan di sutto
     Gli frodoleuti e più dolor gli assale.
De’ violenti il primo cerchio è tutto:
     Ma perchè si fa forza a tre persone,
     In tre giorni è distinto e costrutto. 30
A Dio, a sé, al prossimo si puone
     Far forza, dico in loro ed in lor cose,
     Come udirai con aperta ragione.
Morte per forza e ferute dogliose
Nel prossimo si danno, e nel suo avere 35




V. 13. Qui vuol distinguer l’ordine de’ circoli della cittade di Dite.

16. Tre circoletti, cioè tre gironi.

19. Quasi a dire che molto pecca la umana generazione in quelli peccati.

22. Come appare nel testo, la fine di quelle malizie si è ingiuria con forza, ed iniuria predetta con fraude.

25. Qui mostra la giustizia di Dio che punisce là dove è maggior colpa; dice che frode è propria azione umana, cioè che non è sedotto nè da corpi celesti nè da passioni corporali. E però che è propria sì è più odiata da Dio, e per consequens hanno quelli cotali più pene.

28. Qui distingnie che ’l primo girone è tutto de’ violenti, cioè degli ingiuriatori , ma perchè a tre persone diverse può essere fatta tale ingiuria, è diviso in tre circoletti; lo più basso si è l’ingiuria fatta a Dio, lo seguente si è l’ingiuria fatta a sé medesimo: quel di sopra si è al prossimo, sicome è detto di sopra in la distinzione.

34. Morte per forza, — Qui connumera le offese ed ingiurie ch’enne centra lo prossimo. Morte per forza, cioè omicida.

34. Ivi. Ferule dogliose sono ingiurie corporali; — ruine cioè disertare all’altrui dell’avere; — incendii cioè lo bruciare l’avere d’altri ; — tollette dannose cioè rubare.

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     Ruine, incendi e toilette dannose:
Onde omicidi e ciascun che mal fiere,1
     Guastatori e predon, tutti tormenta
     Lo giron primo per diverse schiere.
Puote uomo avere in sè mano violenta 40
     E ne’ suoi beni: e però nel secondo
     Giron convien che senza prò si penta
Qualunque priva sè del vostro mondo,
     Biscazza e fonde la sua facultade,
     E piange là dove esser dee giocondo. 45
Puossi far forza nella Deitade,
     Col cor negando e bestemmiando quella,
     E spregiando natura e sua bontade:
E però lo minor giron suggella
     Del segno suo e Sodoma e Caorsa 50
     E chi, spregiando Dio, col cor favella.
La frode, ond’ogni coscienza è morsa,
     Può l’uomo usare in colui che si fida,2
     E in quello che fidanza non imborsa.


  1. V. 37. Il Wite non visti i Commenti fu meno presto a scansar gli errori. Il R. testo e Commento con altri Cod. testuali ha Onde omicidi; e cosi i due membranacci parmensi, il Bg; BP e i tre universitari bolognesi II cod. Land, il BS, parmigiano, il 18 e la Vind. pessimamente Odii, omicidii, contrario al buon senso. Il Witte che segui la Crusca è da scartarsi, la R. da accettarsi.
  2. 53. Passo anche questo controverso. Il Witte scrisse In colui che ’n lui fida, ed ebbe il Cod Laur. XC, 121 e il Land. BS, BU, BV, e forse in antico i frammenti dell’Università bolognese corretti poi, empiendo un vuoto si come lesse la Vindelina; la quale testo e commento accordati col R. 1005 ha come io tengo, lo tengo che si fida , perchè ’l verso è migliore, perchè nessuno tenta frodare se non chi per indolente è fidente, e perchè sta bene sopra ’l verso che segue. Il si fida è indeterminato, e sui generali; in chi fida è determinat, è particolare e contro il senso.




37. Qui dice in comune che ’l primo circoletto è di persona di tal condizione.

40. Cioè biscazzare e gittare altrui disordinatamente. Questi sono nel secondo circoletto.

43. Qui replica li predetti del secondo circoletto.

46. Questi sono quelli che biastemmiano Dio e che ’l negano in suo detto.

48. Cioè questi che sono centra natura, come sodomiti e Caorsini: e questi sono messi nel terzo circoletto più basso di questi tre primi.

52. Poscia ch’ha detto e distinto di quelli che commettono ingiuria e forza, intende mo trattar di quelli ch’è sovra, cioè commettono fraude, e dice che si può commettere in colui che si fida, ed eziandio in colui che non la imborsa, cioè in colui che non si fida.― Questo modo, cioè colui che ingiuria con frode in questo

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Questo modo di retro par che uccida 55
     Pur lo vinco d’amor che fa natura;1
     Onde nel cerchio secondo s’annida
Ipocrisia, lusinghe e chi affattura,
     Falsità, ladroneccio e simonìa,
     Ruffian, baratti e simile lordura. 60
Per l'altro modo quell'amor s’obblìa
     Che fa natura, e quel ch’è poi aggiunto,
     Di che la fede spezial si crìa:
Onde nel cerchio minore, ov’è il punto
     Dell’universo in su che Dite siede, 65
     Qualunque trade in eterno è consunto.
Ed io: Maestro, assai chiaro procede
     La tua ragione, ed assai ben distingue
     Questo baratro e il popol che il possiede.
Ma dimmi: Quei della palude pingue 70
     Che mena il vento e che batte la pioggia,
     E che s’incontran con sì aspre lingue,
Perchè non dentro della città roggia
     Son ei puniti, se Dio gli ha in ira?
     E se non gli ha, perchè sono a tal foggia? 75


  1. 56. Correggo Vincol in Vinco men duro e n’ho es. in Par. XIV, 129 e 'l trovo nel Laur. XL, 7. nel Vat. detto del Boccaccio, nel Filippino di Napoli , e nelle edizioni del Tuppo e di Fuligno.




secondo modo, come colui che non la imborsa, offende pure all’amor naturale, che dee avere l'un prossimo con l' altro.

V. 58. Qui distingue quali son essi, cioè ipocriti, ingannatori, affatturatori, falsi, ladri, simoniaci, roffiani, e barattieri. Or questi così fatti non eleggeno , ma comunemente ad ogni uomo che puonno usano loro tramaglio1, e però che non è così iniquo come quello di che mo diremo, si è in uno circoletto più suso punito tal peccato.

61. Dice che li altri obviano, cioè piegano l’amore predetto naturale, e sforzano e scurano quello altro amore che si crea e nasce della fede. Siche è doppia offesa; l'una com’ è detto all’amore del prossimo; l’altra alla fiducia, e questi cotali sono traditori.

65. Cioè nel più basso circolo dell’inferno.

67. Qui refferma l'ordine per bello.

69. Dice Papìa che (baratro) è a dire profondo pozzo.

Ivi. Cioè l'anime che vi sono entro in possessione.

70. Qui, come appar nel testo, domanda perchè non son tutti i peccati puniti dentro dalla città di Dite.

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Ed egli a me: Perchè tanto delira,
     Disse, lo ingegno tuo da quel ch’ei suole?
     Ovver la mente dove altrove mira?
Non ti rimembra di quelle parole,
     Colle quai la tua Etica pertratta 80
     Le tre disposizion che il ciel non vuole,
Incontinenza, malizia e la matta
     Bestialitade? e come incontinenza
     Men Dio dfende e men biasimo accatta?
Se tu riguardi ben questa sentenza, 85
     E rechiti alla mente chi son quelli,




V. 79. Aristotile filosofo, compuose in la filosofia morale un libro, lo quale è apellato Etica, nel qual libro elli tratta de’costumi umani. Or è così che ogni buona azione d’uomo vuole esser fatta da quello con verace pratica e con dritto appetito. Che se non fusse fatta con dritta pratica e verace, e con dritto appetito non sarebbe imputata virtude, sicome mostra per ragione lo detto Filosofo in lo VI libro della detta Etica: che cosi e l’appetito come la operazione, s’elli non sono a proposito, ed elli adduceno in effetto, bene, questo è caso. Or è così che questi due modi si possono pervertere, cioè inversarsi ed obviare dal dritto solco. S’ello si perverte solo l’appetito, e la pratica rimane ferma e verace, è appellato questo vizio incontinenzia, cioè che l’animo non è stato in quello contegno che dovrebbe essere; sicome quelli ch’hanno dritta estimazione, ma lasciansi vincere ad uno appetito e desiderio, e fallano, e però son detti incontinenti. E se la ditta perversitade monta tanto che non solo ella signoreggi l’appetito, ma eziandìo la pratica detta, per lo qual fallo l’uomo corre in eleggere quel male, è appellato quel vizio malizia. E però quelli che in tal soversione sono allagati, sono detti maliziosi, sicome si prova nel V libro della predetta Etica. E quando la perversitade cresce tanto ch’ella corrompe la temperanza, e passa li termini della vita umana in male, è detta bestialitade, però ch’ella traggo l’uomo della sua natura e desumanalo: e questi così fatti son detti bestie, sì com’era alcuni che mangiavano carne umana, altri che sparavano femine gravide per dissipare lor feto, over creature. E simili sono quelli che usano li organi corporali ad altro uso, offizio e fine che non sono fatti, e così l’altre cose temporali come sono li sodomiti e li usurarii. Sichè chiaro appare per lo detto dell’Etica che sono tre generazioni di peccatori, incontinenti, maliziosi e bestiali; li incontinenti meno offendono a Dio delli altri; li maliziosi più, perchè fanno doppia offesa d’appetito e di pratica; li bestiali più, che non solo offendono per appetito e per pratica, ma sopratutto a temperanza ed a ragione umana: e però dice: di quelle parole, cioè chi sono quelli che ’l cielo non riceve.

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     Che su di fuor sostengon penitenza,
Tu vedrai ben perchè da questi felli
     Sien dipartiti, e perchè men crucciata
     La divina vendetta gli martelli.290
Sol che sani ogni vista turbata,
     Tu mi contenti sì, quando tu solvi,
    Che, non men che saver, dubbiar m’aggrata.
Ancora un poco indietro ti rivolvi
    Diss’io, là dove di’ che usura offende 95
    La divina bontade, e il groppo svolvi.
Filosofia , mi disse , a chi la intende,


  1. Il Codice Magliabecchiano in vece di questo tramaglio ha falsitade
  2. V 90. Rigetto giustizia accettata da molti, e accetto vendetta. Quel crucciata vuol questa, non quella. La giustizia è fredda e serena; il ciuccio stimola una riazione. La Vind., il R, il Land, i tre universitaiii bolognesi, BP, Bg. Cavr, il Laur. XL, 7, i tre parmigiani, il Cassinese, ed altri Cod. sembrano aver seguitata con senno questa correzione sicuramente dantesca.


V. 87. Quasi a dire: l’incontinenti furon messi di fuori perchè meno offendeno a Dio.

88. Quasi a dire: questi maliziosi e bestiali sono più felli; e però dentro sono posti.

91. Segue lo poema lodando tal sentenzia ed assoluzione.

94. Or qui fa l’altra questione, perchè son messi li usurali cosi bassi, in per quello che nel loro peccato par pur ell’ elli offendano in lo ben del prossimo.

97. Qui risponde alla questione, e dice che in filosofia naturale s’hae ch’ell’ è da venire a un principio, lo quale è cagione d’ogni naturale cosa, perchè non è processo in infinito in le cagioni; e questo principio colla sua arte, cioè ordine, è lo corso e ’l processo naturale, e questo è detto natura. Or avemo che questo principio colla sua parte dispone ed ordina tutto: questo non può essere altro che Dio, e però dice: dal divino intelletto, e da la sua arte. Or vuol Dante qui mostrare introducendo Virgilio per absolvidore di questa questione, che la nostra arte è aitata, e assimigliasi quanto puote alla natura: si che ognuii fiata che la nostra arte s’assomigli al corso e processo naturale, va ragionevilmente. Or che la nostra arte s’assomigli quanto può alla natura, aduce per autorità la Fisica del Filosofo; non dopo molte carte questo intende nel secondo libro là dove dice: ars imitatior naturam in quantum potest. Facendo poscia comparazione della nostra arte a quella di Dio, che, com’è ditto dall’arte di Dio è la natura; dalla natura è la nostra arte: sichè la nostra arte è nepote dell’arte di Dio. Conclude adunque questa ragione, che quando l’arte nostra intende ad altro corso che al naturale, allora offende a Dio e al suo ordine; natural cosa non è che uno denaio faccia un altro denaio, come vuol che faccia l’usurieri, e però offende a Dio; che se lo investisse in una altra cosa, come in bestiame, naturale è che elli

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     Nota non pure in una sola parte,
     Come natura lo suo corso prende
Dal divino intelletto e da sua arte; 100
     E se tu ben la tua Fisica note,
     Tu troverai non dopo molte carte,
Che l’arte vostra quella, quanto puote,
     Segue, come il maestro fa il discente,
     Sì che vostr’arte a Dio quasi è nipote. 105
Da queste due, se ti rechi a mente 1
     Lo Genesi dal principio, conviene
     Prender sua vita, ed avanzar la gente,
E perchè l’usuriere altra via tiene,
     Per sé natura, e per la sua seguace 110
Dispregia , poiché in altro pon la spene.


  1. V. 106. Molti hanno: Da queste due se tu ti rechi a mente. Se non fanno dittongo due, che non credo si possa, il verso ha dodici piedi. Così è per chi invece di due ha cose come il BS; sopprimo il tu, e racconcio tutto, e ne ho grazia al Pucciani Cod e al Bartoliniano. Oh come mai il Becchi non s’avvide del da fare e non fare, e con lui non si avvidero Nicolini, Capponi e il Borghi? Il Witte che seguì loro resta in iscacco. Il Cod. Cassinese ha: Da queste cose se ti rechi a mente; e forse è il meglio; e non è delle interpolate come si asserì contro Resini che ne portò una simile




moltiplica; in terreni e vigne, naturale è che li fruttificano: in altre mercanzie che sono sottoposte alle stagioni e a’casi che puonno adevenire per ordine e volontà di Dio, dàn cagioni tali casi di star sempre timidi, di non offendere Dio; ma lo usurieri è dissoluto da tali casi che tal se ’l piove, o neva, o sia tempesta o bonaccia in mare, elli pur vuole che suoi denari avanzino cotanto per libra. Ancora assegna Virgilio a Dante un’altra ragione, ed è scritto in la Scrittura santa nel Genesis: oportet ab initio sæuli humanmn genus sumere vitam et excellcre unum alinm per naturam et artem. Dunque appare per la detta autorità che l’uno può avanzare, l’altro per natura in essere virtudioso e temente Dio per arte, cioè per propria operazione, la quale arte sia simiglievile alla natura in quanto ella può.

V. 109. Qui conclude perchè l’usurieri devia da questo corso e ordine, però è punito nella città, dove sono quelli che offendeno alla divinità; ch’elli offende e devia dalla natura e da arte: e sovratutto non pone la speranza a colui, a chi elli l’ha a disponere; fa lo contrario del psalmo: in te, Domine, speravi non confundar in æternum 1. Elli non pone in Dio sua speranza, però è confuso nelle eternali pene.

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Ma seguimi oramai, che il gir mi piace:
     Chè i Pesci guizzan su per l’orizzonta,
     E il Carro tutto sovra il Coro giace,




V. 112. Qui intende mostrare l’ora che era per la disposizione del cielo. Circa la qual disposizione del cielo è da notare, siccome pone la scienzia d’astronomìa, che nel cielo è un circolo, lo quale è appellato Zodiaco, ed è situato in esso siccome appar nella spera marziale, che sempre è lo spazio di sei segni sovra terra e di sei sotto terra, e sia l’abitazione in che parte si voglia del mondo, lo qual Zodiaco si muove al moto diurno, cioè dà una volta come le altre parti del cielo in XXIIII ore ed è partito in XII parti overo segni, li quali sono appellati per li astrologhi Aries, Thaurus, Gemini, Cancer, Leo, Virgo, Libra, Scorpio, Sagittarius, Capricornus, Aquarius, Pisces. Or è partito ciascuno di questi segni in trenta parti, e sono appellate le dette parti Gradi. E ’l sole è cagione di fare lo die e la notte, a per consequens l’ore vanno per li detti segni ed avanzane ogni die circa uno grado. Or è così che quando Dante cominciò questa Comedia lo sole era in Ariete ed era in oriente, sicome elli dice nel primo capitolo2.

113. È quel circolo imaginato che parte lo cielo in due parti. L’una parte è tutto quello che si vede, l’altra parte è tutta quella che n’è occulta. Siche a dire: sovra 1’ orizon, è a diie: sovra terra.

114. Poscia ch’ha disegnata l’ora ch’era per la constellazione gh’ era nell’oriente, qui vuol mostrare la predetta ora per la constellazione ch’era nell’occidente, e dice e ’l Carro tutto. Circa la qual costellazione è da sapere che in ciascuno de’predetti segni del Zodiaco, è altre costellazioni che quelle per che elle non ricevono nome. Vero è ch’elle non tolleno lo nome se non da quelle imagini che nel suo mezzo sono. Tiene la sua iurisdizione dall’un polo all’altro come appare quie; sichè nel segno del Leone verso questo polo che a noi appare è una costellazione che è appellata lo Carro, che sono sette stelle più grosse dell’altre, e le due stelle che sono di drieto sono appellate le ruote, sono appunto nel segno del Leone. Or dice l’autore che questo carro era tutto sopra lo coro. Coro è nome d’un vento, lo quale è tra ponente e maestro, ed è appellato Corina per alcuni marinari. Sichè mostra già che Leone era sotto terra, e cotanto più quanto elli avea passato lo ponente ed era ito verso lo maestro, sicome appare nella spera che li segni vanno sopra terra dal levante, overo oriente, in austro e poi in ponente; sotto terra tegnono la opposita forma e norma, cioè da ponente vanno in settentrione overo tramontana, o poi resurgeno in levante. Or se ’l Leone era sotto terra, seguisce che Virgo fosse in tramontana, e cosi convelli a per la ragion sopradetta, ch’è sempre spazio di sei segni sovra terra, che pisces fusse in oriente.

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INFERNO. — Canto XI. Verso 115 233

E il balzo via là oltre si dismonta. 115




115. Poi ch’ha mostrato e detto dell’ora, or dice del luogo mostrando a dito la via che voleano fare per volere discendere.

E così compie suo capitolo.



Nota. Tutto quello che nell' Ottimo sta di chiosa al v. 52 è amplificazione di ciò che ha detto il Lana. Al v. 114 è lungo tratto verso il fine della glossa. Il canto XII cammina diverso da quello che il Lana scrisse; ma qua e là par di sentire il fondo di quell’egregio ed antico autore. Chi poi legga il Comm. attribuito al Boccaccio fiuta altro.

XI.



In questo XI capitolo intende trattare l’autore, per modo di distinzione, tutti li luoghi di pene, ch’hanno li peccatori, li quali sono infra lo primo circolo e, all’ordine dell’inferno com’è detto, in lo settimo: punisceli overo stimolali in sei circoletti, delli quali quelli che sono più verso lo centro son minori, e sono più di lungi, perch’hanno più colpa quelli che vi sono dentro, dal cielo dov’è lo paradiso. Considera l’autore che comettendo lo peccato dell’ingiuria si può fare in due modi: l’uno è ingiuriando altri per forza; l’altro è ingiuriando altri con fraude. Mette quelli che ingiuriano altri per forza in uno girone, lo quale è partito poi in tre circoletti ed è lo settimo circolo all’ordine dello inferno, perchè ingiuriare si può fare in tre modi:

Lo primo è in le persone del prossimo ed in lo suo avere, e questi sono omicidi e tiranni.

Lo secondo modo si è nella persona di sè medesimo ed in lo suo onore: questi sono desperati e biscazzatori3.

Lo terzo modo è in la persona di Dio e in lo suo ordine, e questi sono li contemnenti della divinitade, cioè biastemmiatori di Dio e negatori di lui, sodomiti e usurarii, overo caorsini. E però punisce li primi in lo primo circoletto, li secondi in lo secondo, li terzi in lo terzo.

Quelli che ingiuriano con fraude punisce in uno altro girone che segue alli tre predetti, ed è l’ottavo circolo allo inferno; e partito in due parti overo circoletti, perchè commetter fraude si può contra due condizioni di persone,

La prima è contra l’inconfidenti, che non hanno con lo fraudolente alcuna dimestichezza né familiaritade, ma dovrebbono essere con esso in amore di caritade sicome prossimo: e perchè commettere contra l’inconfidenti si può in due modi, in singulare persona ed in comune, però lo parte in due circoletti.

L’altra persona contro chi si può commetter fraude è quello di chi l’uomo si fida ed ha familiaritade e dimestichezza con esso. E a questa seconda persona non solo per la fraude si frange l’amore di carità che si deve avere al prossimo, ma frangesi sovra quello la fede. E però che questo peccato frange doppio, dispiace più a Dio, ed è messo in un altro circoletto, che è nel centro del mondo, che è apunto in mezzo la ditta cittade.






  1. Veramente è: intende Domine, speravi in le ut non confundar in æternum; testo forse antico della Bibbia.
  2. Qui seguiva ciò che per giusto fu portato al Canto I. vers. 57 e 38.
  3. Desperati e giocatori R.; ma resto colla Vind che Dante ha biscazza.