Codice cavalleresco italiano/Libro I/Capitolo XI
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | Libro I - Capitolo X | Libro I - Capitolo XII | ► |
XI.
A chi è vietata la parte di rappresentante
o di testimone.
Parlando delle qualità che distinguono un abile rappresentante e testimone, abbiamo detto che, prima fra tutte e la più essenziale, è l’onorabilità illibata. A questo requisito capitale fa d’uopo aggiungerne altri, che sono: la neutralità nella questione, il disinteresse, l’imparzialità e l'esperienza.
È chiaro che, dall’esigenza di queste qualità sorga una serie d’impedimenti, la quale vieta a molti di rappresentare o di tutelare le parti implicate in una vertenza d’onore. E così:
Non possono rappresentare o assistere una delle parti nelle questioni d’onore:
1° coloro che hanno precedenti giudiziari, che ne abbiano intaccato l’onorabilità;
2° coloro che, senza essere caduti sotto sanzioni penali, godono di cattiva riputazione;
3° gli usurai in genere;
4° le spie;
5° i confidenti della polizia;
6° gli usurpatori di titoli e di decorazioni;
Nota. Usurpare titoli e decorazioni è un reato punito dal Codice penale, ed è azione codesta di vanità sciocca, che mal si addice a chi vuol trattare di cavalleria, fatta tutta (almeno dovrebbe esserlo) di lealtà e di verità.
7° gli scrocconi;
8° coloro che si son fatti, o che si fanno mantenere da una donna, che non sia loro stretta parente;
9° coloro che contrassero debiti disonoranti, o che si trovano sotto l’imputazione di averne;
10° i bari;
11° coloro che hanno precedentemente rifiutato una riparazione d’onore, senza esser provvisti di un verdetto o di verbali che ne giustifichino l’operato, o che abbiano lasciate insolute, senza ragione, altre vertenze (Giurì d’onore di Milano, 18 febbraio 1892);
Nota. — A chi fu offeso gratuitamente, per es. non può applicarsi questo principio e nemmeno l’altro enunciato all'art. 239 g.
12° tutti coloro che hanno pendente una vertenza d’onore;
13° coloro che hanno partecipato comunque all’offesa commessa, allorchè una stessa offesa sia stata consumata da più persone a danno dello stesso individuo (così opina anche l’Angelini, III).
Nota. — Facilmente si comprendono le ragioni, che consigliano una tale proibizione. Queste differenti persone interessate in una certa maniera nella vertenza, facilmente si lascerebbero trascinare dalla partigianeria, trascurando quell’imparzialità, che è necessaria per conseguire un giusto, soddisfacente e pacifico accomodamento.
Sono pure incapaci di rappresentare le parti avversarie e di fungere da testimoni nello scontro:
14° i condannati per fallimento doloso;
Nota. — Gl’inabilitati, invece, conservano i caratteri del gentiluomo tutte le volte che la loro inabilitazione è causata da prodigalità e non da fatti che ne hanno intaccato l’onore. Però, gli interdetti per abituale infermità di mente, essendo irresponsabili di fronte alle leggi d’onore, non possono fungere da rappresentanti, e tanto meno si può domandare o accordare loro soddisfazione nel campo cavalleresco.
15° i rappresentanti che hanno inserito o lasciato inserire nei verbali di una vertenza cose o fatti non conformi alla verità;
16° coloro che, imputati di aver mancato alle leggi d’onore come giudici in un giurì, per aver compromesso l’onore altrui, rivelando comunque e a chicchessia circostanze e testimonianze riguardanti la cosa da essi giudicata; e coloro che sono imputati di mancanza a dette leggi in uno scontro come primi, o come testimoni di non averlo impedito, non sono stati liberati dall’imputazione da un verdetto di un giurì d’onore;
Nota. — Si ritiene mancanza grave all’onore, e tale da escludere per sempre dal campo cavalleresco: il propalare circostanze e testimonianze conosciute per l’esercizio di giudice d’onore, compromettendo così la tranquillità di persone estranee alla vertenza; tentare, come giudici di onore in giurì unilaterale di esercitare o fare esercitare coercizione su altri, affinchè si presenti a deporre davanti al giurì stesso, più per ottenere — specie nel caso di un giurì unilaterale — il riconoscimento contrastato di quello, che per ragioni di verità e di giustizia; l’accettare di rappresentare una parte contro chi fu rappresentante nostro, o fu rappresentato da noi in precedenti vertenze. Per disconoscere codesto obbligo morale bisogna essere o pazzi o incoscienti. Non occorrono parole per dimostrare la immoralità profonda di un simile fatto, fortunatamente raro negli annali cavallereschi italiani.
17° coloro che sono stati riconosciuti da un tribunale penale o d’onore colpevoli d’aver mancato alle condizioni stabilite per un duello e all’onore;
18° i testimoni ritenuti pubblicamente complici di questa violazione, o che l’hanno permessa.
Nota. — I colpevoli di tali infrazioni, come pure coloro che, nel regolare le condizioni dello scontro, usano frodi per favorire il loro cliente, dovrebbero risponderne per le vie penali, piuttosto che per le cavalleresche. Si raggiungerà codesto scopo deferendo all’autorità giudiziaria coloro che, presenti alla pugna, scientemente non avessero impedito la violazione delle condizioni stabilite per quella; che, scientemente, avessero permesso che una frode avvenisse in pregiudizio dell’uno o dell’altro combattente, o che, per avvantaggiare il proprio cliente, avessero scientemente sorpresa la buona fede di chi li credeva perfetti gentiluomini. Specialmente nei primi due casi sopraccennati, i padrini avrebbero dimostrato di non aver compreso la gravità della loro missione, ed avrebbero mancato a quell’assegnamento che il legislatore aveva fatto sulla lealtà loro.
Molte delle accennate esclusioni rivestono indubbiamente un carattere imponderabile, mentre altre costituiscono (quando non sieno provate per via di tribunale), un reato di diffamazione per chi le asserisce. Per cui, quando in una vertenza, vi è mescolata una persona che può essere colpita da una delle eccezioni sul duello, sarà bene rivolgersi alla Corte permanente d’onore, in Firenze (via Roma 3, studio avv. Boldrini), perchè si pronunci in proposito.
Lo stesso impedimento esiste per i parenti in primo grado, i quali non possono funzionare da rappresentanti o da testimoni di parenti, nè contro i parenti; ed in talune circostanze per i maestri di scherma (così opinano anche: Angelini, III; De Rosis, III, 19°; Châteauvillard, IV, 25°).
Nota. — I legami di sangue e di affezione tolgono al testimone quella libertà d’azione e di apprezzamento che costituisce il primo dei doveri di un padrino; oltre ciò sarebbe immorale, vedere il figlio o il fratello assistere in uno scontro p. es. l’avversario del padre e del fratello.
Se il caso vi mettesse di fronte a mandatari, i quali non si trovassero in piena regola colle leggi d’onore, se rappresentano o tutelano la parte contraria, saranno per voi il termometro della moralità dell’avversario: ma se avete qualche cosa a rimprovare a voi stesso, non accettate alcun mandato, e declinatelo se lo avete già accettato, per non porgere il destro alla controparte di pensar male del vostro cliente, o di sollevare una questione d’indegnità, allo scopo d’ingarbugliare la vertenza a proprio vantaggio e spesso per scopi inconfessabili.