Clelia/LXXVI
Questo testo è completo. |
◄ | LXXV | Appendice | ► |
Di qua però era immediatamente partito, perchè Giulia, lo aveva inviato a cercar notizie del come andasse l’insurrezione sugli altri punti di Roma. — Ora tornava — e noi lo sappiamo — con novelle tristissime. — Nella sua qualità d’inglese — e coll’elasticità che lo distingueva — egli aveva assistito a quasi tutte le pugne — e coi propri occhi s’era reso certo dei resultati infelici.
Attilio e Muzio ben conoscevano — come dissi — la sorte loro serbata — e sapevano pure essere quasi impossibile che le donne potessero uscire dalla parte posteriore del lanificio. — Per tentarlo esse avrebbero avuto bisogno della lestezza ed agilità del giovane marino — seguendo. nell’uscire, la via aerea ch’egli aveva trovata per giungere nell’interno.
Alle esortazioni che avevagli fatte Attilio — così Muzio rispose: — «Io dirò alle donne — tutto quello che vuoi. — Ma credo in prima — impossibile che oramai si possano mettere in salvo — poi — ritengo per fermo — che anche potendolo non lo vorranno.»
CAPITOLO LXXVI.
IL SOTTERRANEO.
Fra gli operai superstiti — che si trovavano alla difesa del portone — si scorgeva un canuto. — Questi prestava orecchio alla conversazione dei due capi — e alle ultime parole di Muzio — intervenne, dicendo: «Se vi preme ritirarvi da questo luogo — e salvare voi e le donne vostre — io conosco un’andito segreto che vi condurrà certamente fuori di pericolo.» —
Un barlume di speranza — la speranza di salvare quelle carissime creature — balenò alla mente dei due amici — i quali, non essendovi tempo da perdere — giacchè i nemici si preparavano ad un nuovo assalto — vollero tosto seguire il provvidenziale consiglio del vecchio operaio.
Muzio si avvicinò a Giulia e a Clelia che non erano lontane — e mettendo innanzi la condizione, che Attilio e lui le avrebbero seguite nel sotterraneo — dove toccava loro come capi a scendere gli ultimi e non i primi — giunse- a rimoverle dal loro ostinato diniego. Così fu stabilito che s’inoltrassero nel sotterraneo — sotto la scorta del vecchio Dentato — e di John. — Le altre donne seguirebbero la marcia — e per ultimi i nostri amici — con quanti restavano ancora dei difensori del lanificio. —
E i feriti? — se vi è una circostanza disgustosa — odiosa — terribile — in questi macelli d’uomini che si chiamano battaglie — essa è certamente quella di dover abbandonare i propri feriti al nemico!
Poveri feriti! In un istante i volti dei vostri amici — dei vostri fratelli — che vi compiangevano — vi assistevano con tanta amorevolezza — spariranno! — e al lor posto verranno i ributtanti — orridi — millantatori ceffi dei mercenari — che secondo la lor scellerata natura — infrangendo ogni diritto di guerra e delle genti — vorranno bagnare le negromantiche bajonette — nel sangue vostro prezioso!
Codardi! — loro che fuggirono davanti a voi — loro, cui concedeste generosamente la vita1 sorretti ora da ventimila soldati del due Dicembre — si son rifatti arditi — e, perversi! — hanno dimenticato che vi devono l’infame loro esistenza! —
In S. Antonio (America) eran pur italiani che pugnavano contra soldati del despotismo! — e molti e moltissimi furono i feriti! — Là sugli omeri dei fratelli — e sui cavalli si dovevano trasportare i feriti — ed uno solo — vivo2 non rimase nelle mani dei cannibali di Rosas.
E sono forse da meno i cannibali del prete? — Nella stazione di Monterotondo dove dopo il glorioso assalto del venticinque Ottobre — giacevano tre feriti — in attesa del convoglio — che li trasportasse a Terni — giunsero i soldati dal papa — e, degni seguaci degli inquisitori — si divertirono a trucidare quegli infelici nostri compagni — a colpi di bajonetta — e col calcio dei fucili 3.
Oh! Italiani! non lasciate mai in poter del nemico i vostri feriti! — E troppo miserando spettacolo! — Se non verranno macellati — rimarranno esposti per lo meno agli scherni — ed alle beffe — di chi sciaguratamente è assuefatto a disprezzare l’Italia!
Attilio e Muzio — stanchi e piagati — non vollero abbandonare i feriti all’insulto ed al ferro dei soldati pretini. —
Nel sito più basso del lanificio — all’estremità d’un immenso lavatojo per la lana — scorgevasi una porta di quercia massiccia — la quale sembrava a primo aspetto dover dare sul canale delle acque — canale che probabilmente andava a sboccare nel Tevere — parte del Tevere egli stesso. E il canale esisteva davvero — ma la porta — metteva invece in un sotterraneo — a traverso un ponte costrutto sul canale stesso. —
Per quel sotterraneo cominciò a difilare la pietosa processione di donne — di feriti — e d’assistenti — quando ogni speranza, non di vincere, ma anche di resistere, era venuta meno.
Ma nella città pretina — colla corrotta miserabile educazione della menzogna — e dell’ipocrisia — troppi sono i traditori — ed un traditore vi fu — che gettando uno scritto da una finestra — mentre scendevano i popolani — avvertiva gli sgherri — della ritirata dei difensori.
L’assalto allora non venne più a lungo differito. — Una moltitudine sempre crescente di mercenari e di birri — s’avventò sulla barricata del portone — e lo invase — mentre ben pochi eran rimasti i difensori. —
Attilio e Muzio — se. più amanti della propria salvezza, dati si fossero alla fuga — forse avrebbero potuto salvare la vita — ma!... erano troppo disdegnosi quei due veri romani — e non fuggirono! ed arrestarono per un pezzo — combattendo disperatamente a corpo a corpo — l’irrompente ciurmaglia. —
Dei nemici ne furono molti abbattuti, e un mucchio di morenti e di cadaveri — attestava l’eroismo della disperata difesa. — Però gli eroi, come i codardi hanno una vita sola! e troppi eran gli assalitori — onde alla fine l’V uno accanto all’altro — esalarono l’ultimo sospiro — anche i due valorosi campioni della libertà Romana! —
Dentato — il canuto operaio — che aveva assistito a quest’ultima pugna — vedendo ogni speranza svanita — pratico come era del sito — col favore delle tenebre — guadagnò il lavatojo — poi il sotterraneo — e chiuse su quella scena di sangue la porta di dentro — e la sbarrò come poteva meglio. —
Gli assassini stipendiati dal prete — altro incentivo non avendo che la depredazione e la strage — innondarono colla speranza di bottino — ogni parte del lanifìcio — che più oggetti conteneva da rubare — non curandosi del sudicio lavatojo — donde eran fuggiti i superstiti difensori della libertà italiana. — Ma il mattino — vedendo che lo stabilimento altro non conteneva che cadaveri — venne loro il dubbio della sotterranea fuga.
Cercarono — frugarono — e trovarono finalmente la porta salvatrice — ma — il tempo trascorso — quello impiegato nell’abbattere le sbarre — e il tempo per organizzare un’entrata regolare e cauta nelle tenebre — diedero agio ai fuggitivi di mettersi in salvo dalla persecuzione.
Nei primi di Novembre 1867 — scendevano alla stazione di Livorno — tre donne — un vecchio — ed un garzone sul fiore degli anni.
Con quella dolente famiglia — stava una di quelle figlie di Albione — che — quantunque mestissima — e vestita a lutto — vi avrebbe fatto sentire la beatitudine della vita con un solo suo sguardo. —
La sua dama di compagnia — non men bella — non meno mesta — mostrava nei lineamenti del volto quella squisitezza donnesca — che Raffaello aveva amato nella Fornarina. —
La terza pure di quelle donne era bella. — Ma!... la sventura le avea troppo palesemente solcata la fronte — e cert’aria quasi di demenza — si discerneva sul suo viso.
Il canuto — che Giulia non avea voluto abbandonare alla miseria — badava al bagaglio. —
John — colla disinvoltura dei suoi tredici anni — dava mano alle donne nello scendere dal convoglio — poi, avendo scoperto il capitano Thompson con l’Aurelia — che erano là ad aspettarli — d’un salto fu nelle braccia di lei — che lo amava come figlio — quantunque lo giudicasse un po’ troppo biricchino.
«Li ho baciati cadaveri!» mormorò John alla matrona — ed una lagrima rigava la rosea guancia del biondo figlio della Britannia. — Egli accennava ad Orazio ed Irene — che tanto lo avevano amato — ed eran stati i suoi salvatori. —
L’abbracciarsi delle donne — fu scena di pianto che l’una versava sul seno dell’altra — senza poter pronunziare una sola parola.
Dopo avere assistito a quella muta scena per un pezzo — lui pure intenerito — il buon capitano Thompson — alzò il capo e dirigendosi alla sua signora in inglese le disse:
«Lo Yacht è là al molo che aspetta i vostri ordini — se mai desiderate andare a bordo. —
«Si, Thompson — a bordo — e metteremo alla vela subito — per uscire d’Italia. — È una terra — come dice Alfieri — ove la pianta uomo — nasce più robusta che dovunque — e gli stessi atroci delitti che vi si commettono ne sono una prova.» —
Non molto tempo dopo lo Yacht veleggiava superbo verso la merry England 4.
Giulia, tornata nella terra natale, continuò le sue affettuose cure alla nuova famiglia — alla quale non tardarono a riunirsi Manlio e Silvia — rimasti fino allora nella Solitaria — e giurò — che non tornerebbe tra questo popolo infelice — se non quando Roma — libera dalla peste pretina — le permetterebbe d’innalzare un monumento al diletto del suo cuore — ed ai suoi eroici compagni.
- ↑ A Monterotondo — dopo che avevano vigliaccamente fucilato il Maggiore Testori — il quale era andato parlamentare con loro con bandiera bianca. —
- ↑ È doloroso confessarlo — un ferito — gravemente, fu ucciso per non lasciarlo ad essere sgozzato dall’efferato nemico.
- ↑ Storico.
- ↑ L’allegra Inghilterra.