Clelia/LXXV
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CAPITOLO LXXV.
ULTIMA CATASTROFE.
«Pronti ragazzi!» sclamarono quasi ad una voce Orazio — Attilio e Muzio — Pronti!» e quest’ultima voce non era ancor pronunciata — quando una valanga di papalini irrompeva contro il portone del lanifìcio.
Di dentro s’eran smorzati tutti i lumi — in modo che i birri; veduti dai nostri — non potevano scorgere particolarmente nessuno dei figli della libertà. — Così i primi che si attentarono di varcare la barricata — caddero col cranio fracassato dalle terribili scuri di Orazio e di Muzio — dallo spadone d’Attilio — e da altri istromenti di difesa — adoperati dai loro valorosi compagni.
Però una perdita ben importante soffrirono i nostri in quel primo assalto — benchè respinto: — una palla di revolver avea trafitto nel cuore il valoroso Orazio — mentre rovesciati colla scure i primi assalitori — disdegnando combattere al coperto — aveva sporta la persona al disopra della barricata — per raggiungere nuovi nemici.
Il principe della campagna romana — cadeva, come la quercia della foresta sotto la scure — e la robusta sua destra — stringeva ancora la propria arma — benchè fosse già morto.
«Irene!» fu l’ultimo suo pensiero e l’accento che ultimo uscì dalle sue labbra. - — Ed Irene sentì l’anima trafìtta da quella voce morente!
Quantunque le tre donne non prendessero parte alla difesa del portone — pur stavano a poca distanza da coloro — il cui palpito batteva nel lor proprio cuore.
Irene giunse la prima — ove la voce del diletto della sua vita la chiamava — e visto Orazio che era rimasto giacente sopra alla barricata — la bella donna — incurante del proprio pericolo — volle salire pur essa — ma cadde colpita nella bellissima fronte — da una palla de’ moschetti — che i mercenari dopo il loro insuccesso — sparavano rabbiosamente nel vuoto del portone.
Lascio pensare con che animo i due amici ancor vivi — e le loro care — facessero trasportare nell’interno quelle salme preziose. Infelici forse più i superstiti che gli amici estinti.
Intanto il lanificio era divenuto un carnaio — poichè riuscivano inutili le ammonizioni dei capi ai popolani — affinchè si tenessero al coperto.
Vi sono dei momenti di parossismo durante la pugna — nei quali la morte perde tutto il suo orrore — e ammiri tale — che sarebbe fuggito dinanzi ad un cavaliere disarmato — non far caso di una grandine fitta di fucilate — che lo prendono a bersaglio.
Accadeva così a quei poveri e valorosi operai. — Non vedevano più il gran numero di truppe che li accerchiavano — non la moltitudine di coloro che sparavano contro il portone — andavano di su e di giù per tutti i versi e senza precauzione — e si facevano miseramente ferire e inutilmente. — Così il numero dei difensori — diradava — ed aumentava quello dei cadaveri e dei feriti. —
Attilio e Muzio presentivano il loro fato — ed erano risoluti di affrontarlo colla pienezza del loro eroismo. — Ma Clelia! ma Giulia! perchè dovranno morire anche esse? — Così giovani, così belle...?
«Va Muzio — diceva Attilio — persuadile finchè c’è tempo ad uscire dalla parte di dietro dello stabilimento e mettersi in salvo. — Di’ loro — che noi le seguiremo più tardi.» —
Colle sue ultime parole il generoso romano mentiva, perchè ben sapeva che mai le avrebbe seguite. — Egli aveva già assaporata la voluttà del martirio — e non l’avrebbe ceduto al prezzo di un impero.
Ma chi è piombato là in mezzo quasi per miracolo — arrampicandosi per una finestra come uno scojattolo? — Chi può essere che cerchi di entrare in quel finimondo — negli ultimi e luttuosi momenti? — il nostro lettore forse lo indovina.
John! il bravo John — salvato dal naufragio da Orazio — a cui s’era legato con singolare affezione. — Avendo avuto parte in tanti successi dei nostri eroi — il piccolo John aveva ottenuto il privilegio di lasciare lo Yacht a Livorno, o dove meglio gli piacesse, a dispetto del capitano Thompson — ed anche dell’Àurelia — e venire a passare alcuni giorni — co’ suoi amatissimi amici — e la sua signora. —
Egli era già in Roma — durante questi ultimi tremendi avvenimenti — e aveva bravamente affrontata la mitraglia sul ponte — e s’era poi col popolo ritirato nel lanificio.