Chi l'ha detto?/Parte prima/16
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§ 16.
Conforti nei mali. Ricordo del bene passato
Quell’egoismo che forma il fondo del carattere umano, anche presso gl’individui più miti ed equilibrati, fa sì che potentissimo conforto nei mali sia l’aspetto del male altrui.
Il dettato
246. Solamen miseris socios habuisse malorum.1
è antico e proverbiale e da alcuni attribuito a Dionisio Catone ma non vi si trova. Spinoza nell’Etica (1677, lib. IV, § 57) già lo cita in questa forma, mentre il Faustus del Marlowe (1580) dice:
Solamen miseris socios habuisse doloris
e una cronaca pugliese di Domenico Gravina degli anni 1333-50 (nella Raccolta di varie croniche ecc., Napoli, 1781, vol. II, pagina 220) lo cita in forma affatto diversa con le seguenti parole: «iuxta illud verbum poëticum: gaudium est miseris socios habuisse pœnarum.»
Anche più egoistica è l’altra sentenza del più scettico fra i pensatori moderni:
247. Nous avons tous assez de force pour supporter les maux d’autrui.2
Nel Trionfo d’amore del Petrarca (canto IV, v. 83), Sofonisba si conforta della caduta di Cartagine ricordatale dal Petrarca stesso, dicendo che
248. S’Affrica pianse, Italia non ne rise.
cui potremo contrapporre il:
249. ....Se Messenia piange,
Sparta non ride.
di Vincenzo Monti nella tragedia Aristodemo (a. II, sc. 7). E perciò gli sventurati facilmente si consolano, narrandosi l’un con l’altro i loro mali, e compiangendosi a vicenda, ciò che può esprimersi con un verso francese:
250. Et ces deux grands débris se consolaient entre eux.3
A proposito di questo verso, che si trova nel canto IV dei Jardins di Delille, e allude a Mario ramingo fra le rovine di Cartagine, Chamfort narra un grazioso aneddoto nei suoi Caractères et anecdotes:
«On disputait chez madame de Luxembourg sur ce vers de l’abbé Delille:
Et ces deux grands débris se consolaient entre eux.
On annonce le bailli de Breteuil et madame de la Reynière: “Le vers est bon”, dit la maréchale.»
Talora il presente è così doloroso che non si può trovarci conforto se non rimovendone il pensiero e quasi imponendo a sè stesso d’ignorarlo, e questo significa il verso italiano
251. Grato m’è ’l sonno e più l’esser di sasso.
di cui ecco l’origine. Michelangelo Buonarroti aveva ornata la sepoltura di Giuliano de’ Medici, da lui fatta in S. Lorenzo a Firenze, di due statue, il Giorno e la Notte, mirabili ambedue, ma in special modo la seconda, che il Vasari chiamò «statua non rara, ma unica.... Perchè da persone dottissime furono in lode sua fatti molti versi latini e rime volgari, come questi, de’ quali non si sa l’autore [ma è Gian Battista Strozzi]:
A’ quali in persona della Notte rispose Michelangiolo così:
Michelangiolo alludeva al lacrimevole stato d’Italia in quel tempo: correva infatti l’anno 1529, ed egli, mentre lavorava a quelle statue, muniva Firenze minacciata d’assedio.
Mentre è di tanto conforto di ricordare nella prosperità i giorni neri:
252. Jucunda memoria est praeteritorum malorum.4
invece è soprattutto doloroso nei giorni della sventura il ricordo del passato bene. Soavemente lo aveva già detto il nostro maggior poeta in quei dolcissimi versi:
253. ....Nessun maggior dolore
Che ricordarsi del tempo felice
Nella miseria.
Queste parole furono musicate da Gioacchino Rossini e introdotte nell’Otello (a. III, sc. 1). Le canta dentro le scene un gondoliere che passa sotto le finestre della stanza ove piange Desdemona.
Questo piccolo recitativo magistralmente istrumentato è di un effetto prodigioso.
Alfredo de Musset nella poesia Souvenir (nelle Poésies nouvelles) ha protestato contro il giudizio del Divino Poeta:
ma egli stesso, in un’altra poesia (Le Saule, nelle Premières poésies), con la solita contraddizione dei poeti e degli innamorati aveva scritto:
Stimatio Balbi pubblicò nell’Ἀνατολή di Sira una nuova interpretazione di questi versi, che fu poi esposta da Francesco Di Manto in un opuscolo stampato a Corfù nel 1891, e che li rende psicologicamente più veri. Secondo il Balbi miseria non significa semplicemente sorte avversa, o dolore derivante da privazione dell’oggetto piacevole, ma propriamente una sciagura persistente e resa perennemente sensibile, ossia una sciagura positiva. Infatti a ognuno generalmente è cagione di dolore il confronto che destano
254. Il ben passato e la presente noia!
Così doveva soffrire atrocemente nella triste solitudine di Sant’Elena Napoleone il Grande, quando
255. Stette, e dei dì che furono
L’assalse il sovvenir.
256. Deh non parlare al misero
Del suo perduto bene....
Da altre opere musicali del Cigno di Busseto tolgo ancora queste citazioni di argomento analogo:
257. Addio del passato — bei sogni ridenti,
Le rose del volto — già sono pallenti.
che è la celebre romanza di Violetta morente nella Traviata, parole di F. M. Piave (a. III, sc. 4);
258. O dolcezze perdute! o memorie
D’un amplesso che mai non s’oblia!...
259. Ora e per sempre addio, sante memorie!
Alla citazione del Cinque Maggio fatta poco sopra può ravvicinarsi la seguente del medesimo autore:
260. Sempre al pensier tornavano
Gl’irrevocati dì.
La interpretazione di questi versi fu soggetto di lunga e ancora insoluta polemica fra coloro che intendevano per dì irrevocati i giorni felici del passato che non potevano più tornare, e gli altri che li spiegavano come memorie non richiamate nè desiderate perchè incresciose. Alcuni fra i principali articoli usciti in quella discussione nei giornali letterari italiani del 1886 e 1887 (ne conosco circa una trentina! tutti vollero dir la loro) furono riprodotti nel volume di Guido Mazzoni, Rassegne letterarie (Roma, 1887). La Bibbia ci dà un bellissimo esempio di pazienza nel sopportare la sventura, quello di Giobbe che caduto dall’apogeo della prosperità nella più profonda abiezione, trova nella religione il conforto a’ suoi mali:
261. Nudus egressus sum de utero matris meæ, et nudus revertar illuc; Dominus dedit, Dominus abstulit; sicut Domino placuit, ita factum est.5
- ↑ 246. È conforto per i miseri di aver avuto dei compagni di sventura.
- ↑ 247. Noi siamo tutti abbastanza forti per sopportare le disgrazie degli altri.
- ↑ 250. E questi due grandi ruderi si consolavano l’un l’altro.
- ↑ 252. La memoria dei mali passati è gioconda.
- ↑ 261. Ignudo uscii dal ventre di mia madre, e ignudo tornerò laggiù. Il Signore avea dato, il Signore ha ritolto; le cose sono andate come è piaciuto al Signore.