Che cosa è l'amore?/VIII
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COME HO FATTO IL MILIONE?
Eravamo nel palco: io, Ballesio, l’universale Ballesio, il famoso Ballesio il cui nome è da per tutto, il cui ritratto onora persino le scatole dei cerini, la cui réclame splende, scintilla dalle quarte pagine dei giornali alle proiezioni luminose sui tetti; e con noi c’era il colonnello, personaggio assai decorativo, e infine la signora dell’immortale Ballesio.
La signora dell’immortale Ballesio sedeva al parapetto con la guardia d’onore del colonnello.
Io non conosco di preciso l’età della signora Ballesio, ma certamente fra i quaranta ed i cinquanta: però si può dire di lei «è ancora una bella donna». Ma il cav. Ballesio afferma invece che la sua signora è, tuttora, la più bella donna della città. Esagerazioni! Certo è che a teatro tutti gli occhi girano, e poi si fermano su di lei. Perchè? Perchè è la moglie dell’immortale Ballesio? Perchè osa esporre, contro la maldicenza, uno scollato autentico ed inaudito in un teatro di provincia? Perchè i due solitari che le adornano gli orecchi sono calcolati a lire diecimila l’uno?
Il cav. Ballesio mi disse piano:
— Senti: ho sonno, e poi mi annoio. Sono stanco di Vedova allegra. Vieni con me a prendere un altro caffè? Permetti, cara? — chiese alla signora.
— Sì, caro.
E ci allontanammo.
— Questa sera tua moglie è, come dire?, superlativa, — dissi versando il caffè all’amico.
— Questa sera? Puoi dire «sempre», mia moglie, la Trebbiatrice,
— Perchè la chiami così?
— È un vezzeggiativo. Non hai mai visto le trebbiatrici? Ingoiano tutto. Così mia moglie, in fine d’anno, ha il coraggio di trebbiare dalle venti alle trentamila lire per le sue spese personali. A Parigi, a New York sarebbe un’inezia; ma qui in provincia, bada che ci vuol del genio per trebbiare trentamila lire l’anno! Mia moglie è straordinaria! Ma come fai ad ingoiare tanti biglietti da mille? le domando. È un suo segreto! Capisci tu? Ma sta sicuro che li ingoia.
L’immortale Ballesio, quando ha mangiato e bevuto bene — quella sera egli aveva onorato il colonnello con un magnifico desinare — non si riconosce più: non è più la solita mutria: parla, ha dello spirito. Capace poi, domani, di negare villanamente tutto quello che si è lasciato sfuggire: ma per quella volta, parla.
— Così che, così che — chiesi io — la tua casa privata ti porta ad una spesa equivalente ad un milione circa di capitale. Non è così?
— Un piccolo milionario — rispose Ballesio — un modesto milionario... Il milione, vedi, sarà in avvenire come quel tale pollastro che quel Re di Francia voleva nella pentola dei più poveri fra i suoi sudditi. L’avvenire della società è sbalorditivo...
— E tu intanto principi...
— Bisogna ben dare l’esempio...
— A parte gli scherzi — dissi, — ma spiegami come va questa faccenda; come va che tu che sei un modello di esosità, spendi, senza protestare, ventimila lire e più per la tua signora...
— Mettiamo le cose a posto: prima di tutto, modello sì, ma non di esosità. Quanto alla mia signora, è evidente; io devo tutta a lei la mia fortuna. Lei non lo sa, ma è così!
— Ma se non ti ha portato un centesimo di dote!...
Ti sbagli: mi portò il padre, la madre e quattro fratelli da mantenere, che oggi sono tutti impiegati nell’azienda.
— E allora?
— È un problema psicologico. Tutti i problemi umani hanno un fondamento psicologico occulto. Senti il mio: ma prima di tutto guardami bene in faccia: non quale mi vedi nelle fotografie, nei quadri, nei tablò; ma quale sono realmente: sono bello o brutto?
Esitai.
— Di’ pure brutto, piccolo, rincagnato, pelato fino dalle origini, e senza l’onor del mento. Ma devi aggiungere che a ventidue anni, quando la sposai, ero anche più brutto: lo dico io, e mi puoi credere. Mi sono fatto un po’ bello in seguito. Immagina invece che cosa doveva essere mia moglie allora! Tu dirai: Una dea! Io aggiungo: Una carica di cavalleria! Dopo la quale tu non sapevi più in che mondo eri. Sono cose che a dirle non ci si crede. Bisogna provarle.
— Provare per credere — dissi io — come per le tue pillole.
— Precisamente — disse con gravità Ballesio. — Senonchè Mariuccia allora non era Giunone; era Ebe; Giunone, quale tu la ammiri adesso, diventò un poco per volta. Ebbene io, a differenza di molti uomini, inconsapevoli della verità, intuii subito che avrei fatta una deplorevole fine nella mia qualità di marito. Bada bene però, e vedi di non confondere: mia moglie era, come è adesso, l’esemplare delle mogli; ma tu devi sapere che le facoltà ragionative della donna non hanno sempre la stessa sede di quelle dell’uomo. Supponi, per modo di dire, che in mia moglie le facoltà ragionative risiedano nell’epidermide, e che la sua epidermide dicesse allora: «io ho bisogno di vestirmi — quando mi vesto — di seta e di pietre preziose», e poi di’ quale doveva essere la mia sorte che non potevo comperarle che un abito di cotonina! Io sentivo la necessità di diventare ricco appunto per non diventare un marito, come dire? infelice. Ma come si faceva a diventare ricco? Lo sai tu?
Io sospirai.
L’immortale Ballesio mi spiegò e disse:
— La donna è la glandola della ricchezza. Pare un assurdo, ma è così. La donna è come la pituitaria, la tiroide, la surrenale, glandole superflue in apparenza. Ma tu portale via, e l’uomo diventa l’ombra di un uomo. Sopprimi la donna, e tu hai l’uomo che ritorna allo stato selvaggio e cretino.
Dopo ciò Ballesio bevve un cognac, e seguitò:
— A quei tempi io reggevo una farmacia a Montefalco. Guarda che per andare giovane di farmacia in quel paese bisogna essere morti di fame. In una settimana tu non fai cinque lire di banco. Il mio predecessore era scappato via per disperazione, portando con sè quel po’ di chinino che c’era e una mezza dozzina di barattoli antichi.
Io, appena arrivato lassù, avevo messo fuori un gran cartello: Farmacia uso Roma. Sai tu cosa vuol dire farmacia uso Roma? Io no. Probabilmente era uno sfogo di quel genio della réclame che mi si sviluppò in seguito. Una sera d’inverno, dopo l'avemaria, stavo al buio pensando al mio avvenire di marito infelice. Sentivo nella stanza di sopra, ogni tanto, il passo di Mariuccia. Ella bubbolava dal freddo, poverina! e doveva tenere sotto le sue adorabili sottane un vile scaldino di carbonella. Sai tu quali orrendi pensieri devono passare per la mente di una bella giovane costretta a bubbolare dal freddo in un paese come Montefalco? Io sentivo già i brividi sul mio capo. Mariuccia — esclamai — o io morirò, o tu avrai un camino grande come una fornace; e quando vorrai andare a spasso, avrai una carrozza con quattro cavalli che ti tireranno dove vuoi. Allora, capirai, di automobili non si parlava dalle nostre parti; non esistevano le mie pillole; il termosifone era una cosa sconosciuta.
Ed ecco che un Marcantonio di montanaro, grosso e alto come la bottega, mi spalanca la vetrina, entra e butta sul banco una cosa, e dice con disprezzo:
— Questa tientela per te.
Guardo. Era una carta senapata.
— Non ha fatto effetto, galantuomo? — dico io.
— E che effetto vuoi tu che abbia fatto? — mi dice. Non mi ha grattato nemmeno la pelle. — Ora, prosegue l’ineffabile Ballesio, tu sai la storia dell’uovo di Colombo, della lampada di Galileo, del pomo fradicio di Newton! Ebbene, quell’uomo è stato la mia lampada, il mio uovo, il mio pomo marcio. Sentii, come farti capire? una luce trapassare la mia mente, un lampo; ma avevo trovato!
— Amico — dissi con effusione a quel villano — vieni fra due ore e avrai, ti giuro, il cerotto che tu vuoi e che ti guarirà.
Due giorni dopo l’uomo tornò. Mi mostrò la sua schiena che era tutta una piaga; ma lui era esultante: era guarito!
Io avevo inventato il famoso cerotto di Sant’Antonio. Nelle nostre campagne chi non conosce adesso il cerotto di Sant’Antonio? I farmacisti delle città avevano dimenticato la esistenza dei forti lavoratori della terra, la cui epidermide, perchè sa — come si dice oggi — il lavoro dei campi, è insensibile ai comuni revulsivi. Avevano dimenticato questa elementare psicologia della medicina popolare che un farmaco è creduto tanto più efficace quanto più si sente e fa male.
Ma tu dici delle bestialità, Ballesio.
— Mai più! È affare di autosuggestione. Il villano si sente bruciare e pensa: «ecco, io guarisco!» Pensare di guarire spesso vuol dire guarire. Aggiungi poi dietro il cerotto l’imagine di Sant’Antonio, del grande taumaturgo, e tu hai la spiegazione dell’immenso successo del mio specifico. Devi poi notare che nelle nostre campagne c’è ancora un po’ di religione e i parroci, con una piccola percentuale sulle vendite, hanno fatto una réclame strepitosa a questo revulsivo che cura sciatiche, lombaggini, raffreddori e, dopo usato per l’uomo, tu non lo butti via, ma ne incolli la immagine nelle stalle per la protezione delle bestie.
Dopo il cerotto di Sant’Antonio, la via era aperta. Un giorno contemplando la mia signora che si svestiva allo specchio, esclamai: «Dio, che tesori! ma perchè devono esistere fanciulle clorotiche, smunte, senza l’onore di quel seno e perciò prive della venerazione degli uomini e della santa gioia della maternità?» Pensare questo ed inventare le mie pillole fu un attimo. Ah, tu ridi? saresti buono anche tu di far le mie pillole, eh? Ma di persuadere l’umanità che con le mie pillole si guarisce, fui capace io solo.
E Ballesio assunse la sua aria di grand’uomo. E aggiunse gravemente:
— Al bene di tutte le classi sociali io ho provveduto: ai neurastenici, agli stitici, agli ipocondriaci; e poi mi chiamano — qui in quest’idiota paese — avaro, esoso, tirchio; imbecille mi chiamano anche! pucinella politico, perchè, ora — dicono loro — sto coi preti, ora sto coi socialisti. Io sto con chi soffre, e il mio nome è universale: Vos omnes qui laboratis et «ammalati» estis, venite ad me! Questa è la mia divisa. Non vi sono che i medici ed i preti che preferiscono la percentuale sui miei specifici agli specifici medesimi: ma si tratta di una classe, direi quasi cinica, senza fede, destinata a scomparire. Ma tutto il resto del mondo è basato sulla fede! Come ha progredito il Cristianesimo? Con la fede. Come progredisce il Socialismo? Con la fede. Che cosa è il sole dell’avvenire che gli increduli deridono? Una forma allotropica della fede. Come si diffondono per il mondo le mie boccettine, le mie scatoline? Con la fede. La fede è l’ossigeno della vita. La fede genera il dogma: il categorico imperativo di Massimiliano Kant. Chi non crede al dogma, anathema sit! Scomunicò la Chiesa, quando potè! Scomunico io chi non crede a me! Ti pare? Senza fede, che cosa hai? Hai la ribellione, hai la critica, hai individui pallidi, stitici, dolorosi, senza vigore di volontà; hai degli irregolari della vita. Ora — sta bene attento — dall’incontro di un atomo di fede negli altri con un atomo di genio tuo, si ottiene il protoplasma intorno a cui si verrà poi innucleando il milione. Hai capito adesso come si fa a diventare milionari?
— Ma tu hai fede nei tuoi specifici? — chiesi io.
— Immensa! Essi valgono quello che valgono gli altri specifici. Tieni bene a mente: nel campo terapeutico, tranne l’olio di ricino, il chinino per la malaria, il bicarbonato pel bruciore di stomaco, tu non hai che dei medicamenti illusori: bastoncini di carta su cui l’ammalato si appoggia disperatamente per passare dallo stato egrotante a quello di sanità. La sola terapia vera è l’igiene, l’aria, il sole e, moralmente, essere un poco bestia. Ma che colpa ne ho io se l’uomo non può e non potrà mai essere uomo igienico? se la sua anima non è sempre bestiale?
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* *
E quell’imbecille di Ballesio chi sa per quanto avrebbe durato, se in quel punto il rumore del pubblico non avesse avvertito che la Vedova allegra era finita.
Ballesio corse a prendere la sua signora: giacchè questo onore egli non lo cede a nessuno.
Sarà ridicolo questo minuscolo uomo, in grande sparato bianco, dare maestosamente il braccio alla giunonica sua signora; ma è uno spettacolo che tutti ammirano.
Quella sera la signora aveva un manto di ermellino arrivato da Parigi.
Si può chiamarlo imbecille finchè si vuole, ma bisogna fargli largo. La sua automobile ha l’ordine di rombare spaventosamente, ed i suoi fari devono essere i più luminosi. La luce ed il suono tengono viva la fede. Ammirabile uomo, dopo tutto, che conserva inalterabile, assoluta la fede, anche nella sua signora.