Cara Speranza/Suor Maria/IV
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IV
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IV.
La vigilia del Natale verso il mezzodì una carrozza si fermò all’ingresso del cortile.
— È quel vagabondo di Carlo, disse la Margherita correndo fuori con premura.
Ma tosto soggiunse, come per nascondere il sentimento buono che le faceva provare una vera consolazione pel ritorno del fanciullo:
— Ecco, me lo riconducono. Il mal seme non si perde mai. E si compose un viso arcigno mentre si affrettava verso la carrozza.
Ma ne discese soltanto una suora di carità.
Invece di ricondurre il bimbo veniva a cercarlo.
Andrea era in fin di vita, e desiderava vederlo prima di morire.
La Margherita si senti mancar il cuore a quella notizia; e, nel malcontento della delusione provata, disse brutalmente:
— A quest’ora, pensa al suo nonno come alle prime scarpette che ha portate. È fuggito ieri per andare a far il chiasso fuori, e non è più tornato nè per mangiare nè per dormire.
E ricominciò a battere i dintorni in cerca del fanciullo, mentre la carrozza s’allontanava.
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Suor Maria s’era fatta monaca a ventisette anni nello scoraggiamento d’un disinganno d’amore, che aveva troncati dei disegni d’avvenire lungamente vagheggiati.
Oltre al dolore della delusione sofferta, aveva contribuito molto a farle prendere quella risoluzione, l’idea di sfuggire ai commenti della gente, a cui s’era presentata per molti anni come fidanzata; e fors’anche una speranza segreta di commuovere l’amante infedele.
Non per nulla aveva scelto l’ordine delle Suore di carità, dove i voti sono annuali.
Ma quando, dopo meno d’un anno, ammogliandosi prosaicamente con una vedova ricca, quell’uomo tolse alla povera giovine l’ultima illusione, che mettendo un po’ di poesia nel sacrifizio, l’aiutava a sopportarlo, ella ne sentì tutto il peso, e rimpianse amaramente le gioie dell’amore e della maternità alle quali aveva rinunciato.
Era troppo dignitosa per uscire dal convento, in cerca d’un altro sposo, come non avrebbero mancato di dire i malevoli.
Ma vi rimase senza passione e senza convinzione.
Il bene, che faceva per vero sentimento di carità, avrebbe preferito farlo senza quella messa in iscena di regolamenti e di costume, e sopratutto senza quella privazione d’ogni affetto durevole, che la isolava e le assiderava il cuore.
La sua anima appassionata prendeva a ben volere tutti gli infermi, tutti i trovatelli abbandonati.
Poi, gli infermi che la morte risparmiava, se ne andavano, e non li rivedeva più.
I trovatelli venivano reclamati dai parenti, da una nutrice, da un primo venuto, che ne aveva bisogno per farsi servire, ed essi pure se ne andavano, e non li rivedeva più. Tutti i suoi affetti erano troncati, e la monaca rimaneva sempre sola.
Intanto gli anni passavano, ed a misura che cresceva in età, suor Maria trovava più gravosa quella vita di soggezione; anche la sua salute s’era alterata in quella reclusione continua, nell’aria malsana degli ospedali.
Più volte i medici l’avevano consigliata a svestire l’abito religioso per tornare ad un’esistenza più confacente alla sua salute delicata.
Suo padre, morendo, le aveva lasciata una rendita sufficiente pe’ suoi bisogni. Allora era già lontano il tempo in cui si sarebbe potuto supporre che uscisse dal convento per la smania di pigliar marito. Non era più giovine, ed il mondo non si curava più di lei.
Eppure d’anno in anno differiva quella risoluzione.
Era una di quelle anime amorose, che hanno bisogno di vivere per qualcheduno, di sacrificarsi. Vivere per sè stessa, le sembrava l’ultima espressione dell’egoismo, e, malgrado le esigenze della sua salute, se ne sarebbe vergognata.
— Qui almeno sono utile a qualcheduno, pensava. Se proprio mi sentirò incapace di resistere, uscirò dal convento; ma finchè posso...
Ed a forza di tirare innanzi, di girar gli ospedali, se n’era fatta un’abitudine, quasi una necessità; e sebbene non avesse rinunciato al disegno di rifarsi laica, nessuno ci credeva più; era piuttosto un’idea vaga, un sogno destinato a rimaner sempre sogno, per consolarla dell’aridità della sua vita reale.
Aveva quarantacinque anni quando Carlo l’aveva conosciuta quella domenica. La mattina il medico le aveva detto:
— Il numero trentanove va male; ne avrà per un paio di giorni al più.
La monaca era corsa presso Andrea, e s’era commossa profondamente della desolazione che turbava le ultime ore di quel vecchio, al pensiero dell’abbandono in cui lasciava un bambino.
Lei pure aveva aspettato con ansietà il fanciullo, e mentre l’aveva tenuto sulle ginocchia, e ne aveva sentito scotere le fragili membra nella convulsione del pianto, aveva pensato come il vecchio:
— Cosa sarà di lui?
Più tardi tornò, sola e pensosa, al letto del moribondo e gli susurrò dolcemente:
— Quel bimbo è vostro nipote?
Il vecchio chinò più volte il capo in atto di sconforto, come per dire:
— Pur troppo!
— Non ha nessun parente? domandò ancora la monaca.
— Solo al mondo! sospirò l’infermo con accento disperato; ed i suoi poveri occhi spenti si velarono di lagrime.
Quel giorno Suor Maria fu impensierita e distratta.
Più volte traversò la corsia senza scopo, e, nell’oratorio, invece di recitare le solite preghiere, rimase assorta in riflessioni profonde, e tratto tratto fu udita sospirare:
— Sono quasi vecchia... Ma! Ma! Cosa fare?...
Pensava al mondo cui aveva desiderato di tornare, e le pareva che fosse un deserto.
Si hanno dei parenti, degli amici; ma col tempo i vecchi muoiono, i giovani si disperdono.
Uno che tornasse dopo tanti anni sarebbe isolato...
Guardava i pochi mobili della sua cella, il letto, il crocifisso, l’inginocchiatoio, e si sentiva presa da una profonda tenerezza per quegli oggetti rozzi e logori.
Un medico, attribuendo quell’eccitamento al suo malessere, la fermò mentre traversava la corsia, e le disse, toccando leggermente la sua larga cuffia insaldata:
— Dovete risolvervi a lasciar la cornetta, Suor Maria, se volete star bene.
— Oh se fosse per me sola, a questa ora non ci penserei più, sospirò la suora. Ma, cosa fare?
Quando Andrea la fece chiamare, per pregarla di condurgli ancora una volta il bambino prima che morisse, Suor Maria rimase un pezzo immobile a guardare il moribondo, come combattuta fra due pensieri; poi si avviò lentamente senza rispondere.
Ma dopo pochi passi si fermò, tornò risolutamente indietro, e disse:
— Mettete l’anima in pace, pover’uomo; al vostro bimbo ci penserò io; uscirò dal convento, e lo terrò con me; siete contento?
Andrea strinse le mani congiunte, come in atto di adorazione; poi, nell’impeto della riconoscenza, riuscì a piegare il capo verso la sponda del letto, dove la monaca posava una mano, e la baciò, lasciandola bagnata di lagrime.
Suor Maria uscì subito in carrozza per condurre il fanciullo al suo vecchio parente; ma Carlo era fuggito, e quando la suora tornò all’ospedale con quella nuova disperante, Andrea era morto.
— Meglio così! sospirò la monaca. Dio gli ha risparmiato l’ultimo dolore.
Poi chiuse pietosamente gli occhi del morto, e gli coprì il volto col lenzuolo, pensando a quel bambino che errava abbandonato, con un gran cruccio sul cuore.