Cappella dipinta da Giovanni da S. Giovanni
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CAPPELLA
DIPINTA
DA GIOVANNI DA S. GIOVANNI
NEL PALAZZO DI S. E.
IL PRINCIPE ROSPIGLIOSI
in Pistoia
RAGIONAMENTO DI NICCOLA MONTI
PITTORE PISTOJESE
PRATO
presso i fratelli giachetti
1832.
A
CLEMENTE ROSPIGLIOSI
ESTINTO
NICCOLA MONTI
pittore pistojese
Grato ai beneficj tuoi, a te consacro questo mio povero lavoro. Religioso, onesto, probo, mentre vivesti, or vita avrai con Dio. A lui interpetre tu de’ mali miei ti fai, onde pronto ne veda il fine. Così da morto conseguirò quel bene, che fra noi finor non trovai.
CAPPELLA
DIPINTA
DA GIOVANNI DA S. GIOVANNI
NEL PALAZZO DI S. E.
IL PRINCIPE ROSPIGLIOSI
IN PISTOJA
Gli uomini, i quali per la potente forza della virtù, e dell’ingegno pervennero ad altissimo grado di fama, apportano sovente con lo splendore del nome loro tal cecità nelle menti umane, per cui spesso si vedono opere più dal nome che dal merito, fama acquistare. A questo danno vanno ordinariamente soggetti uomini di straordinario e bizzarro ingegno, i quali per le strane loro idee, trattando l’arte in modo strano, producono opere, nelle quali sovente si vede misto il sublime col bello, il bello col mediocre, con che, la fama loro non potendo mai spiegare altissimo volo, non può mostrare tutta la forza e l’ardimento suo. Nel numero di questi si può a ragione comprendere Giovanni da s. Giovanni, il quale dotato dalla natura di singolare e straordinario ingegno, nato per starsi fra i primi, per lo strano suo modo di vivere, quanto all’esercitare l’arte gli convenne posare coi terzi. Tuttavia fuvvi un tempo, in cui le opere sue salirono in tanto grido, che il suo nome, non men chiaro suonava di quello dei più valenti suoi contemporanei. Di queste opere, quella che ora imprendo a descrivere, è forse quella nella quale, più che in ogni altra seppe Giovanni riunire tutti i pregj dell’arte1 per cui a ragione può riguardarsi, come la più perfetta che sortisse dal di lui pennello. Duolmi esser la penna mia troppo povera, per sì ricco lavoro, ma mi rinfranco nella speranza di potere in qualche modo recare alcun giovamento alla patria mia, promulgando i pregj di un’opera, che sì fattamente la onora.
Correva l’anno 1829, in cui trovandomi io in Pistoja, e percorrendo un giorno quei luoghi, ove i più preziosi monumenti dell’arte si trovano, m’abbattei a caso in un amico mio, il quale vedendo in che io impiegava allora il tempo mi ricercò, s’io conosceva i bei dipinti di Giovanni da s. Giovanni nella cappella del palazzo del principe Rospigliosi: maravigliato da tal domanda, dovetti confessare essermi ignoti, mostrando desiderio ardentissimo di vedergli. Egli m’invitò ad andarvi, e in poco d’ora ci recammo al posto. Qual fosse la mia maraviglia all’aspetto del principale dipinto della Cappella, non è da immaginarsi. Io conosceva gran numero di opere di questo autore, e viva serbavo nella idea la rimembranza delle più belle. Niuna però di queste sembrommi tale da sostenerne il confronto. In questa idea mi confermò il tempo avvenire, che nella cappella passai, esaminando, e studiando. Io mi meraviglio di me stesso, allorquando ripenso essermi stato per sì lungo tempo ignoto sì portentoso dipinto: nè men mi meraviglio di chi, prima di me non abbia tolto a celebrare le lodi di questo monumento preziosissimo, degno certamente di miglior penna.
Era Giovanni al termine delle sue lunette nel portico della chiesa di Monsummano, quando il grido di queste, giunse a destare nella mente del Balì Cammillo Rospigliosi2 l’idea di chiamarlo in Pistoja, per fargli dipingere la piccola cappella3 del di lui palazzo. Or per dare al mio lettore chiara idea, del non solo partito preso da Giovanni nel compartimento delle istorie, quanto della località in cui queste si trovano, convien dire, che dalla gran sala del palazzo si entra in un piccolo vestibulo, che dà ricetto alla cappella. La porta, per la quale si entra, divide la parete di faccia all’altare. Lateralmente a questa si vedono dipinte due graziosissime figure, una la Fede, l’altra la Fortezza: queste due figure hanno l’altezza di un braccio circa. La testa della Fortezza è maravigliosa, e di un carattere veramente domenichinesco. Le mani sono sorprendenti per l’intendimento e grazia, con cui son mosse. Sopra la porta si vede espresso il fatto delle ruote. S. Caterina volta con lieta faccia al Cielo quasi in atto di trionfo, mostrasi illesa da quelle ruote, che destinate al di lei supplizio, volte ai carnefici, questi al suolo stramazzati distende. È la composizione di questo dipinto affatto nuova, trattata con sommo ardire e di un effetto piccantissimo. Il modo in essa praticato mostra esser fatta di maniera, ma in questa maniera si ravvisano ogni tanto certe parti, ove è tal verità, che se dappresso natura fossero fatte, non potrebbero certamente esser più vere. Due putti quasi di grandezza naturale fiancheggiano questo dipinto. Sembrami, che in questi, il nostro Giovanni non abbia conservata quella purità di contorni nè quella verità di forme, che tanto chiara risplende nel Bambino Gesù, di cui a suo tempo parleremo: sono per altro dipinti di bello impasto, e di una maniera che molto a quella del Rosselli suo maestro somiglia. Nel destro lato è la finestra, che dà luce alla cappella. Questa finestra è superiormente e lateralmente circondata da piccole storiette, che troppo minuta cosa sarebbe, descriverle. Non è peraltro da passar sotto silenzio i loro pregj: uno dei principali, è il tono robustissimo col quale sono dipinti. Se fossero a olio non potrebbero averlo maggiore; nè maggiore potrebbero avere la trasparenza, e il brio. Il dettaglio è sorprendente. Le teste, le mani, gli attacchi, tutto ha un giro, e un andamento veramente di natura. E siccome lo spazio, che comprende queste storiette è angusto, e di bisbetica forma, così l’ingegno di Giovanni ha saputo trovare certi e sì nuovi movimenti, che mostrano non solo quanto fervida avesse la mente, e pronte le idee, come ancora intendimento grandissimo delli scorti e del modo d’illuminarli. Peccato, che questo lavoro sia contro lume, per cui a stento si può vedere! Il lato che ne viene è quello dell’altare. «Chi mi darà la voce, e le parole, convenienti a sì nobil dipinto4: questo rappresenta lo sposalizio di S. Caterina, col Bambin Gesù. Le figure sono al vero. La scena figura prender luce dalla finestra, che illumina la Cappella. È stato così ingegnoso il partito preso da Giovanni nella scelta del lume, e sì bene inteso l’effetto, che a prima vista credi vedere figure vive vive, ed affatto staccate dal muro. Ha in queste il Dipintore (come dice il Baldinucci) effigiate persone della famiglia Rospigliosi viventi in quel tempo, ed in quel luogo5.
È questa composizione sì ben combinata, sì ben ragionata, che sembra impossibile, esser parto di una mente strana e bizzarra, quale era quella di Giovanni. La dignità, lo stile, la giustezza degli insieme, il partito e la scelta delle pieghe, la dolcezza dei caratteri, la natura, la grazia, la tinta, tutto è vero, è sorprendente. E sebbene io tremi, allor quando mi trovo nel caso dover pronunziare il mio giudizio, intorno alle opere di pittura, qui dico, e dico ad altissima e ferma voce, che il colore di Tiziano, il rilievo del Domenichino, la grazia di Coreggio, chiaramente si manifestano in questo maraviglioso dipinto. A queste parole, parmi vedere il mio lettore, per meraviglia stringere le labbra ed inarcar le ciglia; nè lo condanno per questo, poichè io al caso suo farei lo stesso; ma sicuro del fatto mio dirò come disse Petrarca, parlando di Laura »E chi nol crede venga egli a vedella.» In appoggio di questa verità cade ora in acconcio dire, come correndo l’anno 1829 (se non erro) trovandosi in Firenze il chiarissimo sig. Luigi Sabatelli, Sua Ecc. il sig. Principe Rospigliosi (allora in Pistoja) mandò espressamente a prenderlo, onde commettergli stuccare e ritoccare un crepo, che divideva in parte la figura della S. Caterina. Giunto in Pistoja assunse l’incarico, e pose mano all’opera; ma allor quando trovossi nel caso di dovere toccare le carni della Santa, preso da riverenza, fù tale il rispetto, che ebbe per sì nobile lavoro, che non osò proseguire, preferendo rimanesse il collo e la testa dal crepo divisa, anzi che da lui raggiunta e ritocca. Ecco un nuovo e bel tratto della modestia e del sapere del sig. Sabatelli. Da lui apprendano tanti e tanti, che di modestia e di sapere sforniti, osano con temeraria mano contaminare opere di grandi maestri, facendo, e disfacendo nel modo il più delle volte dalla temerità non dall’intendimento ad essi suggerito. Tornando dunque al nostro argomento, dico che questa opera è benissimo conservata, ad eccezione degli scuri del panno celeste della Madonna, i quali per esser dipinti, forse con pretto nero di vite, si sono alquanto snervati, nè mostrano quella lucentezza, e quel tono, che se da diverso nero, o da diversa tinta fossero fatti. Tutto il rimanente è intatto, e credo tale, quale sortì dal pennello di Giovanni. È questo Dipinto nella sua totalità di robustissimo tono, e stacca per questo, in un’aria di limpido azzurro, rotto da una bianca nuvoletta, nel modo che tante volte vediamo i cieli di Tiziano, e di Paolo veronese. Su questa aria e sul poco paese campeggia la S. Caterina tutta, cinta da candida veste d’oro, e quieti colori trapunta, forse broccato, e forse tale, quale avea allora la signora da Giovanni dipinta. Nè credo ingannarmi, poichè le perle, che al collo ed ai polsi della Santa si vedono ne fanno manifesta prova. Le carni sono di vigoroso tono, conservando sempre il tenero e la lucentezza del vero. Queste, siccome quelle della Madonna, hanno tutta quella forza e rilievo, che non dà per così dire il bianco e il nero, ma che solo si ottiene da quella giusta e bene intesa gradazione di chiaro e di scuro, che dà per l’appunto la natura, e che niuno meglio di Domenichino intese. Il Bambino Gesù (mi sia permesso servirmi di questa espressione) sembra calcato sul vero, per il disegno, per il moto, per la tinta. La combinazione delle mani della santa con quelle del Bambino, e braccio della Madonna, è una trovata così felice, così bene intesa, che credo impossibile far di meglio. Coreggio non poteva mover con più grazia, con più verità tulle queste tenerissime parti. La tenda che fa da padiglione alla Madonna, è di un verde di gran tono, con chiari quieti c piccanti, ed ha pieghe rotte con indicibile gusto e verità. Essa pure rammenta il fare veneziano. È l’altare posto in mezzo a due piccole porte, sopra le quali si vedono in piccoli spazj rappresentati due fatti della vita della Santa. Uno esprime la disputa che tenne S. Caterina con cinquanta sapienti del regno dell’imperator Massimino. L’altro la decollazione della Santa medesima. Questi due soggetti furono trattati da Giovanni con la solita grazia e magistero. V’è la Santa in ginocchioni in atto di essere decapitata, che sembra uscita ora ora dalle mani di Coreggio. Ne segue la quarta parete, nella quale si vede la grata del coretto. Sopra di questo è in bella dimensione rappresentato il momento in cui S. Caterina animata da santo zelo, dopo aver vinti nella pugna i suoi contradittori, gli riduce, non solo ad abjurare il paganismo, ed abbracciare la fede, a sopportare con eroica fermezza il martirio del fuoco, al quale già parte di loro si vedono consegnati. È da notarsi in questo bel dipinto l’atteggiamento nobile ed eroico della Santa, non meno, che il bel partito preso da Giovanni nelle pieghe del manto verde, nel quale è inviluppato un vecchio, una delle principali figure di questo quadro. Questa composizione è sparsa di bei concetti, e di stupendi dettagli. Le poche pennellate con che è resa la scena del fuoco sono meravigliose. Ma quello che più d’ogni altro (non parlo del quadro dell’Altare) ferma, e sorprende, è il piccolo e preziosissimo dipinto, che vedesi sotto l’Altare. In questo ha il nostro Giovanni tolto a rappresentare alcuni Angioletti, che pongono il corpo della Santa in un deposito, sul monte Sinai. La filosofia, con che il nostro dipintore ha trattato questo argomento, mostra da qual criterio fossero dirette le sue idee, in mezzo alle sue stravaganze. Ecco in qual maniera egli lo ha concepito. Tre graziosissimi Angioletti sostengono in bel modo il corpo veramente morto della Santa, in atto di deporlo nel sepolcro sottoposto, mentre il quarto tenendo con bella grazia la recisa testa, al tronco l’avvicina, sì, che sembra tuttora appartenergli: onde è che con questa ingegnosa trovata, ha saputo Giovanni con moltissimo avvedimento, torre non solo la deformità e ribrezzo che produce un reciso corpo, ma accrescer grazia grandissima a questo, ed aumentare l’interesse che dal fatto resulta. Non è da dubitare, che se questo maraviglioso dipinto, anzi che trovarsi sotto remoto e privato Altare, si trovasse in mezzo alle più accreditate produzioni dell’arte, non temerebbe certamente al confronto, sebbene (ad eccezione delle teste) ne sia la esecuzione corsa ed ardita. La testa della Santa è bella, come il più bel Domenichino. Le estremità son mosse, e segnate con indicibile grazia e sapere. Le pieghe, sebbene scritte con un solo oscuro, sopra una tinta locale, producono sorprendente effetto: il movimento è giusto, e si legge benissimo, e senza ostentazione la forma e l’andamento del corpo che vi sta sotto. Questa maravigliosa operetta, forse getto vergine del pennello di Giovanni, credo che sola servirebbe a mostrare tutto l’ingegno suo, siccome le cognizioni sue grandissime di questa arte divina.
Sono tutte le mentovate istorie attorniate da un ricco ornato lumeggiato a oro, il quale, se non è tocco con quella delicatezza che oggi si pratica, ha però tutto quel gusto e quei rilievo, che poco oggi si conosce.
Il soffitto è rilevato in legno, e scompartito a così detti cassettoni, secondo l’uso di quel tempo. Il dipinto, che vi si vede, non è di Giovanni, nè sembrami gran cosa.
Le opere eccelse dell’Arte recano con esse un tale incanto, e s'impossessano talmente dell’animo nostro, che ci traggono sovente per la via della meraviglia in estasi beatissimo. Posseduto da questa magìa chi è più arbitro di se stesso? Chi può più frenare le parole? Or io posto in questa condizione alla vista delli stupendi dipinti qui esposti, spero, che l’altrui benignità vorrà perdonarmi l’ardire di produrre queste rozze parole, dirette almeno a far fede altrui del mio verace entusiasmo per le opere sublimi, come del piacere vivissimo, che provo all’idea di contribuire in qualche modo al lustro e decoro della Patria mia.
Note
- ↑ Di questo sentimento è il chiarissimo signor Giuseppe Bezzuoli mio amicissimo, il quale al pari di me conviene esser questo il capo di opera di Giovanni.
- ↑ Del fù Girolamo, quondam Alessandro. Questi era fratello di Monsignor Giulio Rospigliosi, poi Clemente IX, e di Bartolommeo, canonico della Cattedrale di Pistoja.
- ↑ Questa Cappella è quasi quadrata e gira braccia, 21. ½ circa.
- ↑ Il Disegnetto posto in fronte a questo scritto, è tratto da questo Quadro. Fu da me fatto non ad altro oggetto che per dare una idea di questa composizione.
- ↑ Il chiarissimo signor Pietro Scappucci Priore della chiesa di S. Giovanni fuor-civitas in Pistoja diligente ed accuratissimo investigatore delle cose patrie, con sua graziosissima lettera de’ 3. dicembre 1832. mi rimesse tali quali qui espongo le seguenti notizie: ecco come egli si esprime.
Sappia dunque, che il noto lavoro fatto da Giovanni da S. Giovanni nella Cappella domestica della casa di S. E. il Principe Rospigliosi in Pistoja è precisamente dell’anno 1632, come si legge nella memoria dal medesimo Giovanni posta nel dipinto: non vi è alcuna notizia del costo del detto lavoro, del tempo che vi fù impiegato per condurlo al suo termine, e non avvi alcuna memoria, che precedesse il lavoro o che animasse la famiglia a farlo fare, e a dedicarlo particolarmente a S. Caterina dalle ruote.
Questo lavoro, per quanto è da presumersi, fù ordinato e pagato dal signor Balì Cammillo del fu Girolamo quondam Alessandro Rospigliosi poichè in quel tempo era alla testa della famiglia, e abitava padre di famiglia in Pistoja a differenza di Monsignor Giulio (poi Papa Clemente IX) ed il signor Bartolomeo fra loro fratelli, che il primo era fuori della patria, per ragione della carriera, che aveva intrapresa, e il secondo era Canonico della Cattedrale di Pistoja, nè può dirsi, che ordinasse un tal lavoro Girolamo d’Alessandro Rospigliosi padre dei sud. tre fratelli, poichè il medesimo era passato all’altra vita sino dal 5. Luglio 1628.
All’epoca del nominato lavoro, le signore o dame principali, ed uniche che esistevano nella sopranominata casa Rospigliosi, erano — La sig. Caterina vedova del fù Girolamo Rospigliosi, e la sig. Lucrezia del sig. Balì Teodoro Cellesi, la prima madre, e la seconda moglie del ridetto Balì Cammillo Rospigliosi.
I piccoli Bambini, che vivevano all’epoca del lavoro in quella casa, e figli del sig. Balì Cammillo Rospigliosi, e della sig. Lucrezia del Balì Teodoro Cellesi, erano — Jacopo, e Maria Canida gemelli, nati 30. Dicembre 1628, e Alessandro Francesco Domenico nato 2. Ottobre 1631.
Or se me lo permette il sig. Professor Monti, io direi il mio sentimento rapporto all’idea che può avere avuto Giovanni da S. Giovanni nel dipingere a fresco nel quadro del noto Altare della Cappella soprascritta — La Beatissima Vergine col divino Bambino in braccio, e S. Caterina dalle ruote in ginocchio a piè della Vergine, e del divino Bambino. Io crederei che il Pittore abbia voluto fare il ritratto della sig. Lucrezia Cellesi moglie del Balì Cammillo, nella Beata Vergine; e nel divino Bambino il ritratto di Alessandro Fran. Dom. piccolo figlio del detto Balì Cammillo. Nato il 2 Ottobre 1631. Nella s. Caterina poi io penso, che ritrattasse la sig. Caterina Vedova del fu Girolamo Rospigliosi e madre del nominato sig. Balì Cammillo, Monsignor Giulio, e Canonico Bartolommeo fra di loro fratelli.