C'era una volta... Fiabe/I tre anelli
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I TRE ANELLI
C’era una volta un sarto, che aveva tre figliuole, una più bella dell’altra. Sua moglie era morta da un pezzo, e lui si stillava il cervello per riuscire a maritarle. Le ragazze non avevano dote, e senza dote un marito è un po’ difficile a trovarsi.
Un giorno questo povero padre pensò d’andarsene in una pianura e chiamare la Sorte:
— Sorte, o Sorte! —
Gli apparve una vecchia, colla conocchia e col fuso:
— Perchè mi hai tu chiamata?
— Ti ho chiamata per le mie figliuole.
— Menale qui ad una ad una; si sceglieranno la sorte colle loro mani.—
Il buon uomo, tornato a casa tutto contento, disse alle figliuole:
— La vostra fortuna è trovata! —
E raccontò ogni cosa. Allora la maggiore si fece avanti, ringalluzzita:
— La prima scelta tocca a me. Sceglierò il meglio! —
Il giorno dopo, padre e figliuola si avviarono per quella pianura:
— Sorte, o Sorte! —
Gli apparve una vecchia, colla conocchia e col fuso:
— Perchè m’hai tu chiamata?
— Ecco la mia figliuola maggiore. —
La vecchia cavò di tasca tre anelli, uno d’oro, uno d’argento, uno di ferro e li mise sulla palma della mano:
— Scegli, e Dio t’aiuti!
— Questo qui. —
Naturalmente prese l’anello d’oro.
— Maestà, vi saluto! —
La vecchia le fece un inchino e sparì.
Tornati a casa, la sorella maggiore, pavoneggiandosi, disse alle altre due:
— Diventerò Regina! E voi reggerete lo strascico del manto reale! —
Il giorno dopo andò col padre l’altra figlia.
Comparve la vecchia colla conocchia e col fuso, e cavò di tasca due anelli, uno d’argento ed uno di ferro:
— Scegli, e Dio t’aiuti!
— Questo qui. —
E, s’intende, prese quello d’argento.
— Principessa vi saluto! —
La vecchia le fece un inchino e sparì.
Tornata a casa, quella disse alla maggiore:
— Se tu sarai Regina, io sarò Principessa! —
E tutt’e due si diedero a canzonare la sorella minore:
— Che volete? Chi tardi arriva male alloggia. Dovea venire al mondo prima. —
Lei zitta.
Il giorno dopo andò col padre la figliuola minore.
Comparve la vecchia colla conocchia e col fuso e cavò di tasca, come la prima volta, tre anelli, uno d’oro, uno d’argento e uno di ferro:
— Scegli, e Dio t’aiuti!
— Questo qui. —
Con grande rabbia di suo padre, avea preso quello di ferro.
La vecchia non le disse nulla, e sparì.
Per la strada il sarto continuò a brontolare:
— Perchè non quello d’oro?
— Il Signore m’ispirò così. —
Le due sorelle, curiose, vennero ad incontrarla per le scale.
— Facci vedere! facci vedere! —
Come videro l’anello di ferro, si contorcevano dalle risa e la canzonavano. Saputo poi che lo avea scelto fra uno d’oro e uno d’argento, per grulla la presero e per grulla la lasciarono.
E lei, zitta.
Intanto si sparse la voce che le tre belle figliuole del sarto avevano gli anelli della buona Sorte. Il Re del Portogallo dovea prender moglie e venne a vederle. Rimase ammaliato dalla maggiore:
— Siate Regina del Portogallo! —
La sposò con grandi feste e la menò via.
Poco dopo venne un Principe. Rimase ammaliato dalla seconda.
— Siate Principessa! —
La sposò con grandi feste e la menò via.
Restava l’ultima. Non la chiedeva nessuno.
Un giorno, finalmente, si presentò un pecoraio:
— Volete darmi questa figliuola? —
Il sarto, che ne aveva una Regina ed una Principessa, era montato in superbia e rispose:
— Il pecoraio, scusate, noi per ora ce l’abbiamo. —
Stava per passare un altr’anno. La minore restava sempre in casa, e il padre non faceva altro che brontolare giorno e notte:
— Le stava bene, stupidona! Sarebbe rimasta in un canto, con quel suo anello di ferro. —
E all’anno appunto, tornò a presentarsi il pecoraio:
— Volete darmi quella figliuola?
— Prendila — rispose il sarto. — Non si merita altro! —
Si sposarono, senza feste e senza nulla, e la menò via.
Allora il sarto disse:
— Voglio andar a visitare la mia figliuola Regina. —
La trovò che piangeva.
— Che cos’hai, figliuola mia?
— Sono disgraziata! Il Re vorrebbe un figliuolo, ed io non posso farne. I figliuoli li dà Dio.
— Ma l’anello della buona fortuna non giova a nulla?
— Non giova a nulla. Il Re mi ha detto: Se fra un anno non avrò un figliuolo, guai a te! Son certa, babbo mio, che mi farà tagliar la testa. —
Quel povero padre, come potea rimediare? E partì per far visita alla figliuola Principessa.
La trovò che piangeva.
— Che cos’hai, figliuola mia?
— Sono disgraziata! Tutti i figliuoli che faccio mi muoiono dopo due giorni.
— E l’anello della buona fortuna non giova a nulla?
— Non giova a nulla. Il Principe mi ha detto: Se questo che hai nel seno morrà anche lui, guai a te! Son certa, babbo mio, che mi farà scacciar di casa! —
Quel povero padre che potea farci? E partì.
Per via gli nacque il pensiero d’andar a vedere l’altra figliuola, quella del pecoraio. Ma aveva vergogna di presentarsi. Si travestì da mercante, prese con sè quattro ninnoli da vendere e, cammina, cammina, arrivò finalmente in quelle contrade lontane.
Vide un magnifico palazzo stralucente, e domandò a chi appartenesse.
— È il palazzo del Re Sole. —
Mentre stava lì a guardare, stupito, sentì chiamarsi da una finestra:
— Mercante, se portate bella roba, montate su. La Regina vuol comprare. —
Montò su, e chi era mai la Regina? La sua figliuola minore, la moglie del pecoraio. Quello rimase di sasso; non potea neppure aprir le cassette degli oggetti da vendere.
— Vi sentite male, poverino? — gli disse la Regina.
— Figliuola mia, sono tuo padre! E ti chiedo perdono! —
Lei, che l’aveva riconosciuto, non permise che le si gettasse ai piedi, e lo ricevè tra le braccia:
— Siate il ben venuto! Ho dimenticato ogni cosa. Mangiate e bevete, ma prima di sera andate via. Se Re Sole vi trovasse, rimarreste incenerito. —
Dopo che quello ebbe mangiato e bevuto, la figliuola gli disse:
— Questi doni son per voi. Questa nocciuola è per la sorella maggiore: questa boccettina di acqua per l’altra. La nocciuola, dee inghiottirsela col guscio; l’acqua, dee berne una stilla al giorno, non più. E che badino, babbo! —
Quando le due sorelle intesero la bella fortuna toccata alla minore e videro quella sorta di regali che loro inviava, arsero d’invidia e di dispetto:
— Si beffava di loro con quella nocciuola e con quell’acqua! —
La maggiore buttò la nocciuola in terra e la pestò col calcagno. La nocciuola schizzò sangue. C’era dentro un bambino piccino piccino: lei gli aveva schiacciata la testa!
Il Re, visto quell’atto di superbia e il bambino schiacciato:
— Olà! — gridò — levatemela d’innanzi; mozzatele il capo! —
E, senza pietà nè misericordia, la fece mettere a morte.
L’altra, nello stesso tempo, avea cavato il turacciolo alla boccetta e, affacciatasi a una finestra, n’avea versata tutta l’acqua.
Sotto la finestra passavano dei ragazzi che trascinavano un gatto morto. L’acqua cadde su questo, e il gatto risuscitò.
— Ah, scellerata! — urlò il Principe. — Hai tolto la sorte ai nostri figliuoli! —
E in quel momento di furore, la strangolò colle sue mani.
Il babbo tornò dalla figliuola minore, e raccontò, piangendo, quelle disgrazie.
— Babbo mio, mangiate e bevete, e prima di sera andate via. Se Re Sole vi trovasse, rimarreste incenerito. Appena avrò buone notizie, vi manderò a chiamare. —
La sera tornò Re Sole, e lei gli domandò:
— Maestà, che cosa avete visto nel vostro viaggio?
— Ho visto tagliar la testa a una Regina e strangolare una Principessa. Se lo meritavano.
— Ah, Maestà, eran le mie sorelle! Ma voi potete risuscitarle; non mi negate questa grazia!
— Vedremo! — rispose Re Sole.
Il giorno dopo, appena fu giunto nel luogo dov’era seppellita la Regina, picchiò sulla fossa e disse:
— Tu che stai sotto terra,
Mi manda la tua sorella;
Se dal buio volessi uscire,
Del mal fatto ti dèi pentire.
— Rispondo a mia sorella:
Sto bene sotto terra.
Dio gli dia male e malanno!
Vo’ la nuova avanti l’anno!
— Resta lì, donnaccia infame! —
E il Re Sole continuò il suo viaggio. Arrivato dov’era stata sepolta la Principessa, picchiò sulla fossa e disse:
— Tu che stai sotto terra,
Mi manda la tua sorella;
Se vuoi tornare da morte a vita,
Del mal fatto sii pentita!
— Rispondo a mia sorella: Sto bene sotto terra. Male occulto o mal palese, Vo’ la nuova avanti un mese! |
— Resta lì, donnaccia infame! —
Re Sole continuò il suo viaggio, e quelle due sorelle se le mangiarono i vermi.
Stretta è la foglia, larga è la via. Dite la vostra, chè ho detto la mia. |