Brani di vita/Libro primo/Le staffette

Le staffette

../Il centenario del Liceo Rossini in Bologna ../In sella IncludiIntestazione 31 agosto 2009 75% Autobiografie

Libro primo - Il centenario del Liceo Rossini in Bologna Libro primo - In sella

[p. 331 modifica]

LE STAFFETTE


Ricorrendo il XXV anniversario dell’avvento d’Italia in Roma, il Veloce Club di Verona fece che il Sindaco di Dolcè, amministratore del più lontano ed alpestre comune del Regno verso il confine di Trento, spedisse al Sindaco della Capitale queste parole miniate su pergamena:

Il Sindaco di Dolcè
al Sindaco di Roma

Da la pendice del Baldo
ultimo lembo dell’Italico dominio
cento ciclisti
ne l’alterna corsa volando
per le valli Padane
per l’aspre giogaie dell’Appennino
auspice il Veloce Club Verona
recano a voi
rappresentante di Roma immortale
l’eco della gioia dei popoli liberi
e il sospiro dei fratelli
che libertà non conoscono

Dolcè XX Settembre MDCCCXCV.

[p. 332 modifica]

Nella notte, tra il 18 e il 19, le prime due staffette partirono dal segno del confine e il signor Poggiani, organizzatore della corsa, scrisse così:

“Alle 1,30 il vice presidente dott. Caliari e il Brambilla, le due prime staffette, erano al confine.

La notte era profonda e silenziosa. A destra il monte Baldo, a sinistra il Corno d’Aquilio, disegnavano i loro cupi profili nel fondo stellato del cielo e i gorghi spumanti dell’Adige ruggivano lì sotto e l’aria fredda che spirava dalle gole trentine portava profumi di ciclamino e voci sottili e lontane, come un lamento di fratelli nel mistero della montagna, come il sospiro interpretato dalla pergamena.

Pochi erano i presenti. Due ciclisti di Rovereto, due carabinieri, due guardie austriache. Nessuno parlava. Inconsciamente la commozione vinceva gli astanti, assorti in un pensiero comune: Roma!

E Roma era laggiù, oltre il Baldo, oltre la Chiusa, oltre le valli dell’Adige e del Po, quasi aspettante il modesto messaggio che le doveva recare il saluto della libertà presente, l’augurio della libertà avvenire.

Un dubbio pungeva il cuore delle staffette. Sarebbe giunto fino a Roma il povero messaggio, trasportato dalle fragili ruote, attraverso le lunghe valli, su pei duri gioghi dei monti, tra i sentieri inospitali e fallaci dei boschi?

Ah, no! Lungi, al di là dalle tenebre folte, il cuore sentiva e vedeva la lunga fila dei cento ciclisti giovani e forti che stavan pronti ad alternarsi gri[p. 333 modifica]dando! Eccoci! Ben venga il lieto messaggio nelle nostre mani sicure. Di che temete? Il viaggio è facile e breve poichè la bicicletta ha rimpicciolito il mondo!...

Al campanile di Borghetto suonarono le due. Le staffette si scossero. Il Caliari baciò in volto i carabinieri, pose il piede sulla pietra del confine e, volto alle guardie austriache, gridò con voce commossa:

— Vado a Roma!

Gute Spazierung!

E il messaggio e i messaggeri sparirono, precipitando nel buio”.


La pergamena giunse felicemente a Roma il 20 Settembre nelle mani del Sindaco Ruspoli. Passò per Bologna e valicò l’Appennino. Fui testimonio e scrissi così al Giornale “La Bicicletta”.


Se i grandi dolori sono muti, le gioie grandi sono espansive; e questa sentenza Le spieghi il perchè Le scrivo non richiesto e racconto i fatti miei a chi non li vuol sapere.

Premetto — come dicono i notai nei loro istromenti — che ho vissuto una vita sedentaria e malsana fino a pochi anni or sono, pieno di seccature, di nervi e di cattive digestioni. La bicicletta è stata la mia salute e solo mi duole di averla esperimentata quando la barba mutava colore. Ho un figlio [p. 334 modifica]appena uscito dall’adolescenza e con lui, molto miglior pedalatore ch’io non sia, galoppiamo d’amore e d’accordo, vivendo al sole, all’aria libera, nella sana allegria del piano e del monte, quando a lui le scuole e a me l’ufficio lo consentano.

Per la corsa staffette Peri Roma, questo nostro V. C. mi fece l’onore di destinarmi Ispettore a Porretta, dove il dispaccio doveva passare dai Bolognesi ai Pistoiesi e l’egregio Lanino era mio collega. Mio figlio Guido e il signor Gian Pietro Gozzi erano le ultime due staffette nostre, che sino dalle 9 si trovavano al km. 48, segnando Porretta il 59. Undici km. di strada buona, ma in salita continua, benchè non forte, con qualche tratto di pendenza duro ma breve e qualche voltata brusca e da starci bene attenti.

In Porretta trovai ottima accoglienza. Il ff. di Sindaco venuto apposta di villa, i carabinieri, e tutti si misero a mia disposizione con evidente simpatia. Due bravi giovani ed egregi ciclisti del paese mi si offersero e li mandai anch’essi al km. 48 per aiutare le due staffette, se occorresse. Verso le 10, essendomi venuto il dubbio che le staffette pistoiesi attendessero al confine della provincia, tre km. più a monte, mi si offerse un giovinotto operaio, di cui con mio dispiacere ho scordato il nome, il quale volle recarsi al confine per aver notizie, montato sopra un preistorico biciclo che faceva il fracasso di un carro di catenacci. Incontrò i pistoiesi a mezza strada.

Erano i signori Ciabatti e Begliuomini, due giovani robusti e gentili che avrebbero conciliato al [p. 335 modifica]ciclismo anche il Papa, tanto spirava da loro la salute fiorente, il sano buon umore, la lieta cortesia che viene dalla coscienza della forza. Mangiarono un boccone, e aspettammo.

S’era fatta folla, le finestre erano piene di signore. Il mio collega Lanino si occupava dell’ordine, io doveva pensare alla consegna. Tutti guardavamo intenti su per la strada che, pendendo leggermente verso il paese, lascia vedere di lontano chi arriva. Si aspettava con ansietà.

Ad un tratto tutti gridiamo: “eccoli! eccoli!” Apparivano in alto le maglie bianche. Il collega gridava: “largo!” ed io urlava ai pistoiesi: “signori, in sella!” Montarono e presero lentamente l’andare per lasciarsi raggiungere dagli arrivanti.

Venivano giù come fulmini e nella polvere non si vedeva che il luccicare delle biciclette. Poi si distinsero e vidi mio figlio alzare in alto un astuccio di metallo, gridando la parola d’ordine: “Veloce Club Verona!” — I pistoiesi risposero: “Roma Capitale!” — afferrarono a volo l’astuccio e via come il vento, mentre io urlavo: “Undici e trenta. Buon viaggio!” — Fu un lampo; tutti applaudivano; le signore agitavano i fazzoletti acclamando: “Bravi ragazzi! Bravi ragazzi!” Non si sentiva altro. Gli undici chilometri erano stati coperti in 20 minuti, in salita!

Perchè scrivere dei versi? Questa è poesia bella, sana, santa, e io protesto che non cambierei quei pochi minuti di entusiasmo, quei pochi secondi così vivacemente vissuti, con una corona d’alloro, coll’im[p. 336 modifica]della fama. Questa è la pienezza della vita. Non val la pena di esser stati al mondo se non si sanno gustare emozioni formidabili come queste. Qui avrei voluto vedere un ciclofobo! Se non si convertiva era cretino nato.

Tornammo a Bologna tutti allegri, cantando e lodandoci delle molte gentilezze ricevute in Porretta. Là, in vetta all’Appennino, quei robusti montanari non odiano il cavallo di ferro. Vivono e faticano all’aria aperta, e intendono, amano ed aiutano chi, come loro, all’aria aperta vive e fatica. Così hanno più cuore e cervello che tanti amatori della vita sedentaria, nei quali il fegato ingrossa e secerne la bile del misoneismo e della ciclofobia.

Coraggio! In sella!