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332 | Brani di vita |
Nella notte, tra il 18 e il 19, le prime due staffette partirono dal segno del confine e il signor Poggiani, organizzatore della corsa, scrisse così:
“Alle 1,30 il vice presidente dott. Caliari e il Brambilla, le due prime staffette, erano al confine.
La notte era profonda e silenziosa. A destra il monte Baldo, a sinistra il Corno d’Aquilio, disegnavano i loro cupi profili nel fondo stellato del cielo e i gorghi spumanti dell’Adige ruggivano lì sotto e l’aria fredda che spirava dalle gole trentine portava profumi di ciclamino e voci sottili e lontane, come un lamento di fratelli nel mistero della montagna, come il sospiro interpretato dalla pergamena.
Pochi erano i presenti. Due ciclisti di Rovereto, due carabinieri, due guardie austriache. Nessuno parlava. Inconsciamente la commozione vinceva gli astanti, assorti in un pensiero comune: Roma!
E Roma era laggiù, oltre il Baldo, oltre la Chiusa, oltre le valli dell’Adige e del Po, quasi aspettante il modesto messaggio che le doveva recare il saluto della libertà presente, l’augurio della libertà avvenire.
Un dubbio pungeva il cuore delle staffette. Sarebbe giunto fino a Roma il povero messaggio, trasportato dalle fragili ruote, attraverso le lunghe valli, su pei duri gioghi dei monti, tra i sentieri inospitali e fallaci dei boschi?
Ah, no! Lungi, al di là dalle tenebre folte, il cuore sentiva e vedeva la lunga fila dei cento ciclisti giovani e forti che stavan pronti ad alternarsi gri-