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In sella

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Libro primo - Le staffette Libro primo - A Loreto

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IN SELLA


Diventai modesto ma appassionato ciclista per amor paterno.

Confesso che la bicicletta m’era antipatica. Il viandante che cammina tranquillo pe’ fatti suoi e, così all’improvviso, si sente da lato il frullo di una bicicletta, prova una sensazione sgradita che si traduce spesso in interiezioni ingiuriose contro al ciclista e talora contro la Divinità. Pochi non hanno per lo meno un sussulto, un guizzo di sorpresa ed ho visto corridori celebri saltar via come le donne.

Poi a Bologna, dove il selciato non è igienico per le biciclette, girano per lo più i ragazzi che hanno marinato la scuola o la bottega, con la macchina a prestito o a nolo. Chi l’ha del proprio, abomina i chiodi, il vetro ed i ciottoli acuti, e conduce la bicicletta a mano. Dal che viene che l’estetica dei ciclisti urbani qui non inspira entusiasmo.

Perciò la bicicletta mi era antipatica.

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Ma ecco che, un bel mattino, mio figlio, tornando dal Liceo, versa nel seno paterno la confessione del suo amore per la bicicletta. E l’amore non era più innocentemente platonico, poichè le peccaminose relazioni tra l’adolescente innamorato e la macchina seduttrice erano già consacrate e consumate. Pensandoci bene, riflettei che, dopo tutto, alla sua età, era meglio innamorarsi di una bicicletta che di una vitella e dissi amen.

Solo che avevo un po’ di paura. I ragazzi sono audaci e spensierati ed i giornali ci narrano tutti i giorni gli orrori ed i disastri cagionati dal ciclismo. È strano! Se un fiaccheraio mette sotto una generazione intera, appena lo dicono, se pur lo dicono: ma se un ciclista si scortica un dito o storpia un cane vagante, tutte le gazzette trombettano il funesto avvenimento che fa rabbrividire i babbi e le mamme. Hanno una rubrica apposta che s’intitola: Disgrazie del ciclismo.

Così avevo paura anch’io.

Esposi il mio caso ad un ciclista maturo e prudente. Mi rispose. “O perchè non impara anche lei? Così andranno insieme”.

Il consiglio mi parve buono e volli imparare. La pista del nostro Veloce Club deve ancor ridere dei miei primi tentativi quando ansando, sudando, serravo [p. 339 modifica]disperatamente l’immenso manubrio di una macchina venerabile per le gomme piene e lo sterzo a pivot; mausoleo antichissimo che suonava come un carro di ferri vecchi. E il campo centrale come era morbido, quando con una sterzata involontaria lo andavo a trovare e mi accoglieva sul soffice tappeto di trifoglio, lungo e disteso!

Ma sono cocciuto e imparai senza dirlo a nessuno.

Quando fui cotto al punto, dissi al figlio che volevo imparare anch’io. Mi si offerse maestro e andammo dal noleggiatore Pelloni, sulla Piazza Otto Agosto, nota palestra dei principianti. Ivi, fingendomi coscritto, mi feci mettere in macchina con gran fatica, ascoltai reverente i consigli e i precetti figliali, poi dissi: “Ho capito! Si deve far così!”.

E partii. Il figlio prima ebbe paura e mi rincorse gridando: “bada! bada!” Ma quando mi vide onorare la piazza di eleganti evoluzioni pedalate magistralmente, allora capì e rise. Ah, come ridemmo di gusto quella mattina!

Due giorni dopo andammo al Sasso (16 km. di salita) ma il Pelloni mi aveva dato una macchina da mezza corsa, troppo dissimile al vecchio letto di ferro sul quale avevo imparato l’arte. Compromisi, svergognai la dignità paterna con parecchi memorabili ruzzoloni; ma da quel giorno io e il figlio ci sentimmo in così buona compagnia che siamo diventati inseparabili. La memoria di quegli esordi ci rallegra spesso nelle faticose salite per Firenze o nella [p. 340 modifica]monotona via per Venezia e sono memorie ancora recenti.

Così, salito in bicicletta per istinto di dovere e per impulso d’affetto, ora me ne sono innamorato con passione. Non c’è arte al mondo che possa esprimere il piacere, direi quasi la voluttà, della vita libera, piena, goduta all’aperto, nelle promesse dell’alba, nel trionfo dei meriggi, nella pace dei tramonti, correndo allegri, faticando concordi, sani, contenti. Il mio erede corre più forte di me ed io ho, od almeno dovrei avere, più giudizio di lui, benchè ci sia chi mi chiama “vecchio matto”. Ma in ogni modo c’è compensazione e accordo completo, specialmente nel compatire gli emorroidari che odiano la bicicletta perchè, “fa diventar gobbi”.

Ahimè, poeti e gobbi si nasce e non si diventa. La rachitide non è malattia che s’acquisti. Caso mai, si trasmette ai figli dai padri volontariamente tardigradi e valetudinari. Mettetevelo in mente voi che vi guardate la lingua, vi tastate il polso, seccate il medico e ingrassate il farmacista. Andate in bicicletta coi figli e dopo un mese digerirete le cipolle crude.

Ve lo dico io.