Bizzarrie/La Toeletta parlante

La Toeletta parlante

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Generosità singolare, ossia la specola d'un cieco Alfabeto morale
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LA TOELETTA PARLANTE.


Ci fu una signora, che, standosi ricanlucciata nel suo palchetto a godervi l’opera nuova, udì certo inquieto mormorio che le vagava intorno della persona: pensava a principio che fosse qualche zanzara, ma la stagione nol comportava; nel vicino palchetto c’erano genti venute dalla campagna alle quali la maraviglia dello spettacolo, e il desiderio di farne ai conterranei la narrazione non lascia agio neppur di fiatare; che dunque? si mise più diligentemente in ascolto, lasciato ogni pensiero de’ cantanti, che pur erano di que’ di cartello e le furono intese di sopra il capo queste parole: Vedi mutato destino! Io traversava liberamente, portato dall’ali, le immense regioni dell’aria, salutava il sole appena comparso sull’orizzonte, della terra toccava quel tanto e non più che mi fosse bastante a innamorarmi più ardentemente del cielo, fattone paragone con essa, e a riprendere il volo. Ed ora ondeggio mollemente a lato di un cappellino, e mi convien secondare le scosse della testa di chi lo porta, Direbbesi che tuttavia conservassi alcun poco del mio mobile istinto al vedermi agitare con sì gran leggerezza; ma non è vero, pur troppo! io mi movo secondo l’altrui volontà, e non mi è [p. 353 modifica]conceduto volare più alto del capo di questa signora. Potrei nulladimeno essere ancora stimato buono a qualche cosa e recarmi in onore, se non fossero certe sciagurate fantasie di poeti che di me fanno immagine rappresentante quanto vi ha di più fatuo e volubile sopra la terra. O signora mia, fate voi le mie vendette, tornatemi la dignità che ho perduta; mostrate che io sono emblema di nobili pensamenti; che l’essere io tale, che un po’ di fiato mi soffia via, significa quanto le idee devono avere del sottile e del celeste, anzichè del terreno e del grossolano. Fate voi, pregovi, mia buona, mia bella signora... Continuava la povera piuma, quando la signora, stizzita che il nuovo predicatore le togliesse di udire alcuni trilli molto arrischiati, che in quell’ora appunti tentavansi dalla prima donna; crollò il capo molto scompostamente, dicendo: Che diamine di stravaganza è cotesta! Non basta agli uccelli di essere loquaci finchè sono vivi, anche morti trasfondono parte della propria garrulità alle loro code per annoiare chi le ha comperate a non lieve prezzo? Davvero che, se la cosa procede di questo passo, poche saranno quelle signore che vogliano mettersi attorno di tali seccature.

Pazienza! signora mia, pazienza! s’ode in questo soggiugnere una vocina melata, un po’ più giù della testa, e propriamente intorno al petto e alle spalle della signora. Che? anche il mio scialle che parla? Non era rinvenuta dalla ma[p. 354 modifica]raviglia che lo sciallo continuava: Io mi nutriva, mentre fui attaccato al dosso di una pecora, dell’erbette più dolci che sappiano produrre i pascoli dell’oriente; me ne usciva in ischiera colle compagne senza mai stancarmi, obbediente alla verga del mio conduttore. Il ferro mi ricise, fui tinto, ridotto in fili e tessuto; ma non ho per questo cangiata la mia mansueta natura. Guai se io non mi fossi conservato lana così docile e facilmente pieghevole come sono! Non avrei fatto passaggio dalle terre degl’infedeli a paesi di civiltà e pulitezza, e non avrei avuto l’onore di venirmi a posare sulle vostre morbide spalle, e di cingere il delicato vostro collo. (Il complimento andò a’ versi della signora, che fu meno restia ad ascoltare il restante discorso del proprio sciallo). E però, signora mia, permettetemi ch’io vi consigli di non istizzire per un poco di noia che vi sia data da chi vi parla pel vostro bene, e dice la verità. Conservate la mitezza del vostro naturale anche quando non vi si danno molli erbette da pascere, ossia non vogliate udir sole le lusinghiere parole dei cascamorti. Vedete; abbattendomi di avvolgermi per luoghi selvatici, che pur mi toccava alcuna volta, ho sempre osservato che le spine portavano via ciò che in me aveavi di men liscio e rimondo, e il mio vello, dopo quella naturale cardatura, appariva più morbido e lucente. La vita ha infinite trafile per le quali è forza passare anche ai più fortunati; ma le forbici, il co[p. 355 modifica]lore, il telaio, o altro che si voglia, non hanno virtù di alterare siffattamente un buon naturale ch’e’ non si conosca. Lasciate adunque che il mondo faccia il suo ufficio; voi, signora mia cara, ricordatevi della lana che indossate, e scorrendovi sopra colle dita, addestratevi alla moderazione della povera agnella a cui fu levata.

Di ben altra virtù che non è stata la tua mi è tocco far uso, fu udito ripigliare una terza vocina, più penetrante, e, come suol dirsi, metallica che non era l’altra, e la partiva, a quanto parea, non so se dalla collana o dal braccialetto della signora. La signora dal canto suo si era acconciata a non udire più nulla dell’opera per quella sera, e la novità della cosa, almeno per quella volta, le dava minor fastidio che non era sembrato a principio. La voce metallica tirava innanzi: Sono venuti a trovarmi nelle viscere più cupe della montagna ove natura mi avea confinato. Ho veduto spaccarsi la falda petrosa che mi copriva; indi, uscito alla luce, non è a dire a quanti diversi lavori fossi assoggettato. Ma io non perdetti la mia naturale saldezza, tuttochè mi lasciassi alcun poco distendere e foggiare, quando dal martello e quando dalla ruota; ed ecco che ne sono riuscito caro e leggiadro arnese, ricevetti dal brunitoio tale lucentezza che mi lascia riverberare i lumi che mi stanno di fronte, e vagheggiare assai dalla lunge. Poichè hai voluto moralizzare sopra l’esser tuo, caro il mio sciallo, non voglio parere filosofo da [p. 356 modifica]meno di te; e dove tu hai consigliato la mansuetudine e l’arrendevolezza, voglio rendere avvertita la signora che mi porta, che quelle virtù sono buone assai volte, ma non da seguire ad ogni ora, e chiedersi all’uopo, oltre a quelle, alquanto della mia rigidità e consistenza; che guai a chi vuol essere sempre agnella! Il lupo ne fa o tosto o tardi un boccone, come dice il proverbio. All’incontro nell’accoppiare le virtù sopra notate, opposte nell’apparenza, ma possibili ad essere affratellate da chi abbia buon senno, c’è il guadagno di ricevere dal maglio e dal tornio, che sembrava dovessero schiacciarvi e sformarvi, nuova eleganza e splendore.

La collana, o braccialetto che vi vogliate, non aveva terminato, che gli altri arredi grandi e piccioli della toeletta si levarono in coro a voler tutti parlare. Buono che in quel punto stesso anche sulla scena il coro era entrato in azione, e il rumor grande che colà si faceva risparmiò alla signora uno di que’ soliti richiami poco piacevoli, con cui gl’infelici della platea, che hanno l’imbecillità di voler ascoltare quando sono a teatro, apostrofano i fortunati de’ palchetti, che vogliono anch’essi ascoltare, ma tutt’altro che quello che si canta o si recita sulla scena. Nastri, pelli, merletti, fino ai guanti e alle calze, tutto aveva voce, e affaccendavasi a metter fuori la propria lezione. Le sole scarpe, con riverenza, se ne stavano mutole, e contentavansi di sospirar leggermente, come appunto quelle per[p. 357 modifica]sone che, in cambio di dar consigli al loro prossimo, esercitano elleno stesse in silenzio le virtù più utili e più faticose, e mentre sopportano con rassegnazione tutto il peso del corpo sociale, non si sa nemmeno che vivano, se non è per qualche gemito che lasciansi inavvertitamente sfuggire di sotto al piè che le calca.

Non avrete, credo, o lettori, gran voglia che vi dichiari uno per uno tutti que’ discorsi, e già dai tre primi potete far ragione degli altri. Voglio bensì dirvi come alla signora, dopo un tal fatto, fu di bisogno, almeno per qualche giorno, più tempo del solito per abbigliarsi. La cameriera, che vedevala irresoluta più dell’ordinario nello scegliere una o altra veste ed acconciatura, credeva che fossele cresciuto il vezzo della galanteria; ma non era, che invece in ogni arnese della toeletta in cui poneva le mani parevale di trovare un consiglio, e spesso ancora un rimprovero. Non so poi se questo durasse, mi contentai sapere della signora quel tanto che vi ho raccontato. Oh! direte forse, che nuova bizzarria fu ella questa di vestiti che parlano? Ma, di grazia, di un abito che stia malamente intorno ad un tale non siete soliti di dire, che gli piange addosso? Ora, se gli abiti possono piangere, perchè non parlare? Oltre a ciò, non dite che questo e quell’abito, o altro che sia, dice o non dice bene alla tale o tal altra persona? E qual differenza ci corre fra il dire e il parlare? Anzi non è più difficile il dire che il [p. 358 modifica]parlare? Ed io stesso, che ho pure mirato con questo articolo a dirvi qualche cosa, non ho forse fatto altro che parlare senza dir nulla!