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sone che, in cambio di dar consigli al loro prossimo, esercitano elleno stesse in silenzio le virtù più utili e più faticose, e mentre sopportano con rassegnazione tutto il peso del corpo sociale, non si sa nemmeno che vivano, se non è per qualche gemito che lasciansi inavvertitamente sfuggire di sotto al piè che le calca.

Non avrete, credo, o lettori, gran voglia che vi dichiari uno per uno tutti que’ discorsi, e già dai tre primi potete far ragione degli altri. Voglio bensì dirvi come alla signora, dopo un tal fatto, fu di bisogno, almeno per qualche giorno, più tempo del solito per abbigliarsi. La cameriera, che vedevala irresoluta più dell’ordinario nello scegliere una o altra veste ed acconciatura, credeva che fossele cresciuto il vezzo della galanteria; ma non era, che invece in ogni arnese della toeletta in cui poneva le mani parevale di trovare un consiglio, e spesso ancora un rimprovero. Non so poi se questo durasse, mi contentai sapere della signora quel tanto che vi ho raccontato. Oh! direte forse, che nuova bizzarria fu ella questa di vestiti che parlano? Ma, di grazia, di un abito che stia malamente intorno ad un tale non siete soliti di dire, che gli piange addosso? Ora, se gli abiti possono piangere, perchè non parlare? Oltre a ciò, non dite che questo e quell’abito, o altro che sia, dice o non dice bene alla tale o tal altra persona? E qual differenza ci corre fra il dire e il parlare? Anzi non è più difficile il dire che il