Ben Hur/Libro Ottavo/Capitolo VIII
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Traduzione dall'inglese di Herbert Alexander St John Mildmay, Gastone Cavalieri (1900)
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CAPITOLO VIII.
Le vie e i ritrovi pubblici della città rigurgitavano di gente, che andava e veniva, attorniava cantando e felice i grandi fuochi, e mirava i pezzi di carne che giravano allo spiedo.
L’aria era impregnata dell’odor di carne abbruciata e del fumo del legno di cedro. Era questa l’occasione in cui ogni figlio d’Israele era fratello ad ogni figlio d’Israele, e l’ospitalità non conosceva limiti; da ogni parte sorgevano grida verso Ben Hur. — «Fermati e godi con noi. Siamo tutti fratelli nell’affetto del Signore!» — Ringraziando con la voce e col gesto, egli continuava frettolosamente la sua strada verso il Khan, con l’intenzione di montar subito a cavallo e raggiungere le tende del Cedron.
Il suo cammino lo condusse ad attraversare la via che doveva diventare così mestamente celebre nel mondo cristiano. Anche qui fervevano le liete cerimonie. Guardando su per la strada, vide le fiamme di alcune torcie in movimento, svolazzanti al vento come pennoni; ed osservò che dove passavano le torcie, i canti e le risa tacevano. La sua meraviglia raggiunse il colmo però, quando, attraverso il fumo e le scintille turbinanti, scorse il luccichio di lancie e di corazze, rivelanti la presenza di soldati Romani. Che cosa facevano essi, i beffardi legionari, in mezzo ad una processione Ebrea?
Era una cosa inaudita, ed egli si arrestò, fremendo.
La luna brillava; ma, come se la sua luce e quella delle torcie, e il bagliore dei fuochi nella strada non bastassero, alcuni della processione recavano lanterne. Pensando che in questo fatto avrebbe potuto trovare una spiegazione dell’enigma, Ben Hur si avanzò nella via in modo da poter osservare da vicino i componenti la processione. Le torcie e le lanterne erano portate da schiavi ciascuno armato cori mazze ferrate e giavellotti. Il compito di questi mazzieri sembrava esser quello di rischiarare la strada e di indicare gli ostacoli ad alcuni dignitari cheli seguivano — sacerdoti e dottori, rabbini dalle lunghe barbe, fitte sopraciglie e nasi a becco, personaggi influenti nei consigli di Hannas e Caifa. Dove potevano andare? Non al Tempio certamente, perchè la via da Sion, donde questi sembravano venire, alla sacra casa, conduceva lungo lo Xisto. E il loro scopo? Non pacifico — altrimenti, perchè la presenza dei soldati?
Mentre la processione passava, l’attenzione di Ben Hur era specialmente attratta da tre uomini, camminanti l’uno vicino all’altro, alla testa del corteo, immediatamente preceduti dai lampadofori, i quali sembravano usar loro speciale deferenza. Nel personaggio a sinistra del gruppo egli riconobbe il capo dei custodi del Tempio: quello a destra era un sacerdote; l’uomo nel mezzo non era così facilmente classificabile, poichè camminava pesantemente, appoggiandosi alle spalle degli altri due, con la testa piegata innanzi sul petto. La sua apparenza era quella di un prigioniero non ancora rinvenuto dallo spavento dell’arresto, o che veniva condotto a qualche cosa di terribile — la tortura, o la morte. I due dignitari a destra e a sinistra lo aiutavano premurosamente, rivelando che, s’egli non era il personaggio principale della processione, aveva certamente rapporti importanti con essa — forse era un testimonio o una guida — forse un delatore.
Con perfetta disinvoltura Ben Hur si insinuò nel corteo, camminando a fianco del sacerdote. Se soltanto l’uomo avesse sollevato la testa? E dopo qualche passo il suo desiderio fu esaudito. La testa si alzò, rivelando, alla luce delle lanterne, un volto pallido, magro, contratto dal terrore; la barba arruffata; gli occhi velati, infossati, portanti l’espressione della disperazione. Seguendo davvicino il Nazareno, Ben Hur aveva imparato a conoscere i discepoli, come il Maestro; ed ora, vedendo quel triste volto, esclamò:
— «L’Iscariota!» —
Lentamente l’uomo girò il capo verso di lui, fissandolo con i grandi occhi sbarrati, e le labbra si mossero, come per pronunciare qualche parola; ma il sacerdote si interpose.
— «Chi sei tu? Va per i fatti tuoi!» — disse a Ben Hur, sospingendolo con violenza.
Il giovine prese lo spintone di buon umore, e aspettando l’occasione, si frammischiò nuovamente al corteo. In questo modo percorse tutta la lunghezza della via, l’affollata pianura fra la collina di Bezetha e il Castello di Antonia, fino alla Porta delle Pecore. Dappertutto s’incontravano gruppi di persone, intente a celebrare riti religiosi.
Essendo la notte di Pasqua, i battenti della Porta erano spalancati. I custodi se n’erano andati e la processione passò liberamente. Davanti ad essa si stendeva il profondo burrone del Cedron, ombreggiato dal Monte Oliveto, coi suoi boschi di cedro e di ulivi, neri, e spiccanti sinistramente contro il cielo illuminato dalla luna. Due strade s’incrociavano davanti alla Porta, una a nord ovest, e l’altra verso Bethania. Prima che Ben Hur avesse tempo di capire se la processione si fermerebbe, o, proseguendo, quale delle due strade avrebbe preso, fu spinto da essa giù verso la vallata. Nessun indizio rivelava lo scopo della marcia misteriosa.
Giù nel burrone e sopra il ponte, passò la comitiva, con le torce fiammeggianti e le mazze ferrate calpestando rumorosamente il terreno; poi piegò a sinistra, nella direzione di un orto d’ulivi, chiuso da un muro bianco. Ben Hur sapeva che quel luogo era deserto, tranne per alcuni tronchi nodosi e un grande triangolo di pietra, usato dai contadini per schiacciare l’olio dalle bacche. Mentre stava pensando, pieno di meraviglia, che cosa potesse cercare la comitiva in un tal luogo, tutti si fermarono. Si udirono voci concitate partire dalla testa della processione; un fremito corse di uomo in uomo; vi fu una confusione e un rinculare generale; solo i soldati rimasero fermi al loro posto.
In un attimo Ben Hur si liberò dalla folla, e corse innanzi. Si trovò davanti a una porta di cui il cancello era stato abbattuto, e con uno sguardo dominò tutta la scena.
In mezzo all’orto stava un uomo, in bianche vesti, il capo scoperto, le mani incrociate sul petto — una figura esile e curva, coi lunghi capelli e il volto scarno — in atto di rassegnazione e di attesa.
Era il Nazareno!
Dietro di lui, in gruppo, stavano i discepoli. Essi sembravano in preda ad una grande agitazione. Egli invece appariva assai calmo. La luce delle torcie illuminava il suo volto e dava ai suoi capelli una tinta più rossa del naturale; ma l’espressione del volto, era come sempre, piena di bontà e di compassione.
Davanti a questa mite apparizione stava la plebaglia, muta, umiliata, atterrita — pronta al primo segno d’ira a voltare le spalle e fuggire. Da quella a lui, da lui a Giuda Iscariota, Ben Hur guardò con rapido sguardo. E comprese.
Là era il traditore, qua il tradito; e questi schiavi, con torcie e mazze, e questi legionari, dovevano eseguire l’arresto.
Un uomo non può sempre dire in precedenza ciò che farà in una data circostanza. Questa era l’occasione che Ben Hur aveva atteso, per cui s’era da tanti anni preparato. L’uomo, la cui causa egli aveva sposata, e sulla cui vita aveva costruito un tanto edificio, era in pericolo: pure egli stette dubbioso. Tali contraddizioni esistono nella natura umana! Inoltre quella stessa calma con la quale l’essere misterioso fronteggiava la turba e la teneva in soggezione, persuadeva Ben Hur della presenza di una forza superiore e secreta, sulla quale il tradito poteva fare affidamento. Pace ed amore e abnegazione avevano formato il substrato delle dottrine del Nazareno; avrebbe messo in pratica i suoi insegnamenti? Egli era padrone della vita, poteva toglierla e ridarla a piacimento: quale uso avrebbe fatto di questa forza? Difendersi? E come? Una parola, un respiro, un pensiero bastavano. Nella sicura fiducia che egli stava per assistere ad una manifestazione stupefacente di questa forza. Ben Hur attese immobile. E in tutto questo, egli non pensava al Maestro che come a un uomo, e lo misurava alla stregua dei propri sentimenti.
Chiara e distinta si levò la voce di Cristo.
— «Chi cercate?» —
— «Cristo di Nazareth» — rispose il sacerdote.
— «Io sono quegli.» —
A queste semplici parole, pronunciate senza passione o paura, la turba si ritrasse di parecchi passi, e i più timidi fra essa si gettarono a terra tremando. Forse lo avrebbero lasciato stare e sarebbero partiti, se Giuda non si fosse avvicinato a lui.
— «Salve, Maestro!» —
E con questo saluto amichevole, lo baciò.
— «Giuda!» — disse il Nazareno con mitezza, — «tradisci tu il Figlio dell’uomo con un bacio? Perchè sei tu venuto?» —
Non ricevendo risposta, il Maestro si volse nuovamente verso la folla:
— «Chi cercate?» —
— «Cristo di Nazareth.» —
— «Vi ho detto ch’io sono colui. Se mi cercate, lasciate dunque che questi partano in pace.» —
A quelle parole i Rabbini si avanzarono, e indovinando il loro scopo, alcuni dei discepoli, pei quali Egli aveva supplicato, balzarono innanzi a lui: uno di essi troncò l’orecchio ad un assalitore, senza per questo salvare il Maestro. E Ben Hur non si mosse! No. Neppure quando gli ufficiali apprestarono le corde per legare il Nazareno, e questi compì l’atto sublime di carità, ahimè! uno degli ultimi della sua vita.
— «Non soffrire più oltre» — egli disse all’uomo ferito, e lo guarì col contatto della sua mano.
Amici e nemici si guardarono stupefatti — gli uni che egli potesse fare un tale atto, gli altri ch’egli lo facesse in tali circostanze.
— «Certamente egli non si lascierà legare!» —
Così pensò Ben Hur.
— «Deponi la tua spada; la coppa che mio Padre mi tende, non dovrò io vuotarla?» — Dal suo seguace il Nazareno si volse agli assalitori. — «Perchè siete venuti incontro a me come contro un ladro, con spade e bastoni? Io fui con voi tutti i giorni nel Tempio, e non m’avete arrestato; ma questa forse è l’ora vostra e della potenza delle tenebre.» —
La pattuglia riprese coraggio e lo circondò; e quando Ben Hur girò gli occhi in cerca dei fedeli — essi erano spariti, — non uno rimaneva.
Intorno all’uomo abbandonato si agitava la folla, rumorosa, affaccendata. Di tanto, in tanto fra le torcie, e il fumo, e il mare di teste ondeggianti, egli intravvedeva il prigioniero, e una grande pietà gli stringeva il cuore per quell’uomo senza amici e derelitto. Ma pure — egli pensava — quell’uomo avrebbe potuto difendersi, avrebbe potuto uccidere con uno sguardo i suoi avversari, e non aveva voluto. Qual’era questa coppa che suo padre gli aveva dato da vuotare? E qual’era il padre al quale si doveva una tale obbedienza? Mistero sopra mistero.
Appena la plebaglia si volse per tornare in città, i soldati si misero alla testa della comitiva. Ben Hur era irrequieto, malcontento di sè stesso. Egli sapeva che dove le torcie erano più fitte, là si trovava il Nazareno. Lo avrebbe ricercato, gli avrebbe fatto una domanda.
Spogliandosi della lunga sopraveste e del fazzoletto da capo, che gettò sopra il muro dell’orto, egli rincorse la processione e si mescolò con essa. Facendosi strada faticosamente fra la calca, pervenne alla fine presso all’uomo che teneva i capi della corda con cui il prigioniero era legato.
Il Nazareno camminava lentamente, con la testa piegata, le mani annodate dietro la schiena; i capelli piovevano con disordine sopra il suo viso, e la curva delle spalle era più accentuata del solito. Apparentemente era inconscio di quanto avveniva intorno a lui. Lo precedevano, di pochi passi, sacerdoti e patriarchi, che discorrevano animatamente fra loro e di tanto in tanto si voltavano indietro. Quando arrivarono sul ponte sopra la gora. Ben Hur prese la corda di mano allo schiavo, e si avvicinò al Nazareno.
— «Maestro, maestro!» — egli sussurrò frettolosamente.
— «M’odi, Maestro? Una parola — una parola. — Parla!» —
L’uomo della corda la pretendeva violentemente.
— «Dimmi,» — continuò Ben Hur — «vai tu con questi uomini di tua libera volontà?» —
Il popolo lo attorniava iracondo e gli urlava nelle orecchie:
— «Chi sei tu? Che cosa vuoi?» —
— «O Maestro» — proseguì Ben Hur, con voce piena di angoscia. — «Io sono un tuo amico e seguace. Dimmi, ti supplico: se io ti porto aiuto, lo accetterai?» —
Il Nazareno non alzò il capo, nè diede alcun segno di avere inteso. Ma una voce sussurrava a Ben Hur giustificando questo silenzio: — «Lascialo stare» — essa sembrava dirgli. — «I suoi amici lo hanno abbandonato; il mondo lo ha rinnegato; nell’amarezza del suo cuore egli ha detto addio agli uomini; egli va verso un destino ignoto, e non gli importa di conoscerlo. Lascialo stare.» —
Ben Hur dovette desistere. Una ventina di pugni erano tesi contro di lui da ogni parte. La plebaglia urlava: — «Egli è uno dei suoi amici! Ammazzatelo! — a morte, a morte!» —
L’ira accrebbe forza a Ben Hur, il quale liberandosi con violenza dalle mani che lo afferravano, giuocò vigorosamente di mulinello col pugno e riuscì a farsi strada attraverso la turba che lo stringeva da ogni banda. Con la tunica a brandelli, quasi nudo, e grondante di sudore dalla fatica riuscì finalmente a fuggire nel burrone, che nascondendolo con le sue ombre amiche gli offrì temporaneo asilo e salvezza.
Quando il pericolo fu sparito, Ben Hur riprese la veste che aveva lasciata sul muro dell’orto e rientrò in città, al suo Khan, donde, fattosi sellare il cavallo, partì alla volta delle tende presso la tomba dei Re.
Cavalcando, egli si promise di rivedere il Nazareno all’indomani. Lo promise, non sapendo che il povero derelitto era stato condotto immediatamente in casa di Hannas, per essere giudicato quella stessa notte.
Il cuore del giovane era pesante, e quando egli si distese sopra il suo giaciglio, non potè per lungo tempo prender sonno; perchè ora veramente questo rinnovellato regno Giudeo si risolveva nella sua vera essenza, ed appariva un sogno. E’ terribile vedere gli edifici che la nostra speranza innalza, precipitare l’uno dopo l’altro, senza dar tempo all’anima di riaversi, all’orecchio di dimenticare il frastuono della prima ruina; ma quando tutti quanti precipitano insieme -- come navi che affondano, — come case che crollano in un terremoto — lo spirito che sa sopportare il disastro con calma, è dotato di una tempra superiore alla comune — e Ben Hur non era di quelli. Fissando gli sguardi nell’avvenire egli cominciò a intravvedere i brani di una vita serenamente bella, con un tranquillo focolare invece di un palazzo reale, e con Ester sua sposa. Più volte nel lento volgere delle ore notturne, egli pensò alla villa di Miseno, immaginando la figura della sua bella compagna aggirantesi in quei superbi atri Romani, per quei sentieri fioriti, per la spiaggia di quel mare così azzurro, sotto alla volta del bel cielo Napoletano.
In altre parole una nuova crisi sconvolgeva Ben Hur, crisi che solo l’incontro col Nazareno all’indomani, poteva risolvere.