Azioni egregie operate in guerra/1687

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Ispensò denari in copia per numerose levate di gente, colle quali riempì i reggimenti, assai diminuiti nel passato assedio. Su barconi di elevata struttura ordinò forni mobili, da cuocer il pane, invenzione non per anco comparsa sul Danubio. Comprò abbondanti medicamenti per i feriti, e per gl’infermi colle botteghe aperte; affine di rimetterli prestamente in salute. Con queste diligenze si ricuperarono da sei mila Soldati, mal condotti da’ passati patimenti. Egli pratichissimo de’ bisogni di un esercito, ed insieme buonissimo economo, impiegò la sua fedeltà, ed insigne esperienza nel ben servir Cesare suo Signore. Così assistito ottimamente l’esercito imperiale, potette accingersi ad un lungo viaggio sino di là dal Dravo, e sotto Esech, in [p. 209 modifica]conformità d’un ricordo, lasciato nelle proprie scritture, ed istruzioni dal Co. Raimondo Montecuccoli, il quale suggeriva, che quando si arrivasse a soggiogar Buda, si proseguissero le conquiste lungo il Danubio, senza arrestarsi sotto le Piazze di qua, e di là; poichè queste sarebbero cadute coll’affamarle per mezzo di stretto blocco, al che erano valevoli gli Ungheri medesimi con pochi Alemanni.

Il disegno del Serenissimo di Lorena mirava a giungere coll’armata sotto Esech, prima che il Gran Visir fosse in istato d’inoltrarsi colle maggiori schiere Ottomane. Prevenendolo sperava di espugnare la fortezza di debole difesa, ottenuta la quale si acquistava il possesso intero del fiume Dravo di gran parte della Schiavonia, e s’interrompeva la comunicazione dell’Imperio Turchesco colle Piazze d’Alba Reale, Canissa, Zighet, le quali circondate da poche schiere, che impedissero i viveri, sarebbero cadute per la mancanza di vitto. Il disegno era bello; ad effettuare il quale Esso Serenissimo accelerò l’andata al campo, e vi si trovò sotto Strigonia a’ primi di Giugno; ma non vi rinvenne, che sedici mila Combattenti per colpa frequente, nè mai punita dalla troppa bontà di Cesare negli Ufficiali, di prolungare l’uscita de’ reggimenti da’ quartieri. Ad accalorarli nelle mosse camminò Egli prestamente abbasso con quelle truppe, che aveva alle mani. Questa tardanza pregiudicò assai all’impresa; poichè gli Ottomani ebbero tempo, da ingrossarsi ad Esech, ed alzarvi un gagliardo trinceramento, in cui si chiusero. L’altro ostacolo nacque dalla difficoltà di dirizzare un ponte sul Dravo. L’incombenza di fabbricarlo fu appoggiata al General Caprara, che pose in opera tutta l’attenzione; affinchè con sollecitudine, e ben fermo fosse stabilito. Ma essendo la faccenda laboriosa per il crescere delle acque con nuove piene, le quali rapidissime distruggevano i lavori antecedentemente orditi, convenne spendervi dodici giornate. Anche questa seconda remora lasciò tutto l’agio al Gran Visir, di accorrere sotto Esech colle maggiori forze Turchesche, e rendere inacessibile il proprio trinceramento. Fu d’uopo per tanto retrocedere, ripassare il Dravo, e collocarsi sulle Campagne prossime alla Città di Cinque Chiese e al Monte Harsan. In quella vicinanza seguì la battaglia cogl’Infedeli. Mercecchè il Duca di Lorena da una parte, l’Elettor Bavaro dall’altra, ed avanti a tutti il Principe Eugenio, rovesciarono i Turchi, sortiti in più migliaja da’ loro ripari. Entrarono felicemente i Cesarei dentro il loro campo; sorpresero i Monsulmani, che non attendevano quella irruzione, e cominciarono una strage terribile di que’ Barbari. Il Serenissimo di Lorena, memore di quanto era accaduto in altri casi, che la vittoria, incamminata prosperamente, erasi convertita poi in disfatta per la soverchia avidità de’ Tedeschi, nel voltarsi troppo presto a bottinare, e v’erano esempj di più secoli, ed anche di quello d’allora, diede commissione al General Caprara d’impedire questo disordine. Il Caprara spe[p. 210 modifica]dì subito Ajutanti a’ Colonnelli, e a’ Capitani, perchè ostassero a sì gran pericolo. Esso cavalcò qua, e là con prestezza1, e con vigilante attenzione, perchè lo sconcerto non succedesse, e le milizie conservassero l’intera ordinanza. Queste diligenze assicurarono la vittoria, perchè più oltre un miglio si scoprì un secondo trinceramento, dentro di cui vi era la riserva Turchesca, con molte loro schiere nella prima fuga ricoverate colà; e male per i Cesarei, se si fossero sbandati a bottinare. Quegli Infedeli erano capaci di rimettersi, di sortire dal trinceramento, e colla furia agilissima de’ Cavalli, coll’assordamento delle voci incondite da loro costumate, e col maneggio eccellente della sciabla riempire i Cristiani di confusione, di spavento, di ruina, e forse anche di levare loro dalle mani la vittoria. L’attenzione costante del General nel tenere unite e stabili le file sotto le insegne frastornò la disgrazia, e a lui somministrò l’opportunità di avvicinare i battaglioni al fosso del nuovo trinceramento, ed animarli coraggiosamente a superarlo. Il Duca di Lorena spinse le truppe del Circolo di Svevia in soccorso di esso Caprara, e tutte si aprirono colla forza l’accesso nel nuovo Campo, ove fugata la Cavalleria degli Spay, proseguirono a tagliare a pezzi i Gianizzeri. Sino all’ultimo, tanto quel Serenissimo, quanto il Caprara, e colle scorse, e colla voce invigilarono, e tennero in dovere le Milizie, perchè non si sbandassero alle prede, alle quali si conoscevano avidamente portate fuor di tempo. Col benefizio di tali precauzioni tutti proseguirono a compire un’intera vittoria. Il bottino guadagnato arrivò al valore di cinque milioni, oltre all’erario, ed altre ricchezze toccate in sorte a S. A. E. di Baviera. Vi si trovarono ottanta Cannoni, munizioni da bocca, e da guerra in gran copia. Otto mila cadaveri si rinvennero distesi sul campo, oltre i feriti, ed altre migliaja, annegate nel Dravo, e nelle valli d’attorno. Tenuissima fu la perdita de Cristiani. Soli seicento tra morti, e feriti, tanto nel fatto presente, quanto nelle scaramuccie antecedenti. Gli acquisti di Città, che ne provennero, furono abbondantissimi. Esech con quasi tutta la Schiavonia rimessa in possesso di Cesare per l’abbandono, che ne fecero i Monsulmani. La Transilvania, ampia, e ricca Provincia sottommessa a’ presidj, e a grosso quartiere Alemanno. Il Duca di Lorena vi s’incamminò in persona per ridurla. Allora il General Caraffa dimorava nell’Ungheria superiore, attento a rinserrare Agria, e Mongatz. Nell’inverno passato con la vigilante sua sagacità aveva scoperta una pericolosa congiura, tramata dal Techeli con molti Nobili Luterani, e Calvinisti, per trucidare i Presidj Imperiali delle Città conquistate. Esso avuti nelle mani i Complici principali, deputò un’assemblea di più Giudici, Ungheri, Tedeschi, Cattolici e Protestanti, che verificassero la trama, e sentenziassero il castigo dovu[p. 211 modifica]to. Decretate le pene, il Caraffa nella Piazza d’Eperies col taglio del Capo, e delle mani la fece eseguire in otto primarj; il che riempì di terrore il paese, e restituì all’antica ubbidienza. Passarono gran doglianze a Vienna contra di lui, e Cesare chiamatolo alla presenza, lo sgridò acerbamente per aver usata tanta severità, senza riflettere, che serviva ad un Padrone indulgentissimo a condonare, o a mitigare le pene meritate. Il Caraffa tacque, e si contentò, che tanto il rimprovero, quanto l’invidia cadessero sopra di lui, e ne rimanesse sgravato l’Imperatore. Ma si compiacque d’aver operato, come il buon servigio di Cesare richiedeva contra Sudditi, che sin allora mai non avevano cessato d’abusarsi della di lui bontà, e clemenza.

Intesa poi la marcia del Duca di Lorena verso la Transilvania, raccolse gran quantità di barche, per trasportare viveri a Seghedino. Poco dopo visitati i Magazzini, ritrovò, che moltissime vettovaglie eransi guastate per scelleragine de loro custodi; e però vi voleva qualche settimana di tempo, per radunarne di nuove. Il Serenissimo di Lorena aveva consultato il General Veterani2, per intendere il suo parere circa la strada, da tenersi verso la Transilvania. Questi consigliò la più breve tra Seghedino, e Titul, indi a Lippa, che si conquisterebbe facilmente, poi a Deva, o ad Alba Giulia. A tal fine radunava navi in copia, colle quali sul fiume Maros avrebbe trasportati i viveri.

I gran patimenti, sofferti nel marciare dal Danubio al Tibisco per Campagne, sfornite d’alberi, all’ombra de’ quali ripararsi ne’ cocenti ardori del Sole, quando era sereno, e senza Case, sotto le quali coprirsi, quando dirotte pioggie inondavano, e queste duravano per più giorni; in oltre senza pozzi d’acqua buona, con cui ristorare l’ardente sete degli Uomini, e de’ giumenti, infiacchirono l’esercito Cesareo. La notizia poi delle provvisioni cadute in pessimo stato, ed altre difficoltà, consigliarono il Duca di Lorena a salire più in alto a Zolnoc, ed appigliarsi al cammino più lungo, ma meno fastidioso, e più agevole a rinvenire provvisioni. Affrettatosi il General Caraffa a raccogliere viveri, ne mandò buona copia a ristoro del Campo. Precedette nel viaggio il General Veterani con quattro Reggimenti, ed entrato il primo in Transilvania, intimò la resa a Claudiopoli. Sopravvenne il Duca medesimo: piantò le batterie, e conseguì la resa. V’entrò Egli in comparsa di Trionfante, accolto da’ Magistrati, e da’ Nobili con sommi onori. Passò nel cuore della Provincia, e costrinse l’Abaffi ad ammettere guarnigione nelle Città primarie, tra’ quali Hermanstat la Capitale. Il Caraffa consigliò, e ottenne di collocare in Debrezino Città popolatissima un grosso quartiere a piedi, e a cavallo, per contenere in freno quel paese di fedeltà vacillante. [p. 212 modifica]

Il Serenissimo di Lorena nel ritorno alla Corte, passò vicino ad Agna, ove quel Bassà, costretto dalla fame, voleva capitolare; ma pretendeva la presenza del Visir de’ Cristiani, diceva Egli, cioè del medesimo Duca, affine d’assicurarsi, che i patti gli fussero mantenuti, nè fusse soggettato al macello, con cui Maometto Terzo Gran Signore uccise i Cristiani, quando gli rendettero Agna. Il Principe non volle cogliere i frutti dell’altrui travaglio, e lasciò la gloria della Fortezza ricuperata a’ Capi Imperiali, che v’avevano faticato attorno. Questi furono il General Caraffa cogli ordini, e regolamenti prescritti. Il Marchese Gio. Battista Doria Genovese coll’esecuzione. Espugnò quattro Castelli del Vicinato. Bruciò i seminati d’attorno: Disfece più volte i Turchi usciti per foraggiare. Quattro alloggiamenti con forti ben regolati vi piantò il Marchese. Con questi attraversò i sussidj di fuori, e restrinse la fame di dentro. Il Duca di Lorena volle visitarli, ed osservatane la disposizione, intese poi anche le diligenze, nell’impedire i sovvenimenti alla Città, ne lodò la direzione del Doria.

Prima di ciò, tardando il Presidio a rendersi, il Caraffa aveva approntati Cannoni, e Mortari, con molti carri carichi di palle, e di piombo, per angustiare maggiormente la Piazza cogli spari, e cogl’incendj. Quando intese dal Doria, come il Comandante aveva esposto bandiera bianca. Lasciati pertanto gli attrezzi Militari, si portò Egli medesimo al Campo. Il Bassà, dalle allegrezze fatte, inteso l’arrivo del Generale, mandò a complimentarlo da quattro Uffiziali, e insistette perchè le Capitolazioni fussero sottoscritte da Cesare. Il Caraffa non solo ne fu contento; ma moderò i patti prescritti in avanti. A’ regali ricevuti corrispose con altri al doppio maggiori. Abbracciò caritatevolmente il Bassà, e lo tenne seco a lauto pranzo. volle, che prendesse due carri di rinfreschi con superbissimi Cavalli tutto in dono. Erano sette mesi, che la Guarnigione mancava di pane. Tanto Esso, quanto gli abitanti erano estenuati al sommo del lungo soffrire per mancanza di tutto. Cento, e sette pezzi d’artiglieria tutti di bronzo si trovarono in Agna, i quali rimbombarono al cantarsi l’Inno di grazie, per l’acquisto di una Città, Sede Vescovile, che assicurava all’Imperatore il possesso di quasi dieci Comitati. Poco tempo dopo seguì la resa di Montgatz, Fortezza sù un alto Colle con tre ritirare, una più elevata dell’altra, tutte inaccessibili. All’orlo del Monte stava la Città bassa circondata di forte palanca con fosso spazioso, e profondo pieno d’acqua. Per ordine venutogli da Vienna il Marescial Caprara l’aveva assediata a’ primi di Marzo. La stagione era impropria all’impresa. Pioggie iterate formavano grossi torrenti, che cadendo dalle montagne, allagavano la pianura. Alcuni ripari esteriori furono presi. Ma le milizie vi pativano estremamente per il freddo, che tuttavia durava, e per le acque, che inondavano gli approcci. Mancava la provvisione convenevole di fascine, ed altri [p. 213 modifica]materiali per alzare argini, e trincee di difesa. Il Presidio era considerabile, composto de’ più ostinati Ribelli, i quali sortendo fuori, e ritrovando gli assedianti mezzo intirizziti dalla inclemenza della stagione, e maltrattati dall’umidità, che cadeva loro addosso, ne ammazzavano. Il Caprara scrisse alla Corte, ch’era necessario risparmiare il Soldato, e non esporlo con certezza di perderne molti, e poca speranza di conseguire l’intento. In tanto levava l’assedio, e rimetteva le truppe al riposo, perchè potessero servir meglio all’aria buona. Allora con uno stretto blocco poteva promettersi di costringerla a darsi. Andato il Caprara all’esercito, il General Caraffa intraprese di circondarla3. Vi fece piantare attorno cinque Forti reali, che chiuse la strada a’ soccorsi. Sbaragliò trecento Ussari, che tentavano d’introdurre sacchi di frumento nella Piazza; onde per salvarsi con celerità, dovettero questi gettar a terra il grano. Sorprese un Forte vicino alla Piazza. Guadagnò la Guarnigione della Palanca, e col mezzo di que’ Soldati tentò di sorprendere la Fortezza. La Principessa, vedendosi mal sicura colà dentro, chiese di poter ragguagliare il Marito della necessità, in cui era di rendersi. Negoglielo il Caraffa, rappresentandole la ostinata fellonia del Consorte, di cui doveva arrossire persino di chiamarsi Moglie. Ella per tanto determinò di accettare le condizioni offertele, ed erano, che si portasse co’ Figli a Vienna sotto la protezione dell’Augusto Signore. Alla riserva di Montgatz, e di Miclos si restituissero al Principe gli altri Castelli. Le Milizie, ed Uffiziali fossero reintegrati de’ loro beni. E quando sei seguaci del Techeli si ritirassero in Polonia, potessero per intercessione della Principessa godere i loro averi. Essa poi consegnò le insegne del Principato, inviate dal Sultano al di lei Marito. Uscita dalla Piazza, il Caraffa la trattò con ogni più Nobile espressione d’ossequio: le donò del suo molto denaro, e la fece servire con onorevole accompagnamento sino a Vienna. Ciò seguì a’ primi di Gennajo del

  1. P. Vagner tomo V pag. 19.
  2. P. Vagner tomo V pag. 22.
  3. P. Filamondo suddetto pag. 62, 63, 64, 65.