Azioni egregie operate in guerra/1662

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E
’ Destinato Capo il Montecuccoli, il quale congregò con somma diligenza, vettovaglie, artiglierie, guastadori, ponti, e quanto´ [p. 137 modifica]faceva d’uopo, per cominciare le ostilità, le quali aveva destinato d’intraprendere lungo il Danubio; quando all’impensata gli giunse ordine dalla Corte, di trasportare la guerra in Transilvania. Disturbato amaramente dal comando, oppose la riuscita infelice, in cui terminerebbe quell’andata. Dove trovar vettovaglie, apparecchiate nel viaggio. I Paesani alla veduta de’ Tedeschi abbandonerebbono le Case, e rintannerebbonsi ne’ boschi. Doversi que’ Villici riputare altrettanti nemici degli Alemanni. Entrare allora Agosto, che con gli eccessivi calori, e con le seti ardenti infiacchirebbe le Soldatesche. Meglio essere il muoversi lungo il Danubio, che porterebbe il necessario con facilità, e si entrerebbe a vivere in paese nemico. Potersi compensare la perdita del Gran Varadino coll’acquisto di Strigonia, o d’Alba reale. Fugli risposto, che ubbidisse. Appena fatto poco viaggio, il Montecuccoli ricevette avviso dal Keminio, come il Bassà Halì, con armata potente entrato nella Transilvania, faceva strage d’uomini, e minacciava il Paese. Esso essersi ritirato nell’Ungheria. Il Montecuccoli, consegnata la Fanteria al Generale di Baden, colla Cavalleria avanzò a gran giornate. A’ 18 d’Agosto giunse a Zatmar, ivi atteso dal Keminio. Alla fama dell’esercito Cesareo il Bassà Halì si fermò a Nigibania. Il disegno del Montecuccoli era, di combattere il Turco. Ma la Fanteria non giunse se non agli ultimi del mese. Le marcie lunghe per l’Ungheria sono funestissimi a’ Corpi Alemanni nel tempo d’estate, per essere cocente l’aria di giorno, e la notte piuttosto fredda. Doveva alloggiare allo scoperto. Malattie copiose invasero l’esercito, e cagionarono quantità d’infermi, non solo Gregarj, ma Uffiziali anche maggiori, quali erano Baden, Staremberg, Pisec, Fischer. Altri morirono; altri si ritirarono a farsi curare.

Il Palatino Vesselino, nemico acerbo, ma segreto di Cesare aveva promessa l’unione di dieci mila Ungheri; ma non ne capitarono se non cento cinquanta. Pregiudizio pessimo alla guerra presente recava l’antipatia degli Ungheri contra i Tedeschi. Volevano, che questi li difendessero. Ma quando entravano nel loro paese per sostenerli, negavano ad essi il con che vivere. Abbandonate le case, si concentravano ne’ boschi.

Il Montecuccoli stimò bene di fermarsi alcuni giorni, e ristorare l’esercito. Rimessolo in forze, per due differenti strade l’avvicinò a Claudiopoli, dove correva fama, che lo attendessero i Turchi. Ma questi al primo avviso erano retrocessi; dopo che il Bassà Halì aveva dichiarato nuovo Principe della Transilvania Michele Abaffi. Il Turco, prima d’eleggerlo, con iscaltra politica chiamò a consiglio alcuni Primarj di quella Provincia, e gl’interrogò, chi riputassero migliore per il loro governo. I più convennero nell’Abaffi, di stirpe Nobile, di buoni costumi, modesto, e amante di vivere quieto alla [p. 138 modifica]Campagna. Il Bassà chiamatolo, insinuò a quegli, che l’avevano proposto per migliore, ad acclamarlo per Principe. Con artifizio così sagace ottenne il Turco, che tutti i Transilvani aderissero all’Abaffi, ed abbandonassero il Keminio.

Cangiate le contingenze dell’affare presente, stavano incerto il Montecuccoli, a qual partito appigliarsi. Due ve n’erano, o prender quartiere in Claudiopoli, o penetrare più avanti, come persuadeva il Keminio, e dar battaglia a’ nemici. A questa determinazione veniva opposto il poco numero de’ Tedeschi a confronto del’Infedeli al triplo più numeroso; le febbri pestilenziali, che affliggevano molti Soldati Cristiani: Il Paese gran parte incolto, ed altro sterminato con incendj dagli Ottomani; per tanto dove trovar foraggio, e come provvederlo in mezzo alle correrie de’ Cavalli Tartari. Pesate queste difficoltà giudicò il Montecuccoli miglior consiglio, ritirare le genti, che gli rimanevano, in paese migliore, e più quieto. Introdusse in Claudiopoli due mila Soldati, e quanti viveri potette radunare. Esso poi, messa a cavallo la Fanteria, perché patisse meno, e viaggiasse con migliore celerità, ritornò addietro. Per la sicurezza de’ presidj lasciati in Transilvania, sarebbe stato necessario l’acquartierare l’esercito in Cassovia, ed altre piazze dell’Ungheria superiore verso il Tibisco; ma ripugnando con veemenza i Capi di que’ Comitati, a dar loro l’alloggio, dovette l’Imperatore collocarlo ne’ Paesi più prossimi agli altri Stati Patrimoniali.

Nell’Inverno, che venne dopo, i due Pretendenti al Principato di Transilvania macchinarono d’opprimersi scambievolmente. Vi sarebbe riuscito il Keminio, se in lui vi fusse stato più risoluzione, ed ardore; poiché era vicinissimo ad aver nelle mani il rivale; ma perdendo tempo, e sempre irresoluto, prestò comodo all’Abaffi, di ricevere soccorso da’ Turchi. Il Keminio, postosi in battaglia co’ suoi, e con due mila Alemanni, somministratigli dal Montecuccoli, quando i Tedeschi dal canto loro avevano vinto, Esso, abbandonato da’ proprj Soldati, fuggendo altrove nel cadere di sella rimase infranto dal calpestio de’ Cavalli fuggitivi, non si sa se a caso, o a bella posta. Ritrovato dopo alcuni giorni il di lui cadavere, e separata dal busto la testa, fu mandata al Gran Signore, che la fece appendere sopra un’asta eminente ad Adrianopoli a spettacolo ferale. Con la morte del Competitore tutta la Transilvania si sottomise all’Abaffi. Ma perché molte piazze erano tuttavia presidiate da’ Tedeschi, il Sultano intimò al nuovo Principe, che ben presto gli obbligasse ad uscire. Altrimenti si rimandava il Bassà Halì col proprio esercito, avrebbe soggettata totalmente quella Provincia al suo dominio. Verso la fine d’Aprile otto mila Transilvani con alcuni mila Turchi assediarono Claudiopoli. Il Governa[p. 139 modifica]tore Retano Veneto, difendendosi bravamente, lasciò tempo al Colonnello Sneidau, di portargli soccorso. Si sperava di acquietare ogni torbido colla pace. Chiedevano i Turchi l’uscita de’ Presidj Cesarei dalla Transilvania, e la demolizione del nuovo Forte, eretto dal Conte Niccolò Sdrino in pochissima distanza da Canissa, ove il fiume Mura si scarica nel Dravo. La morte del primo Visire Kiuperlì disturbò la conclusione dell’affare. A lui con insolita fortuna tra gli Ottomani succedette il Figlio, giovine di vent’anni, dato allo studio dell’Astrologia. Questi rimise il negozio della pace al Bassà Halì, come pratico della faccenda. Si maneggiarono per molti mesi i Capitoli della Concordia con inopportuna tardanza della Corte di Vienna, in ispedire le commissioni al suo Ministro. I Turchi appresero, che tanta lunghezza ridondasse in loro disonore. Armarono potentemente, e furono in istato di muoversi con grosso esercito; quando i Ministri di Cesare, divisi in fazioni, a tutt’altro pensavano, che ad apparecchiare una vigorosa resistenza. Quattro de’ migliori reggimenti furono concessi agli Spagnuoli. Non si riclutavano gli altri, e si passavano i mesi in somma tardanza, come se si godesse alta quiete. Per altro, se si fosse presentata a’ confini una mediocre Armata, come suggerivano alcuni Turchi, amorevoli a Cesare, il Visir, che come nuovo, era ancora cautissimo, non avrebbe abbracciato il partito della guerra.

A peggiorare le determinazioni della Corte Imperiale concorse la morte dell’Arciduca Leopoldo Zio dell’Imperatore, il quale colla sue presenza, ed autorità dava soggezione a’ Consiglieri di Corte. E perchè di questo Principe è occorso, di favellarne nella guerra Svezzese, però non meriterà biasimo una breve digressione, che formi elogio alle di lui eccellenti virtù; bensì gioverà a dimostrare, come in tutti i secoli la grazia Divina ha saputo di gran Guerrieri formarne Eroi eminenti in integrità di costumi. Da Giovinetto studiò l’Arciduca lettere umane, Filosofia, Mattematica, Giurisprudenza sotto varj Precettori Gesuiti con profitto così insigne, che non ad apparenza, ma in realtà produsse al pubblico solenni dispute con sommo ingegno, e con eguale ammirazione di tutta la Corte. Dalla prima età comparve divotissimo, e grandemente inclinato ad orare. Per la modestia, congiunta a certo pudore Verginale, veniva chiamato l’Angelo Arciduca. Con somma gelosia custodì la purità. Finchè fu Governatore della Fiandra, non permesse mai a Persona d’altro sesso quello, che prima era in uso, cioè l’ingresso di donna nel Giardino di Corte. Dovendo accogliere Cristina Regina di Svezia nel proprio Palazzo, lo divise in due, per modo che non vi fosse accesso dall’uno all’altro. Occorrendogli incontro di Dame, o Principesse, abbassava gli occhi a terra, e sfuggiva il parlar loro. Se a lui si presentavano, voleva esser veduto dagli astanti; Si metteva in aria severa: rifiutava il bacio della mano: nè dava loro veruna ombra di confidenza. Bandiva i Commedianti liberi nel [p. 140 modifica]favellare. Quale Egli era, tali voleva i paggi, e tutta la famiglia. Mortificava il suo corpo con discipline, ciliccj, ed altre asprezze, e queste penitenze praticava anche nelle guerre. I Confessori, a’ quali esso palesò tutto l’interno suo, affermano, che portasse al sepolcro il Corpo intemerato da qualunque macchia. Era parcissimo nell’uso del cibo, e della bevanda. La sera cenava assai frugalmente. Non nella tavola, ma nell’adornamento delle Chiese voleva spendere. Col crescere degli anni s’augumentarono in lui la pietà, e le pratiche divote. Ogni giorno recitava l’uffizio Divino, e tante altre preci, che richiedevano lungo tempo. Quotidiano era l’udir Messa, ed ogni settimana il communicarsi pubblicamente colle ginocchia per terra senza scabello d’appoggio con affetti così ardenti, che moveva le lagrime a’ medesimi Protestanti, soliti per altro a deridere tali dimostrazioni de’ Cattolici. Mai si vergognò di quella Fede, e sacre cerimonie, che professava. La Processione consueta nella festa del Corpus Domini veniva celebrata da lui con solennissima pompa non solo nelle Città, ma ancora ne’ Campi di guerra, e v’assisteva in Persona, fosse Sole cocente, fosse pioggia, oppure si ritrovasse nelle trincee battute da’ colpi nemici. Ove sapeva, che si portasse il Divino Viatico, correva subito ad accompagnarlo. Nodriva confidenza filiale nella Vergine Santissima, riconosciuta da lui per sua amorosa Madre. Rendeva i dovuti onori a’ Santi Appostoli, e a’ celesti Protettori, che con favori manifesti gli ricompensarono il culto prestato loro. Portava appese al Collo, per non mai dimenticarsele, alcune proteste, composte, e scritte da lui, colle quali indirizzava tutte le sue azioni a’ fini subblimissimi di gloria di Dio. Era liberalissimo verso de’ poveri; e quando mancavagli il soldo all’esempio di S. Leopoldo, donava le proprie suppellettili. Amava di far limosine abbondanti occultissime, senza che si sapesse esser Egli il donatore. Lavava i piedi a i mendichi. Venerava con somma riverenza, ed ubbidienza i Pontefici, come Vicarj di Cristo Salvatore. Difendeva l’onore degli Ecclesiastici, e de’ Religiosi con affetto da Padre, sino a rifutare col proprio studio, e carattere un libello, pieno d’ingiurie a loro oltraggio. Godeva estremamente, quando veniva ragguagliato della conversione de’ Protestanti all’antica credenza Cattolica, e molto meglio quando il numero era grande.

Infermo a morte, e certificato del pericolo, recitò l’Arciduca con sentimento sommo di pietà una formola di ben morire, che per diciotto anni era ogni giorno consueto di protestare a Dio. Si fece leggere la tormentosa Passione di Gesù, con cui confortava lo spirito alla sofferenza de’ suoi dolori. Essendogli proposto, come buon rimedio al suo male, il farsi allattare da qualche donna, lo rifiutò con pudica alienazione di medicamento inusitato. In età di quaranta otto anni, ricevuti i Santi Sagramenti placidamente spirò. In vita, e in morte fu commendato grandemente da’ Sommi Pontefici Innocenzio Decimo, [p. 141 modifica]e Alessandro Settimo, e predicato da molti Istorici, come eroico ornamento del Secolo corrente. In quest’anno medesimo l’Imperatore Leopoldo radunò gli Stati d’Ungheria in Possonio, sì per acquietare le discordie suscitate negli anni antecedenti, sì per disporre la Nobiltà di que’ Comitati, ed apparecchiarsi potentemente alla guerra, quando non seguisse la pace a condizioni oneste. Nulla di buono potette conchiudersi per le acerbe contese tra’ Cattolici, e Protestanti, e per le comuni pretese, che le Soldatesche Alemanne si rimovessero dall’Ungheria con altre istanze, pregiudiciali al decoro del Sovrano. Cesare da quella radunanza altro non raccolse, che l’esercizio di una lunga pazienza, non essendovi, che sperare da quegli Stati. Sul principio del