Azioni egregie operate in guerra/1663

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1663.

S
I raccolse la Dieta de’ Principi, e delle Città di Germania per implorare soccorso contra gli Ottomani. Guidobaldo Conte di Thun Arcivescovo di Salsburg vi presedeva a nome di Cesare. Con faconda Orazione pose sotto gli occhi la presente necessità, e la grandezza del pericolo, in cui versava la Cristianità per i vasti apparecchi de’ Turchi. Le deliberazioni andarono a lungo. Vi succedettero dispute acerrime. Tardissimo si conchiuse, di somministrare sei mila, e cinquecento Ausiliarj, i quali non arrivarono, che dopo la metà di Novembre con commissioni ristrette, e limitate, sul come guerreggiare. Furono bensì ordinate preci in tutta la Germania ad ora stabilita, per ottenere pietà, ed assistenza dall’Altissimo Signore. Con quanta lentezza, ed ostacoli si preparava la Cristianità a difendersi, con altrettanta prontezza, e speditezza univa il Gran Visir l’esercito Infedele per assalire. In Turchia il Sultano non abbisogna di Dieta, per aver denaro, e Soldatesche in gran copia, da guerreggiare. Colà non ha luogo nè Nobiltà, nè Eredità di Padre in Figlio. Tutto è del gran Signore. Quella Gran Monarchia è distribuita in commenda a bravi Soldati con obbligo, di portarsi alla guerra ad ogni minimo cenno del Sovrano con tale determinata quantità di milizie. Oltre a queste; parecchie migliaja di Gianizzeri sono pronti a sortire da Costantinopoli, e da Presidj, per formare in pochi giorni una grossa armata, la quale a misura, che marcia, viene ingrossata da volontarj in numero eccedente, altri per guadagnarsi merito, ed apertura alle commende vacanti, altri per fare bottini, e schiavi, mercanzia di gran lucro appresso di loro. In somma la forza Turchesca era cresciuta a tale eccesso, che veruna potenza Cristiana da sè sola non poteva allora starle a fronte, e sola una Lega di varj confinanti, ben fornita di Cavalleria avrebbe potuto pareggiarli, come poi seguì sulla fine del passato secolo. Molto meno era valevole a farlo l’Imperatore, che teneva un’estesa lunghissima di confini da coprire, e aveva parecchi [p. 142 modifica]reggimenti lontani ne’ presidj della Transilvania; e però quando l’esercito capitale si raccolse ad Altemburg, sito eletto, come comodo, ad introdurre soccorsi in Giavarino, Comora, e altre piazze di frontiera, si trovò ascendere a soli quattro mila Cavalli, e due mila fanti. D. Annibale Gonzaga coll’opera degli Ingegnieri, Vimes, e Tentini aveva accresciute con molte esteriori fortificazioni, le difese di quelle due Piazze. Una generale insurrezione degli Ungheri aveva messa in arme gran quantità di gente. Ma perchè era moltitudine senza esperienza, dalla quale poteva temersi la fuga al primo incontro, furono scelti i più robusti, e quelli, che apparivano più coraggiosi, e poi licenziati gli altri con ordine di somministrar viveri, armi, e cavalli a quelli, che rimaneva a guerreggiare.

Il General Montecuccoli, compreso il piccol numero di Soldati, co’ quali doveva fronteggiare la grande armata Turchesca, esitò, se doveva intraprenderne il comando. A Cesare espresse i suoi sensi con parole del seguente tenore. Sono trentasei anni, che mi consecrai totalmente alla servitù della Maestà vostra, e dell’Augusto Genitore. Niuna impresa è succeduta, in cui non mi sia ritrovato o in qualità di soldato, o d’Uffiziale. Dopo un servigio continuato sì a lungo, mi vedo ridotto presentemente alla condizione di doverla fare da partitante, o da Croato alla testa di soli quattro milla Cavalli. Non ricuso di sottomettermi a qualunque ubbidienza; purchè sia chiaramente nota, e commisurata alle forze confidatemi. Di buon cuore offerisco e vita, e sangue per eseguirla. Le pioggie dirotte di quell’estate alzarono fuor di modo i fiumi; e inondate Campagne ritardarono assai il viaggio del Gran Visir; onde solo ai primi di Agosto accampò sotto Strigonia con sessanta mila Soldati, oltre la turba de’ Tartari, e de’ Venturieri in copia. Fluttuava, incerto a qual impresa s’appigliasse. Finalmente risolvette quella di Nayasel, detto Vivarino, come più facile. A tal effetto fece passar il Danubio a tre mila Gianizzeri, finchè il ponte si terminasse. Il Conte di Forgatz, Governatore della Piazza reputò facile il disfar questi tre mila Gianizzeri. E però con sei mila soldati camminò tutta la notte per sorprendergli a giorno. Ma questi erano già cresciuti a diciotto mila, e si tenevano nascosti sotto alcune colline con aguati, disposti a siti opportuni. Dell’errore preso non si avvide il Forgatz se non quando non fu più a tiro di ritirarsi. Ciò non ostante pugnò con gran valore; finchè vedendosi circondato, si pose in salvo colla Cavalleria. Vi perdette da tre mila Soldati tra morti, e prigioni.

L’infelice disfatta sparse dapertutto lo spavento. Le milizie de’ Comitati d’Ungheria si dileguarono sino all’ultimo uomo. Il Montecuccoli spedì nuove truppe, che giunsero a tempo in Nayasel. Esso poi, tragittato il Danubio, si collocò due miglia lontano da Possonio. Coprì un fianco col fiume. Con ripari di terra munì l’altro fianco, e per [p. 143 modifica]fronte. Convocò i Capi del Paese, esortandogli a far uscire di nuovo in campo le Soldatesche del Paese. Tutto inutilmente; poichè soli pochi convennero col Palatino. Dava molta pena al Montecuccoli la resistenza de’ Cittadini di Possonio in non volere Presidio Alemanno. Poichè i Turchi potevano impadronirsi de’ Borghi di quella Città, ivi trincerarsi, e tagliar fuori l’esercito Cesareo col ponte sul Danubio. Il Visir giudicata facile l’espugnazione di Nayasel, s’appigliò a quell’impresa: Rodolfo secondo Imperatore lo fabbricò a difesa dell’Austria, e della Moravia con sei Bastioni assai ben intesi. Ma a quel tempo le mura avevano patito assai. La fossa era riempita, e mancavano le mezze lune, e la strada coperta, che ora forma la maggiore difesa. Colpa di chi ebbe il denaro da ripararlo, e mancò in buona parte all’obbligo assunto, massimamente in tre bastioni, ridotti in cattivo stato. Il Presidio constava di tre mila Fanti, e cinquecento Cavalli. Governatore il Co: Adamo Forgatz e sotto di lui il Principe D. Giberto Pio; e il Marchese Grana Italiani. Le munizioni da bocca, e da guerra v’erano al bisogno. Il Visir attaccò i tre Baluardi mal conci. Ottanta pezzi di Cannoni, distribuiti in sei batterie scaricarono diciotto mila palle. Gli approcci erano così profondi, che vi si camminava coperto a Cavallo. Giunti i Turchi alla fossa, un Disertore insegnò loro il modo, di cavarne l’acqua. A’ diciotto di Settembre la breccia del Baluardo Federigo era tanto dilatata, e spianata, che i Turchi v’inalberarono sopra molte Bandiere. Ma ben presto furono ripulsati da’ Colonnelli Pio, e Grana. Lo stesso seguì tre giorni dopo in altro assalto più feroce. Vi rimasero però gravemente feriti, D. Giberto, e il Grana. Il Visir eresse due eminenze di terra, dalle quali batteva tutto il di dentro della Piazza. Le ruine del Bastione Federigo erano abbassate, sino a potervisi salire a cavallo comodamente. Le mogli de’ Soldati cominciarono a tumultuare. I mariti anch’essi concitarono gli altri a sedizione. Chiesero, che si parlamentasse. Il Principe Pio, quantunque infermo in letto, si levò, e preso vigore dal coraggio, si presentò a’ seditiosi. Colla facondia, colle promesse, colle minaccie tentò d’animarli a tener fermo ancora per qualche giorno. Replicarono gli Ammutinati con pertinacia, e protestarono, che quando subito non si patteggiasse, alla prima mossa de’ nemici avrebbono gettate le armi, e si sarebbero renduti.

Tenuta Consulta, il Co. Forgatz si protestò, che non per timore, nè per volontà, ma a cagione della perfidia de’ suoi farebbe alzare bandiera di resa. Allegro il Visir per l’ottima fortuna, lasciò agli assediati la libertà di chiedere, quanto volevano, e sottoscrisse tutto, nè limitò altro che il numero de’ Cannoni da cedersi. A’ 27 di Settembre ne uscirono due mila, e quattrocento Presidiari co’ consueti onori. Essendo inutile all’assedio la Cavalleria, il Visir, informato da’ prigioni della scarsezza grande delle Milizie Cristiane su i confini, [p. 144 modifica]distaccò venticinque mila Cavalli sotto la condotta d’Ismael Bassà di Damasco; i quali dopo il contrasto di venti giorni passarono il fiume Vago, e distribuiti in varj grossi Corpi, cagionarono mali immensi nella Moravia col bruciare terre, distruggere il paese, e strascinare gli abitanti a migliaja in ischiavitù. Tra questi fuvi il Padre Langlojo Gesuita, preso da’ Moldavi, e venduto al loro Principe, che volle parlargli spesse volte; e udendo esortarsi, come Cristiano, a risparmiare più che poteva il sangue de’ Cattolici, promise di farlo, anzi di giovare a Cesare, col trasmettere segretissime, ed utili notizie a’ di lui Generali, come eseguì più volte coll’opera del medesimo Langlojo. Uno stuolo di sei mila Cavalli, presentatosi a Nitria, obbligò la Città alla resa. Il Castello, che poteva sostenersi, si diede subito. Il Comandante, convinto di viltà, vi perdette la testa sotto la Manaja. Lo stesso castigo incorse il Governatore di Levenz per simil fallo. Queste perdite disanimarono la rimanente Ungheria; onde il Palatino, l’Arcivescovo, e gli altri riputandosi perduti, andavano ravvolgendo nell’animo la deliberazione, di rendersi Tributarj del Sultano.

Solo il General Montecuccoli in mezzo a gravissimi pericoli, moltiplicava le industrie. Scorreva da tutte le parti. Incoraggiva gli abbattuti. Scuoteva gl’infingardi. Occupava tutte le strade, e i siti angusti. Munì la rocca di Possonio con nuovi ripari. Vegliò con somma attenzione alla guardia dell’Isola di Schut, dalla di cui conservazione dipendeva la somma degli affari, e la pubblica salvezza. Vi spedì tre Reggimenti. Affrettò la venuta del Conte Sdrino colle sue genti, e con le altre di Stiria alla di lei difesa.

Tante perdite divulgate per l’Alemagna colla notizia delle debolissime forze di Cesare, e del potentissimo esercito Turchesco, determinarono gli Elettori, e Principi dell’Imperio, a pensarvi un poco meglio sopra il come riparare quelle frontiere dell’Alemagna contra le imminenti invasioni del prossimo anno