Azioni egregie operate in guerra/1638

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Ell’anno presente versò la Fiandra in prossimi pericoli di soggiacere a perdite gravissime per la Corona di Spagna. Ma i buoni consigli, e le gesta intrepide, non meno che strenuissime di tre Generali Italiani, la salvarono con avvenimenti, quanto inaspettati, altrettanto strepitosi. Assistevano questi al Cardinal Infante, ed erano il Principe Tommaso di Savoja, D. Ottavio Piccolomini, e D. Andrea Cantelmo de’ Duchi di Popoli. La Corte di Parigi se l’era intesa col Principe d’Oranges Comandante agli Ollandesi col concerto, d’invadere la Fiandra nelle due estremità. L’Oranges con armata terrestre, e marittima dalla parte d’Anversa, e il Maresciallo di Sciatillon Francese coll’attacco di S. Omer, piazza robustissima, e chiave d’ingresso in quella provincia. L’Armata Austriaca stava di lunga mano al di sotto de’ due Alleati. Con tutto ciò il Cardinale la divise a qualche riparo d’amendue le invasioni. Gli Ollandesi, fingendo d’investir Geldria, tirarono a quella parte gli Spagnuoli. Nel tempo medesimo imbarcarono occultamente alcuni mille Soldati, co’ quali, salendo la Schelda, fiume, si portarono improvviso sotto il forte di Callò, frontiera d’Anversa, e distante da quella poche miglia. Assalitolo col petardo alla porta, e colle scale alle mura, se ne resero padroni coll’uccisione del presidio. Il disegno loro tendeva ad impadronirsi degli argini, alzati a difesa del Territorio di quella Città contra le inondazioni. Volevano poi coll’aprire degli argini coprire tutto il contorno colle acque, sulle quali navigando co’ Vascelli armati impedissero l’introduzione de’ viveri in Anversa; sicché questa insigne Città costretta dalla fame, si piegasse alla resa per deficienza di viveri. Non bastando il primo acquisto di Callò, si accinsero all’altro del forte S. Maria più vicino ad Anversa. Ma quivi accorsi il Cardinal Infante, il Piccolomini, il Cantelmo, ed altri Capi con molte bande di soldati, piantarono trenta pezzi di Cannoni, co’ quali impedirono quell’assedio. Si rivolsero gli Ollandesi contra altri Forti, tra’ quali quello di Verrebrouc, e se ne impossessarono. Si consultò allora tra’ Capi Austriaci, come si dovessero riparare [p. 68 modifica]tali perdite.

Opinavano alcuni, che si inalzassero nuovi forti dirimpetto a’ primi, co’ quali riparare, e rintuzzare l’impeto nemico. Il Cantelmo persuase con gagliarde ragioni, e prevalse col suo consiglio animoso, che si tentasse di riavere i forti con mano armata. S’impegnò egli medesimo, d’assalire il primo, con questo che fosse secondato dal Conte di Fontana, e da altri. Presi cinque mila Fanti, e cinquecento Cavalli, sull’imbrunir della notte si condusse sotto Verrebrouc più munito dell’altro, e cominciò gli assalti, che furono terribili, e feroci per l’animosità degli assalitori, infervorati dalla presenza ed esortazione del Condottiere. Dopo sette ore di fiero combattimento gli Ollandesi perdettero le fortificazioni esteriori, e si ritirarono nel Forte. Contra di questo all’alba piantò il Cantelmo l’artiglieria, colla quale fulminando tempesta continua di palle, diroccò la muraglia, aperta in più siti: respinse varie sortite de’ difenditori, e costrinse questi ad abbandonar la notte seguente la piazza, ridotta a stato di non potere più sostenersi. Per avvenimento sì infausto avviliti gli Ollandesi di Callò, abbandonarono quel Forte al Conte Fontana, che li batteva gagliardamente. Speravano di ridursi in salvo su’ loro Vascelli; Ma non potendo questi per l’abbassamento della Marea avvicinarsi alla riva del fiume, e sopraggiunto colla sua gente il Cantelmo, appiccossi sanguinoso combattimento. Gli Ollandesi, diffidando, di potersi salvare se non col vincere, pugnarono con ardore, e coraggio indicibile. La Vittoria riuscì dubbiosa per più ore; ma finalmente prevalsero i Cattolici, spingendo i nemici, altri ad annegarsi nel fiume, altri uccidendo, ed altri catturando; e questi ultimi giunsero a due o tre mila incirca. I Vincitori acquistarono molte navi cariche di munizioni da bocca, e da guerra, Cannoni, ed altri attrezzi. Per sì gloriosa, e poco sperata vittoria il Cantelmo fu ricevuto in Anversa con pompa solennissima, come in trionfo, incontrato, e festeggiato da’ principali Magistrati della Città, e da numerosissimo popolo. Nel conflitto era stato offeso da colpo di Granata, e da archibugiate, delle quali facendo poco conto, fu assalito da nojosa, e pericolosa infermità, per cui lungamente fu afflitto prima di risanare. Nel suo male ricevette lettere onorevolissime dal Re di Spagna, ripiene di gran lodi, e da’ primi Personaggi di quella Corte fu complimentato con uffizj onoratissimi di congratulazione. Sua Maestà lo decorò colla dignità di Generale dell’artiglieria.

Se non riuscì agli Ollandesi l’impresa disegnata, nè meno a’ Francesi sortì l’altra di S. Omer sotto la condotta del Maresciallo di Sciatillon. Appena il Principe Tommaso intese la notizia di quell’attacco, e si portò celeremente a Boubourg; d’onde mandò grosse partite di Cavalli, per impedire, o difficoltar i convogli de’ viveri, che da Ardres, e da altre Piazza Francesi dovevano venire agli assedianti. Il Campo di questi abbracciava un’estensione di dodici, e più miglia a cagione delle paludi, che a Settentrione, e a Levante circondano S. Omer; E [p. 69 modifica]però tanto spazio di terreno doveva comprendersi nel giro della circonvallazione. Al favore di quelle valli sperò il Principe d’introdurre nuove genti nella Piazza sulle barche, che ordinò si preparassero, e poi a tempo debito sortite dalla Città, venissero ne’ luoghi, che loro accennerebbe. Il di lui pensiero era, di scacciare i Francesi dai Luoghi di Bac, e di Niurletto sulle sponde delle Valli a Tramontana, dov’eransi fortificati i Francesi per impedire qualunque soccorso. Nel viaggio, intrapreso a tal effetto, incontrò l’Abbazia di Vatten presidiata da’ medesimi. Sotto d’essa lasciò il Maggior Fanfanelli, che costrinse alla resa il Comandante nemico1. Poco dopo ebbe avviso, che due mila Francesi, quasi tutti Fanti s’avvicinavano senza sapere, che ivi fossero truppe Austriache. Anche il Principe Tommaso, informato di queste mosse, aveva spediti altri Cavalli, e Fanti al Fanfanelli. Questi come più vicino, ed impegnato, s’avanzò con trecento Italiani. E benchè inferiore di forze, supplì al numero col valore. Cominciò ferocemente a combattere co’ moschettieri, e fra molti Ufficiali uccise un Colonnello. Poco dopo chiamò le picche, per venire all’assalto. Ma l’altro Colonnello, che comandava, vedendo sopravvenire della Cavalleria Spagnuola smontata, rese sè stesso, e tutti al numero di quasi due mila alla discrezione del Fanfanelli, che divenne molto glorioso per l’ardita impresa, riuscitagli felicemente. Degl’Italiani morirono due Ufficiali, D. Felice dal Giudice, e il Conte Evandro Nipote del Piccolomini.

In questo mentre il Principe Tommaso era giunto sulle paludi, che attorniano S. Omer verso Niurletto, dove arrivati pur anco i legni dalla Città, fece subito imbarcare le munizioni, indi mille, e quattrocento soldati di varie nazioni, ch’entrarono prosperamente in S. Omer, non ostante le opposizioni, che infruttuosamente frapposero i nemici. Introdotto quel soccorso, ritornò il Principe Tommaso a Bourburg. Poco dopo occupò il Villaggio di Ramingen, e vi alzò attorno robustissime trincee. Colà a’ sei di Luglio fu raggiunto da D. Ottavio Piccolomini, che conduceva l’esercito Imperiale di sette mila Combattenti. Aveva sotto di sè Generale dell’artiglieria il Marchese Grana. Generali inferiori D. Luigi Gonzaga, e il Giovine Coloredo, tutti Italiani. Uniti gli Spagnuoli a’ Cesarei, arrivavano alla metà de’ Francesi sotto i due Marescialli Sciatiglion, e Duca della Forza, mandato in accrescimento di possanza al primo. Con tutta questa disuguaglianza concordarono il Principe, e il Piccolomini di assalire quegli il Forte di Niurletto, e questi l’altro del Bac dentro la Circonvallazione Francese. D. Ottavio si mosse subito con tutta segretezza di notte: e la mattina per tempo espugnò due ridotti esteriori. Il posto di Bac comprendeva un grosso quartiere, difeso da quasi tre mila Francesi. Sul Colle vicino eminente [p. 70 modifica]eravi la Chiesa di S. Mamolino, attorniata da’ Francesi con forte quadrato, e con mezze lune d’avanti. Sopra altra eminenza avevano essi costrutto altro riparo, detto il forte reale a cinque angoli. Fra l’uno, e l’altro forte si allargava una gran piazza d’armi, circonvallata da perpetua linea di comunicazione con ridotti, mezze lune, ed altri ripari.

Sotto di questi si pose il Piccolomini per espugnarli; nel mentre che il Principe Tommaso trascorse avanti a Niurletto per intromettere a traverso quelle valli nuove genti nella piazza. In mezzo ad esse Valli avevano i Francesi occupati preventivamente i terrapieni alti, e vi avevano eretti varj Forti, che dandosi mano l’un l’altro, come una siepe non interrotta, chiudevano ogni adito in S. Omer. Il Principe risolvette d’assalirne tre. Commise l’impresa di due Forti a due Italiani, lo Spinola, e il Toralto, e del terzo al Conte di Fuensaldagna. Dugento Spagnuoli furono i primi a gettarsi nell’acque, e ad avvicinarsi al Nemico. Accorsero per le medesime Lagune gli Alemanni del Doria.

Gli uni, e gli altri, gareggiando nell’assalire, scalarono due Forticelli, e misero ad uccisione i Presidj. Sopravvennero i Francesi per ricuperarli. Cinque volte attaccarono, e cinque volte furono ributtati. Stavano gl’Italiani col Toralto, aspettando alcuni pontoni, per varcare il Fiume; ma non comparendo, si lanciarono anch’essi nell’acque, e passati a guazzo, superarono cinque profondissimi tagli d’un argine allagato, sprezzando il Cannone nemico, da cui erano dominati alla scoperta, s’impossessarono del terzo Forte. Vi rimaneva il quarto, più difficile a superarsi, poichè aveva tre larghi canali d’avanti. Il Toralto, risolutissimo, si presentò ad entrare co’ suoi nelle acque, per sormontarli. La maraviglia del nuovo ardire, e le minaccie intimate dal Principe al Governatore lo intimidirono; onde chiese subito di uscire, e di essere convogliato a Cales. In tal modo s’aprì la strada al soccorso della Città assediata, che prontamente vi fu intromesso. Rimaneva l’assedio del Forte di Bac, sotto di cui travagliava il Piccolomini. Batteva il Forte superiore di S. Mamolino, quando vide, che l’Esercito Francese s’inoltrava per combattere. Subito dispose l’attacco a sei parti, e pregò il Principe Tommaso a far diversione colle sue genti sopra il Forte Reale. Quand’ecco la guarnigione di S. Mamolino fece una chiamata, e si contentò d’uscire di colà, se dentro due giorni non veniva loro rinforzo. Mancato questo, sortì, e si ricoverarono nel Forte Reale; dove giunse loro dal Maresciallo di Sciatiglione il consenso, di rendersi colle migliori condizioni. Entrarono gl’Imperiali ne’ posti guadagnati con grand’onore del Principe Tommaso, e del Piccolomini. Lo Sciatiglione, dopo consumati cinquanta giorni, e più, con sei mila Soldati, si ritirò ne’ proprj confini.

Un mese dopo riuscì al Piccolomini una presa considerabile. Il Principe Tommaso fu ragguagliato, come buona parte de’ Cavalli Francesi pasturava nelle Campagne contigue a Terovana, guardati ogni giorno [p. 71 modifica]da due Reggimenti a vicenda. Ne avvisò il Piccolomini, il quale con due mila Cavalli Imperiali, e mille di Fiandra marciò la notte, e si nascose in aguato nel seno ad alcune piccole valli2. La mattina assalì i due reggimenti, venuti alla guardia de’ foraggieri. Di fronte, di fianco, alle spalle calò loro addosso, e ne uccise molti, ne imprigionò circa trecento con ottocento Cavalli, tre Capitani, e più Ufficiali. A questo avviso il Campo Francese prese l’armi, e ne uscì fuori la Cavalleria co’ Fanti, e col Cannone. Il Piccolomini si fermò sulla pianura con un fosso d’avanti, mostrando coraggio pronto ad invadere. Dopo di che ritirandosi ordinatamente, si rivolse a’ suoi. La felicità, con cui era riuscito a’ tre Generali Italiani, di sostenere la Fiandra contra gli assalimenti di potentissimi nemici trapassò in Ispagna, e portò altre vittorie su quelle frontiere per opera principalmente di altro Cavalier Italiano il Marchese Carlo Andrea Carracciolo di Torrecusa, come lo confessa Istorico di quella Nazione, da cui si prende la narrazione del fatto avvenuto. Di questo gran Generale converrebbe comporre un grosso volume; tante sono le azioni egregie, e le imprese militari, condotte ad ottime fine da’ di lui insigni talenti. Alla Nobiltà cospicua del Casato Esso corrispose colle gesta prima sull’armata Navale del Re Cattolico in Africa, e nel Brasile alla testa d’un Reggimento di sua Nazione, poi a Cadice in servigi gloriosi, ed utilissimi al suo Signore. Con altro reggimento Napolitano intervenne alle guerre del Piemonte, e nell’Alemagna alla battaglia di Norlinga in tutte le azioni più pericolose, nelle quali si diportò sempre con gran valore. Ritornato in Italia, ebbe molta parte nel portar soccorso all’assediata Valenza sul Po con tanto ardire, che giunse colle proprie mani, a sradicare i pali del forte nemico, per cui superato, s’aprì l’entrata nella piazza. Richiamato in Ispagna, e fatto Governator dell’armi nella Navara, accrebbe il credito di sua condotta, e bravura nel fatto che segue.

Enrico di Condè3, Principe del Sangue, strettamente congiunto al Re Cristianissimo, con potente Esercito entrato nella Biscaglia, circondò Fonterabbia, Fortezza di grand’importanza su quel confine. Vi alzò intorno una ben intesa linea di circonvallazione con varj ridotti, e forti, per collocar in sicurezza il proprio Campo. Dall’Oceano stringeva la piazza con Vascelli da guerra in copia l’Arcivescovo di Bordeos Enrico de Sordis. Il Marchese de los Velez, ed altri Vicerè delle circonvicine Provincie Spagnuole misero subito in armi le milizie del governo, alle quali si aggregò molta nobiltà volontaria. Diede tempo a raccoglierne in buon numero la valorosa, e costante difesa di D. Michele Perez, e di D. Domenico Equia, che protrassero la difesa con [p. 72 modifica]frequenti sortire, e col ripulsare parecchi assalti per sessanta, e più giorni. Prossima era la perdita della piazza, se non veniva prontamente disfatto l’assedio; e però si ridussero a consulta i Capi primarj dell’Esercito Cattolico l’Ammiraglio D. Alfonso Enriquez de Cabrera, il Marchese de los Velez, il Conte Rho, il Marchese di Mortara, ed altri. Erano i Francesi diciotto mila Fanti, e due mila Cavalli. Gli Spagnuoli appena quindici mila de’ primi, e cinquecento de’ secondi. Si disputò lungamente del partito, a cui appigliarsi. Per venire a battaglia prevalse il parer esposto in bel discorso dal Torrecusa con eloquenza, e con ardore di lingua. A tal fine fu condotto l’Esercito sopra un Monte, da cui si scopriva tutto l’accampamento Francese. Sull’altezza maggiore eravi una Capella dedicata a S. Barbara. Di là tutto fu apparecchiato, per discendere, e dar principio al combattimento. Quando dal mare si alzò un vento impetuosissimo, mescolato da grandine foltissima, e da orribile strepito di tuoni, e fulmini. Il vento si spinse sopra il monte, e per due giorni continuò a fulminare le genti Spagnuole. Queste tollerarono per le prime ore i disagj causati dal furiosissimo temporale. Ma essendo quasi tutti allo scoperto, le Soldatesche, ch’erano di nuova leva in numero di sette mila, si precipitarono abbasso di notte, correndo qua, e là; e molti ne rimasero mal concj o nell’inciampare tra’ tronchi d’alberi, o nello sdrucciolare su i pantani, o nel guadare i torrenti, che calavano furiosi dall’alto. L’Ammiraglio all’albeggiare del giorno, osservando tanta gente sbandata, fu sorpreso dall’afflizione, e dalla disperazione. Spedì il Marchese di Torrecusa, ed il Gandolfo per raccogliere i fuggitivi. Ambedue calati abbasso, e affaticatisi tutto il secondo giorno, rescrissero, che non v’era modo di ricoverarli, finché durasse la tempesta. Erano que’ Soldati in pessimo stato. Non avevano né fuoco con cui asciugarsi, né letto su cui riposare, essendo tutta la pianura inondata, né cibo se non guasto, con cui reficiarsi: furono poi ritrovati alcuni morti per que’ pantani. Abbattuti dalla funestissima disgrazia, l’Ammiraglio, e il los Velez radunarono altra consulta, in cui la maggior parte de’ Generali inclinava a ritirarsi, e ad avvisare il Presidio di Fonterabbia, perché si rendesse. Dicevano, lo sdegno del Cielo esser loro avverso. Doversi soccombere sotto i colpi di fortuna nemica. Essere meglio, raccogliere l’Esercito disperso nelle Terre vicine, ed ivi ristorarlo. Così fu risoluto, e prontamente eseguito. Ma di lì a poco il Torrecusa ripigliò esortazioni pressantissime, perché si ritornasse a soccorrere la Piazza col combattere. Altri proponevano, che l’azione seguisse di notte, e ne adducevano ragioni favorevoli. Altri con ragioni opposte, che si assalisse a luce chiara. Si convenne, che il giorno della Natività di Maria Vergine, di cui tanto divota è la Nazione Spagnuola, fosse ancora il giorno della battaglia. Ma la celerità nell’operare del Marchese di Torrecusa prevenne il tempo, e il fatto d’arme nella vigilia. Il Torrecu[p. 73 modifica]sa ordinò immantinente a’ Soldati di cibarsi, d’allestire le armi, ed accingersi al cimento. Chiese di assalire nel posto più pericoloso con due mila eletti a suo gusto, e furono cinquecento Spagnuoli, trecento cavati da Vascelli, trecento Napolitani, e novecento di Navarra. L’Ammiraglio, il los Velez, il Rho s’impegnarono a venirgli di fianco, per sostenerlo, ed allarmare i nemici ad altra parte. Il Marchese di Mortara co’ migliori Castigliani, cogl’Irlandesi, e colla Cavalleria, venuta da Catalogna, s’obbligò ad avvanzarsi per istrada meno ardua.

La pietà delle Soldatesche Spagnuole invocò con istantissime preci la Vergine Madre per la felicità dell’impresa. La maggior parte vi aggiunse la Confessione Sagramentale, ed il digiuno. Il Torrecuso nel travalicare una valle profonda procedette con lentezza. La strada era angusta. Alla sinistra s’alzava un Monte, alla destra un bosco. In questo collocò i Napolitani, perchè gli coprissero il fianco, e le spalle, finchè fosse uscito dalle angustie. Sortito in campo più ampio, dilatò la fronte con in mezzo le picche, e su i fianchi i moschettieri. Stabilita ferma l’ordinanza, giunse sull’alto; indi discese sul piano, e nel calare fugò dugento Cavalli Nemici, posti in aguato. L’assalto alle trincee nel principio fu faticoso, e dubbioso dell’esito; finchè, ripulsati i Francesi a cavallo dal bersaglio impetuoso de’ Fanti Spagnuoli armati di grossi moschetti, e da due compagnie d’Archibugieri Napolitani, retti da D. Orazio Magniera, e da D. Tommaso Paulela, essa Cavalleria Francese, posta in confusione, si rovesciò sopra de’ proprj pedoni. Chi si pose in fuga da una parte, chi dall’altra. I più applicarono all’imbarco sulla flotta. Il Torrecuso, appena osservato il disordine ne’ Francesi, prontamente affrettò l’arrivo delle Truppe comandate dal los Velez. Fece ancora sollecitare il Marchese di Mortara, perchè accelerasse i passi; giacchè la fortuna arrideva alle loro mosse. Due Compagnie a cavallo, l’una di Andaluzzi, l’altra di Napolitani s’intrusero nel Campo nemico, e spinsero a maggior fuga i Francesi. Il Marchese di Mortara a bandiere spiegate entrò dalla sinistra, e giovò molto al compimento della vittoria. Moltiplicò la strage, e le prigionie de’ vinti. Mille cinquecento furono i morti Francesi per lo più uccisi sulla sponda del Mare, dov’erano corsi, per cercar ricovero su i Vascelli amici. Ma non potendo le barche accostarsi a terra, per esser a quell’ora l’acque del Mare colà bassissime, mentre aspettano il comodo, furono trucidati da alcune bande di Moschettieri Spagnuoli, accorsi colà. Altri due mila si annegarono, mentre tentavano d’inoltrarsi verso i legni di sua nazione. Due mila furono i prigioni. Tutto il campo colle munizioni copiose da bocca, e da guerra, venticinque Cannoni, ed altri attrezzi rimasero preda de’ Vincitori. Il denaro, e le spoglie numerosissime ritrovate dentro de’ padiglioni, furono valutati un milione di scudi. De’ Vincitori uccisi, o feriti fu così scarso il numero, che sembrerebbe incredibile, se l’Istorico del fatto non si [p. 74 modifica]conoscesse pienamente istruito del vero, e per essere Religioso non si credesse incapace di mentire. I morti si dissero soli quaranta, e i feriti in circa sessanta, tra’ quali D. Ignazio Baquedano, che impadronitosi d’alcune artiglierie nemiche, le rivolse a’ danni de’ loro padroni.

In questa facenda nuocque molto a’ Francesi ciò, che in altre occasioni di più Secoli, ed anche del presente, ha pregiudicato loro, ed è l’essersi dati a credere, che per la disgrazia del furiosissimo temporale fosse ridotto l’Esercito Austriaco a tale stato di nulla poter più tentare; ma il gran cuore dell’Italiano Marchese di Torrecuso, la di lui eccellente condotta, la generosità del suo spirito nello sciegliere, e procedere incontro a rischi peggiori, presentarono a’ Francesi un assalimento, niente da loro atteso, il quale alla prima comparsa colla novità gli confuse fortemente, indi li sconcertò, e rese inabili alla resistenza.

  1. Tesauro Campeggiamenti: S. Omer assediato per tutto.
  2. Tesauro, Campeggiamenti. Renti assediato sul fine.
  3. P. Moretti Joseph de Obsidione Fonterabiæ.