Azioni egregie operate in guerra/1637

1637

../1636 ../1638 IncludiIntestazione 14 agosto 2022 75% Da definire

1636 1638
[p. 62 modifica]

1637.

F
Unestò i principj di quest’anno la morte dell’Imperator Ferdinando, Monarca tra’ più benemeriti della Religione Cattolica, da lui propagata negli Stati Ereditarj, coll’esempio, co’ Decreti, colle armi. Dal Padre Arciduca Carlo, e dalla Madre Maria di Baviera succhiò co’ primi fiati dalla vita una gran divozione, ch’esercitò sempre con assiduità più che Claustrale in atti frequenti di pietà, e nell’uso familiare de’ Sagramenti. Professò umile ubbidienza alla Sede Appostolica, i di cui decreti osservava Egli, e faceva osservare puntualmente ne’ suoi Stati. I di lui costumi furono innocenti, e le passioni assai regolate. Ebbe per trionfo il perdonare; e allora con più gusto, quando i rei meno lo speravano. Compartiva gli acquisti delle proprie armi a maggior culto, e grandezza di Santa Chiesa, come anco a sollievo degli oppressi, e a comodo de’ benemeriti, vero de’ quali fu generoso,´ [p. 63 modifica]Sempre uguale a sè stesso, non si gonfiò nelle felicità, nè si alterò ne’ sinistri disastri, riconoscendo tutti gli avvenimenti dal volere di Dio, a cui rendeva i doveri con umili ringraziamenti, tanto per le fortune, come per le disgrazie. Era di statura assai giusta, e proporzionata, volto affabile, sguardo benigno, contegno accoppiato con maestà, e con modestia. Occupavasi frequentemente negli pubblici affari, a’ quali compartiva molte ore del giorno. Se in lui appariva quale difetto, fu la troppa bontà, la quale può far divenire i sudditi sprezzatori di quell’autorità, di cui non paventano il rigore.

Il nuovo Cesare, costretto a continuare la guerra, destinò al soccorso del Sassone il General Galasso. Quell’Elettore, nella campagna passata dichiaratosi amico di Cesare, e nemico degli Svezzesi, aveva co’ proprj Soldati, e con altri Imperiali guadagnato Hala Città del Circolo di Sassonia. Indi, dopo varj incontri militari, per lo più prosperi alle di lui armi, aveva obbligato alla resa Magdeburg, Città principalissima. Di là era passato a Verben, e in pochi giorni l’aveva espugnato. Meditava di combattere il Banner Generale Svezzese. Ma questo Capitano prudentissimo, e soprammodo accorto, sfuggì la battaglia, la quale non poteva, se non riuscirgli funesta per la scarsezza de’ suoi.

Accresciuto poi con più migliaja di Soldati, trasmessigli dalla Svezia, e capitati a lui rinforzi da altre bande s’avanzò di nuovo, e venuto alle mani co’ Cesarei, e co’ Sassoni di là dall’Elba nelle vicinanze di Vistok, con saggio stratagemma finse d’attaccarli di fronte, e colà lasciò il Tosterdon, per tenerli a bada, nel mentre ch’Egli, passato un fiumicello anche con pericolo, girò attorno un bosco, e gli assalì di fianco, dove non era atteso. Sorpresi i Sassoni dall’inaspettato assalimento, si misero in fuga. Sottentrarono gl’Imperiali. Si combattette sino all’oscurità della notte con gran ferocia, e con ostinato valore, ma con danno maggiore degli Austriaci, e con perdita di parte del bagaglio. Erano presenti l’Elettor Sassone, e il Generale Asfeld. La notte si consultò del come contenersi. L’Asfeld conchiuse la ritirata verso Verben. Il Conte Raimondo Montecuccoli, di cui avrà a scriversi lungamente1, si tenne con quattro reggimenti alla retroguardia, che coprì assai bene, e ridusse con bella regola a salvamento. Il Banner, preso animo dal vantaggio ottenuto, passò l’Elba; s’avanzò nella Turingia ad altre Piazze, delle quali impossessossi. Cagionò danni gravissimi nella Sassonia. L’Elettore con replicate querele sollecitò la Corte di Vienna, a spedirgli gagliardi soccorsi, per liberare il suo Paese dalle infestazioni nemiche. Il nuovo Cesare incaricò il Galasso, a spingersi colà a gran passi. Egli con dieci mila uomini marciò in tutta celerità. Fu rinforzato opportunamente dalle genti, rimaste all’Asfeld altro Generale. Giunse quasi improvviso vicino agli Svezzesi: gli obbligò a lasciar la Campagna. Diede addosso alla loro retroguardia [p. 64 modifica]con notabile percossa, e costrinse a nuovamente ritirarsi il Banner nella Pomerania. Operando con prestezza incredibile, e non aspettata, ricuperò molte Piazze lungo il fiume Elba. Confinò gli Svezzesi negli estremi della Pomerania. Era risoluto a combattergli, ed obbligargli ad uscire dall’Alemagna2. Ma questi stavano trincerati nelle vicinanze di Stettino, ed imploravano soccorsi dal Regno nativo, e da’ Confederati. La fortezza de’ ripari nemici trattenne il Galasso dall’assalire. Ma due ostacoli gl’impedirono il trattenersi più a lungo in Pomerania. Il primo fu la penuria de’ viveri; poichè il Banner Generale savissimo, ed attentissimo a’ proprj interessi, ne aveva spogliata la Campagna, e con ottima provvidenza gli aveva raccolti nelle piazze marittime. La seconda fu la mancanza di soldo, con cui contar le paghe a’ Soldati, i quali fremevano, per vedersi defraudati de’ proprj stipendj. La Corte di Vienna aveva trascurato di somministrargli il denaro a’ tempi debiti. E il Galasso, temendo o fuga, o sollevazione nelle proprie milizie, fu costretto a ritirarle a’ quartieri più addentro l’Imperio. Tanto il Sassone, quanto Esso reiterarono più volte calde instanze all’Imperatore per la missione della necessaria pecunia. Lo stesso Generale Cesareo protestò a Cesare, che non comparendo somma rilevante di moneta, non era in istato di più sostenere l’Esercito, ne’ gl’interessi, e la riputazione dell’Armi Austriache. Potere ben Egli guidare le armate, ma non nutrirle. Poter combattere con gli nemici, ma non con le proprie milizie, irritate da’ disagj, e disgustate dalla sottrazione del soldo, ch’è la sostanza, con cui si domina la Soldatesca, e si conduce a’ cimenti. Queste istanze con altre replicate dal Sassone, mossero i Consiglieri Imperiali a spedirgli trecento mila Talleri.

Il Galasso, ristorato l’Esercito colla distribuzione dell’argento trasmessogli, e vedutolo quieto, ed ubbidiente ritornò contra il Banner per dargli battaglia3. Ma questi nuovamente si racchiuse nelle trincee tra Stetino, e Demetz. Non essendo superabili que’ ripari, il Generale si rivolse alla conquista di Demin, ch’ebbe a patti in pochi giorni. Conosciuto il posto capace, d’essere con lavori ridotto a buona fortezza, lo munì gagliardamente. Prese Volgast, Gartz, ed altri luoghi, meno considerabili de’ due Ducati di Mechelburg, e di Pomerania. Quivi fu costretto ad acquartierare l’Esercito, perchè mancandogli nuovamente il soldo, con cui stipendiarlo, non poteva tenerlo in campagna, nè meditare nuovi acquisti. In questo mentre Cristina Sovrana di Svezia aveva raccolti gli Stati del Regno, e fatto capir loro, se con uno sforzo straordinario di denaro, e di gente fresca non sovvenivano il Banner, le conquiste, fatte dal Re Gustavo suo Padre, si sarebbero perdute affatto. La Dieta Generale conchiuse la levata di dodici mila Fanti, e otto mila Cavalli, che spediti con [p. 65 modifica]sollecitudine al Banner, lo misero in istato di sortir in Campagna; il che tanto meglio praticò, quando seppe, come il Galasso a necessità alloggiava nelle Ville, per non avere denaro, con cui pagare le truppe, nè radunarle. Temendo il Generale Cesareo sollevazione, e disertazione generale nelle proprie milizie, più indebolite dalla fame, che dalle fatiche, provvide Denim con buon presidio, e vi introdusse tutte le vettovaglie, che gli rimanevano. Indi decampò da que’ contorni, esausti affatto di viveri verso la Sassonia per ristorare in contrade più opulenti l’esercito. Animò il Governatore ad una valida difesa, facendogli sperare pronto soccorso, subito che avesse ricevuti i sovvenimenti, con somma premura richiesti dalla Corte di Vienna. Ma i sovvenimenti non comparvero; La loro mancanza cagionò la perdita di quella piazza, e diede luogo ad altri vantaggi, riportati dagli Svezzesi. Se ne afflisse sommamente il Galasso, poichè vedeva rovesciarsi a terra le imprese, da lui promosse con instancabile fatica di mente, e di braccio, quando erano prossime a conseguire ottimo fine. Conosceva impossibile il prevalersi dell’Esercito; quando i Ministri dell’Imperatore non gli somministravano il contante, ed altri provvedimenti, necessarj, co’ quali ristorare le milizie, impedire le loro fughe, ed infervorarle ad azioni generose. Era affezionatissimo agl’interessi di Casa d’Austria, che promoveva con tutta l’attenzione dell’animo, con tutta la vigilante attività, e quasi sempre con ottima fortuna. Ma nel più bello si trovava sfornito di sussidj, quantunque richiesti lungamente, e pazientati in grazia sua dalle Soldatesche; le quali, dopo tanto aspettare, si vedevano defraudate dal loro dovere. Quindi pressate dalla fame pubblicamente esclamavano, che si sarebbero sbandate.

Subodorò ancora il Galasso, come alcuni Consiglieri della Corte di mal grado soffrivano, ch’egli straniero, perchè Italiano, avesse il supremo comando degli Eserciti Imperiali; e però promovevano, che fosse confidato ad altri Generali Nazionali. Seppe, che a questi somministravano denaro, per sostenere i Soldati a loro soggetti, e per augumentarli con nuove levate; quando lasciavano lui alla discrezione delle milizie afflitte, ed irritate per la sottrazione de’ convenevoli sussidj. Intendeva, come l’Asfeld ricusava di soggiacere a lui, ed aspirava alla di lui Carica. Le emulazioni, le competenze, e la mancanza di subordinazione ad un solo Capo primario avrebbero ruinate le imprese, che si meditassero. Per queste, e per altre ragioni, ben ponderate, era il Galasso risoluto di chiedere congedo dal servizio di Cesare. Addusse per motivo le indisposizioni, alle quali l’avevano soggettato le tante Campagne, fatte da lui, e massime quelle d’Alemagna, nelle quali mai non aveva avuto riposo, e la sanità gli veniva stemprata dal clima assai più rigido del proprio nativo.

Dispiacque a Cesare la dimanda, perchè conosceva, quanto fosse ben servito da lui. Gli accordò, che intrommettesse il servigio, per aver [p. 66 modifica]agio da farsi curare; ma volle, che si trattenesse in Alemagna per consigli, ed altre occorrenze.

Di gran danno agli affari di Ferdinando fu la di lui ritirata al riposo. L’Augusto Monarca dovette consegnare l’armata ad altri Generali, che non procedendo colla circospezione, e cautela, consueta al Galasso, ma bensì avidi di menare le mani, s’impegnarono in diversi conflitti, ne’ quali furono disfatti dall’accortezza, perizia militare, e bravura del Banner. Queste vittorie portarono di nuovo gli Svezzesi nella Boemia, e sino sotto Praga. Convenne pertanto a Cesare il richiamare al governo delle truppe il Galasso. Entrato egli in Praga, riavuto alquanto dalle indisposizioni patite, a tutte le parti dispose ottimi regolamenti; sicché quella Capitale del Regno si sostenne, non ostante più voli di Cannonate nemiche. Poco dopo sortì il Galasso in campagna. Trovò l’Esercito tumultuante per deficienza di paghe. Udì lo strepito de’ soldati, che minacciavano di gettare le armi, e passare nel Campo Svezzese, se da’ Commissarj non erano soddisfatti puntualmente de’ loro crediti. Commiserò egli le angustie de’ suoi. S’industriò per trovare denaro, da contar loro due mesate, ed obbligò la propria parola a tal effetto. Per il rimanente diede in ostaggio nelle loro mani la sua persona, e quella del Conte Slic, offertosi anch’egli colla vita per sigurtà. Ciò succedette l’anno seguente; ma se ne anticipa la relazione; perché meglio si comprenda l’ordine degli affari. L’Imperatore, informato de’ notabili pregiudizj, che recava ai di lui interessi la poca concordia de’ suoi Generali, e la pretensione d’alcuni di comandare senza dipendenza degli altri, giudicò opportuno di soprapporre a tutti il Fratello Arciduca Leopoldo, dichiarandolo Generalissimo delle proprie forze. Sperò, che a personaggio di tanta dignità niuno avrebbe ricusato di soggiacere; e però gli affari sarebbero proceduti con miglior unione. Allora il Galasso, divenuto grave di età, sovente oppresso da flussioni, e reso poco abile ad operare indefessamente alla Campagna, rinovò le istanze di rimettersi al riposo. L’Imperatore lo dichiarò del Consiglio di Stato. Assegnò a lui pensione annua di sei mila Fiorini in testimonio del di lui buon servigio prestatogli. Con tali onorevolezze gli permise l’andar a Trento, e ivi godere la quiete della Patria. Non passarono però molti anni, che sorsero scabrose contingenze, per le quali fu d’uopo all’Imperatore di richiamarlo ad altra impresa, la più ardua, di quante ne avesse egli fin all’ora abbracciate.

In quest’anno D. Ottavio Piccolomini fu trattenuto dall’Imperatore ne’ Paesi Bassi Cattolici in soccorso degli Spagnuoli. Ma poche truppe gli furono confidate; poiché la necessità dell’Imperio le divertivano sul Reno, e in Boemia; Per altro ve n’era un sommo bisogno in quelle Provincie, che venivano assalite da due poderosi Eserciti, l’uno de’ Francesi a mezzo giorno, l’altro degli Ollandesi a Settentrione. D. [p. 67 modifica]Ottavio s’industriò, di minorare le perdite per quanto gli permettevano le sue deboli forze. S’accostò alle piazze assediate. Coll’allarmare spesso gli assalitori, cagionò, che le oppugnazioni andassero in lungo, e si consumasse la Campagna con discapito minore. Tentò, se gli riusciva introdurvi soccorsi. Impedito dal farlo, si trasferì sotto Maubage per diversione, e si pose a batterla ferocemente. Accorse il Cardinal di Valletta, per sovvenire quella piazza. Il Piccolomini, che aveva avuti ordini dall’Imperatore, di risparmiar la soldatesca, e non arrischiarla a’ cimenti, si ritirò appresso Mons; tanto più ch’era inferiore di genti. I tre anni futuri furono più fecondi di gloria per il Piccolomini.

  1. C. Gualdo, Vite degli Uomini illustri. V. Montecuccoli.
  2. C. Gualdo: Istoria delle guerre, parte prima pag. 459, 460, 506.
  3. C. Gualdo Storia suddetta tomo primo pag. 543, 544.