Azioni egregie operate in guerra/1634

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he fu felicissimo per l’Austriaca famiglia. A gara gli Stati Ereditarj concorsero con denaro, nuove leve, ed apprestamenti militari, per rendere strepitosa l’uscita del loro Re in campagna. Era egli amato, e applaudito universalmente; Perciò tutte le Provincie suddite s’interessarono a somministrargli in abbondanza, quanto bramava. Il primo pensiero fu di congiungersi ben strettamente col Duca di Baviera, e proccurare il di lui sollievo collo snidare dai Paesi Elettorali le armi nemiche. Ordinò grandi apparecchi per l’assedio di Ratisbona. Prima però s’incamminò verso la Boemia, scortato da D. Annibale Gonzaga con un corpo di Cavalleria. Scrisse lettera molto cortese al Sassone, invitandolo a riamettere i trattati di pace per il bene pubblico dell’Imperio. A Pilsen rassegnò l’esercito, che trovò numeroso, ben all’ordine, e provveduto di copiosa artiglieria. Di là s’avanzò all’attacco di Ratisbona. Conduceva il Galasso la Vanguardia, per unirsi con le genti Bavare, dirette dall’Aldringen. A’ primi di Giugno fu circondata Ratisbona. Seguirono in quell’assedio assalti coraggiosi, e replicati degli assalitori, co’ quali furono guadagnate le fortificazioni esterne. La resa fu sostenuta sino a’ 26 Luglio. I patti larghi, accordati con molto favore alla Cittadinanza, comprovarono la clemenza del Re verso quel popolo. Avrebbe potuto ridurlo a condizioni più aspre stante la mancanza di polvere nella piazza. Il Galasso non riposò mai, finché durò l’attacco. Invigilava sugli approcci, perché avanzassero con prestezza, e con sicurezza. Regolava gli assalti, affinché succedessero col minor danno degli aggressori. L’acquisto di quella Città a Cavagliere del Danubio prestava il comodo d’ergervi Magazzini, alloggiarvi gl’Infermi, i feriti, e proseguire con felicità altri acquisti sul fiume medesimo. Aveva disegnato d’incamminarsi verso Praga, contra di cui l’Elettor Sassone, e il Banner Svezzese aveva avanzato il loro esercito. Ma avvisato dal Coloredo, e dal Maradas, come il tentativo contra Praga era riuscito dannoso a’ nemici, inviò colà un buon corpo di reggimenti; ed esso proseguì le conquiste lungo il Danubio. Si rese padrone di quell’acque sino a Donavert. Di colà divertì all’assedio di Norlinga, piazza considerabile della Svevia, per soccorrere la quale seguì una gran battaglia tra gli Austriaci, e gli Svezzesi co’ loro Confederati.

In questo conflitto le Milizie Italiane si segnalarono al sommo. Il Cardinale Infante di Spagna le aveva raccolte sul Milanese, e con loro era passato nell’Alemagna. Il Re Ferdinando sollecitò il Cognato, a [p. 49 modifica]congiungersi seco per far fronte a’ nemici, e per sostenere l’assedio. Il Cardinale vi giunse prima degli avversarj. Erano nel di lui Esercito sette reggimenti di Fanti Italiani1, quattro venuti da Napoli, e tre arrolati in Lombardia: I primi sotto D. Carlo di Sangro Principe di S. Severo, D. Gasparo Toraldo, il Marchese di Torrecusa, D. Pietro di Cardenas; i secondi sotto il Marchese Lunati, D. Carlo Guasco, e Conte Panigarola, in tutto sei in sette mila Fanti. La Cavalleria poco meno di due mila Cavalli sotto i Generali Gambacorta, e Dentice.

Il rimanente dell’Esercito Cattolico consisteva in due terzi di Spagnuoli, ed in altri corpi di Borgognoni, ed Alemanni al soldo di quella Corona: in tutto dodici mila Fanti, e tre mila Cavalli. Il Re d’Ungheria tra’ suoi, tra’ Bavari, e tra’ Lorenesi, comandati dal proprio Duca, contava da diciotto mila Uomini in circa. Non tutti però combatterono in questa giornata, perchè alcune schiere rimasero attorno a Norlinga per tenere in freno quel presidio. Altre non ebbero campo da cimentarsi; perchè prima che fossero mosse, erasi conseguita la vittoria. Inferiori erano gli Svezzesi, e gli Alemanni, diretti dal Duca Bernardo di Vaimar General supremo, dal Conte Iforn Capo degli Svezzesi, dal Conte Gratz, e da altri Alleati. L’Iforn dissuadeva a tutto potere la battaglia per allora, ed esortava che prima si attendessero le truppe del Ringrave molto prossime, e le altre del Duca Guglielmo di Vaimar. Ma il Duca Bernardo la volle assolutamente, confidando assai nelle proprie Soldatesche, che veramente erano ottime in ogni genere di disciplina militare, d’intrepidezza, di costanza, e di valore. Disprezzava sopra tutti gl’Italiani, che spacciava incapaci di resistere agl’impeti regolatissimi, robustissimi, e ferocissimi, con cui i suoi gli assalirebbono.

S’avanzarono per tanto vicinissimi agli Austriaci, senza che questi sapessero d’averli assai prossimi. Allora fu comandato il Priore Aldobrandino, per esplorare, se colà fusse l’Armata tutta de’ Protestanti, oppure qualche grossa partita. Poche Truppe gli furono date per quest’effetto. Ed egli, che aveva osservata la moltitudine ostile, chiese stuolo maggiore di Soldati, con dire, che quelli, che gli venivano consegnati, erano scarsi al bisogno. Ciò non ostante, per non udirsi rinfacciare un rimprovero, solito ad uscire dalla lingua de’ Tedeschi, che gl’Italiani sono troppo guardinghi nelle operazioni, si scagliò come un Lione contra la Vanguardia nemica, condotta dal Gratz. Assistito da alcuni Cavalieri Italiani di suo seguito, rovesciò le prime file nemiche, e fece perire parecchi Uffiziali, e Soldati avversarj. Ma circondato, ed oppresso da numero superiore, vi lasciò la vita. Al vederlo cadere a terra, si perdettero d’animo i proprj Soldati, e rincularono al proprio campo. Sopraggiunse il Galasso, animò, e rimise i reggimenti scon[p. 50 modifica]certati, con che fu ripreso il posto perduto. La morte dell’Aldobrandino, valentissimo Colonello dispiacque universalmente, e per sino al General Gratz, già statogli amico, che, senza conoscerlo, l’atterrò. Poi ravvisatolo tra gli estinti, gli proccurò onorevole sepoltura. Tutto quel giorno impiegò il Generale Galasso nell’instruirsi della situazione del paese, e nel meditare la maniera di ben disporre l’Esercito Cattolico. Osservò un boschetto vicino, molto opportuno, e vantaggioso, Colà intromise ducento Spagnuoli, e trecento Alemanni. Il che risaputo da’ nemici, questi sulla mezza notte cominciarono a bersagliare gagliardamente il bosco, e l’assalirono con gran furia. Gli Spagnuoli si difesero bravissimamente, ed uccisero molti aggressori; Ma poi giudicarono meglio l’abbandonarlo.

La notte nel Campo Imperiale si studiò per prender tutte le cautele migliori, affine di assicurarsi dalla vittoria. Il Re pregò il Cardinale, che ordinasse a’ suoi Generali, di dipendere affatto da’ regolamenti del Galasso2, pratico del nemico, e del paese, come anco ad ubbidire interamente a’ di lui ordini, come se fuss’Egli medesimo. Tutti i Generali, fatta profonda riverenza, diedero a conoscere la loro pronta sommissione. Il Galasso proseguì a girare gran parte della notte, in cui pose savissimi regolamenti da per tutto. Collocò sopra un Colle cinque pezzi di Cannone, che bersagliavano gli avanzamenti nemici, e li danneggiavano grandemente. Col favore di questa batteria occultò dietro ad un’eminenza alcuni reggimenti di Cavalleria, mescolati con Truppe di moschettieri; e ordinò loro, che se vedessero gli Svezzesi dar addietro, uscissero dalle insidie, e gl’incalzassero con tutta furia ad aperta fuga. Si disputò, se si dovesse preoccupare il Monte Aremberg, ed ivi fortificarsi. Il Colonnello D. Tommaso le Blanc Napolitano, conoscendo l’importanza di quell’altura, sostenne con pesanti ragioni, che si munisse. Ma perché s’avvide, che le ragioni non appagavano, spinto da libertà militare, e dal zelo del pubblico bene, gittato in terra il capello, soggiunse, se volete perdervi per fare a vostro modo, non so che dire. Allora ponderato meglio il detto del le Blanc fu risoluto, e dato ordine a Francesco Maria Caraffa Duca di Nocera, ch’esaminasse la positura del luogo3. Il Duca, benché fusse di notte, diligentissimo esecutore, ed ottimo intendente, tornò colla relazione, e con un abbozzo di disegno, fatto alla meglio che fu possibile, col quale si uniformò al parere giudicioso del le Blanc. Il Marchese Grana, anch’esso Italiano, confermò, che nell’assicurarsi di quell’eminenza consisteva il massimo dell’impresa. Per tanto furono subito comandati i Guastadori, co’ quali andò il Padre Gamassa Gesuita eccellente Matematico. Colla di lui direzione furono cominciati su’ poggi migliori tre gran mezze lune. I travagliatori lavorarono indefessamente, e con tanta celerità, [p. 51 modifica]che all’alba le ridussero a qualche altezza. Il Conte Serbelloni vi condusse più Cannoni, e il le Blanc copiose munizioni da guerra. La nebbia, che offuscò le prime ore del giorno, ajutò i Guastadori ad ingrossar meglio esse mezze lune, e a renderle più resistenti. In quella di mezzo più inoltrata furono collocati gli Alemanni del Salm, e del Vormbser. Nelle altre due un terzo di Spagnuoli, e due di Napolitani di D. Carlo di Sangro, e del Toraldo. A’ fianchi loro si piantò la Cavalleria, anch’essa Italiana con quella di Borgogna. Dietro a tutti, per assicurare loro le spalle, furono schierati due Reggimenti Lombardi del Guasco, e del Panigarola. Il Galasso volle, che il Piccolomini con parecchie squadre di Cavalli Alemanni assistesse a quel fianco; poiché apprendeva, che contra l’Aremberg si sarebbero scaricati gl’impeti più robusti degli Svezzesi. Tal era la disposizione dell’Esercito del Cardinal Infante, che teneva la sinistra. L’altro del Re Ferdinando occupava la diritta. Il Galasso regolò l’ordinanza d’amendue con somma maestria4, e perizia militare. Distribuì i Reggimenti a piedi, e a cavallo ne’ siti convenevoli con la facilità di sostenersi, e di secondarsi scambievolmente. Compartì a’ Comandanti inferiori ordini del come contenersi, tanto acconci al bisogno, che non poteva idearsi di meglio. Il Marchese di Leganez, che contemplò attentamente il fatto, dichiarossi pubblicamente, che ogni gran Capitano poteva imparare dal Conte Galasso le vere maniere di combattere accertatamente l’inimico.

Il Generale Iforn Svedese s’addossò l’impegno d’invader il Monte Arember colla propria Fanteria, fiancheggiata dalla sua valorosissima Cavalleria. Prima d’avanzarsi, fulminò con gran furia contra quell’altura; poi si pose lentamente a salire. Urtò con tale bravura contra la prima mezza luna sul principio della pendenza, che ne scacciò i Tedeschi. Gl’Italiani e gli Spagnuoli, vedendo gli Alemanni dar addietro, e temendo, che portassero tra loro il disordine, e la fuga, gli animarono, ed esortarono a ritenersi, e ad incorporarsi con loro. Gli Uffiziali, dilatando le file, diedero ad essi il comodo di farlo. Alcuni carri di munizioni presero fuoco; ed o quello strepito avesse causata la fuga ne’ Tedeschi, oppure il fumo di quelle vampe confondesse gli Svezzesi, nel che variano gl’Istorici; certo è, che i Napolitani, e gli Spagnuoli, calati più abbasso, con grande sforzo ricuperarono la mezza luna, in cui si stabilirono, e la conservarono con ispari incessanti de’ Moschetti, e coll’imbrandimento delle picche per più ore senza che mai fossero smossi dal posto riguadagnato. Giovò non poco a mantenervisi immobili l’assistenza della Cavalleria Austriaca. Nel mentre che i Cavalieri Svezzesi accompagnavano i proprj Fanti, nell’ascendere il monte, furono investiti di fianco da un Reggimento di Corazze Cesaree. Il Comandante Svezzese rivolse l’ordinanza contra gli assalitori, cari[p. 52 modifica]cò i Corazzieri, e gli respinse. Ma il Piccolomini con altre Corazze5, e il Gambacorta co’ Cavalli Napolitani se gli avventarono sopra con tal impeto, che sbaragliarono le genti nemiche, e tolsero loro cinque stendardi, due il primo, e tre il secondo. Vennero altri Squadroni Svezzesi in ajuto de’ suoi percossi. Si combattette con virtù pari dall’una, e dall’altra parte. Finalmente il Piccolomini co’ suoi, e il Gambacorta co’ Napolitani costrinsero i Cavalli Svezzesi a dar’addietro, e ad allontanarsi sempre più dalla loro Fanteria.

Ben quindici volte in cinque ore il Generale Iforn co’ suoi Svezzesi ritornò alla carica, per superare le tre mezze lune; ma nulla profittò. Le file dei di lui pedoni, a misura che s’avanzavano, cadevano distese a terra per il fuoco ben regolato, e violento de’ Napolitani, e degli Spagnuoli, che ne facevano strage. Il General Iforn, vedendo sempre peggio distruggersi la propria Fanteria senza verun guadagno, pensò a riunirsi col Vaimar, e fare la ritirata6. I Lombardi del Guasco, e del Panigarola si congiunsero a’ Napolitani. Discendendo dal Monte, incalzarono l’Iforn. Giunsero prima di lui ad un bosco. Erano fiancheggiati dal Piccolomini, e dal Gambacorta colla Cavalleria. Il Galasso, attento a tutte le occorrenze, spinse D. Luigi Gonzaga, e D. Paolo Dentice con altre Truppe Lombarde, Napolitane, e Alemanne, ad augumentare la loro possanza. I Lombardi, occupato il posto della Selva, si collocarono in mezzo tra l’Iforn, e il Vaimar, con che impedirono l’unione d’ambidue. Sostennero bravamente la pugna, nella quale il Panigarola dopo lungo contrasto colpito in gola da moschettata morì. Il Guasco ferito nella coscia, e nella destra si sforzò di perseverare nel conflitto; finattantochè non potendosi più reggere in piedi, nè impugnare la spada, fu costretto ad uscir dalla mischia. Però la mancanza de’ due Colonnelli non intiepidì punto ne’ Lombardi la fermezza, e il vigor del combattere. Allora i Battaglioni, e gli Squadroni Svezzesi furono incalzati da tutte le parti. Uscirono dalle insidie que’ Cesarei, che come dicemmo altrove, erano in aguato dietro il Monte; Essendo gente fresca finirono di rovesciare le genti dell’Iforn. Tagliarono a pezzi la Fanteria, e posero in aperta fuga i rimasti a Cavallo. L’Iforn, e il Gratz si tennero tuttavia fermi, per mettere in salvo qualche corpo di gente. Ma l’uno, e l’altro, circondati, dovettero darsi prigioni. Sulla sua sinistra il Duca di Vaimar, combattendo nella pianura fra un bosco, e Norlinga, erasi cavata la voglia di menar le mani; ma affrontato dalle Truppe del Re Ferdinando, e del Duca di Baviera, più numerose delle sue, e niente meno coraggiose, che si cimentavano sotto gli occhi di Sua Maestà, e dell’Infante, per doppio titolo di gloria, e di ricompensa, dopo più ore di pugna rimase disfatto. Stette però costante il Vaimar, finchè gli [p. 53 modifica]mancò ogni speranza di vincere, ed allora scampò altrove. La perdita de’ vinti ascese a sei mila morti, e ad altri mila prigioni. Acquistarono gli Austriaci tutto il Cannone, e tutto il bagaglio con provvisione grandissima di vettovaglie. Grand’onore riportarono da questa vittoria tanto gli Uffiziali, quanto i Soldati comuni d’Italia, ma singolarmente il Piccolomini, il Gambacorta, e la Cavalleria Napolitana, per avere con mirabile intrepidezza, e imperterrito ardore superata una delle più insigni Cavallerie d’Europa, qual’era la Svezzese, accostumata a quasi sempre vincere, come lo dimostrano molti fatti accaduti nel passato, e nel presente secolo. Tre Capitani della Cavalleria di Napoli rimasero uccisi, sei feriti. Il Gambacorta nel principio rilevò due moschettate alla coscia; Ciò non ostante non volle nè ritirarsi, nè fasciare le piaghe, finchè non vide assicurata la vittoria. Migliorò poi delle ferite, e il Cardinale, congratulandosene colla voce d’un suo Gentiluomo, lo decorò con l’abito di S. Giacomo, e con una pensione di quattrocento scudi annui, accresciuta d’altri duecento. La presenza de’ due Principi Austriaci, che si esposero in siti pericolosi, e videro cadere vicino a loro alcuni Cavalieri, aggiunse ardimento a’ Soldati, e sollecitudine agli Uffiziali, perchè tutto camminasse felicemente. Si trovarono nel conflitto due altri Principi Italiani Mattia de’ Medici, e Borso d’Este. Il Galasso durante l’azione fu in moto perpetuo, per assistere a tutte le parti, e suggerire ordini opportuni a qualunque occorrenza. La vittoria di Norlinga avrebbe rovinati totalmente gli Svezzesi, se non fossero stati assistiti da’ soccorsi stranieri. Il Galasso, e Gio. di Vert tennero dietro al Vaimar, che penò non poco a ridursi in salvo col residuo de’ suoi nella Francia. Il Re d’Ungheria ricuperò Hailbrun e Stugard, che si resero a discrezione. Il Duca di Virtemberg abbandonò la sua Provincia, e la lasciò in preda agl’Imperiali con gli arredi più preziosi. Il Piccolomini entrò nella Franconia, e ne riebbe gran tratto di quella Provincia con molte piazze. Passato poi nella Turingia, ruppe quattordici Compagnie di Cavalleria nemica, e bottinò quattro mila moschetti, che seco conducevano.

Con l’allargamento delle conquiste le Milizie Imperiali ottennero pingui quartieri, e grosse contribuzioni da paesi sottomessi, colle quali si rimisero da’ passati disagj, ed ebbero denaro da promuovere copiose levate di reclute, colle quali ingrossarono i loro reggimenti. Dopo la disfatta di Norlinga gli Svezzesi abbisognando di denari, e di gente, per rimettere il loro Esercito, vendettero al Re Luigi per grossa somma d’oro la fortezza importantissima di Filisburg. In oltre ritirarono le guarnigioni, che avevano in Alsazia, per unirle all’Armata Capitale. Nelle Città, lasciate da questi, entrarono di presidio i Francesi, condotti dal Maresciallo della Forza. Anzi avendo Gio. di Vert Bavaro superata Haidelberg Capitale del Palatinato, e quasi ridotto il Castello alla resa, lo stesso Maresciallo Francese comparve al soccorso: N’ebbe la [p. 54 modifica]Città, ed occupò Manheim. Il Cardinal Infante si distaccò dal Re Cognato, e proseguì la sua carriera verso i Paesi bassi, conducendo colà gl’Italiani, ed altre milizie di suo seguito. Prima però provvide a’ Feriti; per la cura migliore de’ quali con carità Cristiana cedette il Castello, ove alloggiava, ed Esso per qualche giorno si riparò nella Casuccia d’un povero Contadino. Rimunerò il Piccolomini con un giojello prezioso, e a lui assegnò una Comenda di tre mila scudi di rendita. Donò un sacchetto di Zecchini al Principe di S. Severo. Distribuì quantità di denaro agli Uffiziali, e a’ Soldati secondo il loro merito.

Spedì poi in Ispagna cinquanta tra bandiere, e stendardi, guadagnati da’ suoi: Il Cardinale volle seco il General Gambacorta; e perchè era ferito, gli assegnò la propria lettiga, per accompagnarlo a Brusselles, donde trasferitosi in Ispagna fu accolto benignamente dal Re7, e decorato di maggior dignità. La battaglia di Norlinga non fu il primo incontro, in cui il Gambacorta acquistasse credito nel maneggio dell’armi. Era egli dell’insigne Casato de’ Duchi di Linatola. Dotato d’eccellente ingegno, ed applicatosi da giovinetto fortemente allo studio, s’avanzò così presto, che di dodici anni giunse ad ottenere la Laurea Dottorale in Giurisprudenza. Ma stimolato da estro guerriero, si portò Capitano di Fanteria alle guerre di Lombardia. In più Campagne, fatte colà, diede segnali illustri di valore, e di buona condotta. Nell’assedio di Casale sotto lo Spinola, comandò alla Cavalleria. Con essa camminò a’ fianchi de’ Francesi in marcia, per soccorrere la Cittadella. Attento ad iscoprire le loro vere mosse, andava ritardando il loro viaggio con attacchi di scaramuccia ora ad un corpo, ora all’altro. Conchiusa la pace, venne in Alemagna, ove operò quello, che si disse. Di Spagna ritornò in Lombardia, ove combattette in più fazioni con molta lode di consiglio, e di gran cuore, che sarebbe troppo lungo l’esporle, e possono leggersi nelle Istorie di quel tempo. Un impegno d’onore gli levò la vita. In mezzo allo Stato di Milano erasi accampato l’Esercito Francese, inferendo danni gravissimi alla Campagna. Per poterlo con più sicurezza, teneva occupato un sito, coperto da fosso profondo detto Pan-perduto, dalla terra di Tornavento, e da un bosco. Il Governatore di quello stato, Marchese di Leganes, udendo l’esclamo de’ popoli, angustiati de’ devastamenti nemici, risolvette d’assalirli. Il Gambacorta lo dissuase rappresentandogli l’esito infelice, a cui s’esponeva, di consumar le milizie senza profitto8, per essere fortissimo il posto, preso da’ Francesi. Consigliava l’alloggiarvisi da presso, e l’obbligarli a decampare di colà, col levare loro i viveri; il che sarebbe riuscito in pochi giorni. L’opposizione dispiacque al Leganes, che sospettò nata dal non voler il Gambacorta [p. 55 modifica]incorrere i primi pericoli, che a lui toccavano, e alla Cavalleria di Napoli. Dalle parole piccanti, udite, s’accorse il Gambacorta del sospetto, e volendolo levare di capo al Leganes, s’espose intrepido, combattendo tra così manifesti, e folti pericoli, sino a saltar dentro le Trincee nemiche; onde in mezzo ad esse colpito da moschettata, e caduto a terra vi lasciò la vita in età di cinquant’anni, dopo ventidue di Campagne al servigio della Corona di Spagna. La battaglia si perdette dal Leganes, come gli aveva presagito il Gambacorta. La di lui morte fu sentita universalmente con dispiacere. Il di lui corpo, rimasto nelle mani de’ Francesi, fu rimandato con dimostrazioni onorevolissime al Campo del Leganes, che con sontuosissimi funerali, a’ quali assistette Egli co’ Magistrati, e colla Nobiltà, onorò la memoria del Defonto.

Ripigliamo i fatti di Germania. La occupazione di tante piazze Alemanne, che facevano i Francesi, nel lasciarle gli Svezzesi, determinò la Corte di Vienna, a prestare l’assenso per la sorpresa di Filisburg, meditata, e proposta dal T. C. Bamberg, stato per avanti Governatore d’essa. Il Galasso fu incaricato di darvi mano. Dopo fatti tutti gli apparecchi, lasciò, che il Bamberg l’eseguisse, come successe nel Gennajo del prossimo anno

  1. Gualdo: Vita di Ferdinando terzo pag. 487.
  2. Gualdo Vita suddetta, pag. 490, 491, 492.
  3. P. Filamondo suddetto pag. 315, 316, 349 ed altrove.
  4. Gualdo. Vita, e azioni di Personaggi. V. Galasso.
  5. P. Filamondo suddetto pag. 316.
  6. Co. Gualdo Vita di Ferdinando III, Guerre di Germania; P. Filamondo, ed altri Istorici, che descrivono questa battaglia.
  7. P. Filamondo nella vita del Gambacorta.
  8. Lo stesso pag. 319-320.