Astronomia/Capitolo sesto/6
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§ VI.
Fotografia delle stelle.
Risultati suoi di indole generale e di importanza cosmica.
282. L’arte di fotografare le stelle fisse ha fatto in breve tempo progressi rapidissimi.
283. Nel 1851 alla lastra d’argento di Daguerre, poco sensibile all’azione della luce, fu sostituita con grande successo una lastra di vetro su cui una pellicola di collodio serve da substrato al cloruro d’argento.
Nel 1857 l’astronomo americano Bond riuscì giovandosi dell’appena descritto importante trovato fotografico e di una ordinaria lente obbiettiva di cannocchiale, a fotografare le due stelle Mizar ed Alcor dell’Orsa maggiore.
Si trattava di due stelle visibili ad occhio nudo; avevano richiesto una posa lunga ed uguale a 18 minuti; si era costretti ad ammettere che per fotografare le stelle minori molte e varie difficoltà rimanevano a superare. Si era però dimostralo che le stelle fisse si possono fotograficamente riprodurre sopra una lastra preparata col collodio; si era dimostrato ancora che, usando di un microscopio munito di micrometro, si possono, sulle immagini fotografiche delle stelle, far misure micrometriche assai precise.
Il primo passo era fatto.
284. Nel 1865 il problema della fotografia stellare aveva già fatto il suo secondo e più importante passo.
Il fisico americano Rutherfurd era riuscito a costrurre per la fotografia una di quelle lenti chimicamente acromatiche delle quali già si parlò nel precedente paragrafo primo, e a fotografare, con un obbiettivo fotografico di centimetri 28,5 di diametro, alcune stelle di nona gradezza.
Era dimostrato che ad ottenere le immagini fotografiche delle stelle debolmente splendenti bastava o costruire obbiettivi fotografici, in altre parole lenti chimicamente acromatiche, di più grande apertura, oppure trovare lastre fotografiche più sensibili delle allora in uso.
285. Nel 1857 Bond nelle sue ricerche di fotografia stellare erasi, come risulta da quanto più sopra si disse, arrestato di fronte al difetto delle lenti da lui usate; nel 1865 Rutherfurd arrestavasi di fronte al difetto di sensibilità delle lastre sensibili a collodio, preparate, come i fotografi dicono, per via umida.
286. Dodici anni non erano ancora trascorsi e l’ostacolo incontrato da Rutherfurd era già felicemente superato.
La chimica trovava le lastre secche a gelatina-bromuro di argento, dotate di sensibilità alla luce quasi istantanea, e con questa scoperta il problema della fotografia delle stelle si potè dire pressochè compiutamente risolto.
Le lastre a collodio umide esigevano, per dare le immagini delle stelle fino alla nona grandezza, grandi strumenti, grandi obbiettivi cioè, con un piccolo campo e pose lunghe; le lastre secche, assai più sensibili alla luce, si possono combinare con lenti obbiettive fotografiche a vasto campo, richiedono pose relativamente brevi, e per la loro sensibilità possono riprodurre tutte le stelle del cielo, le più deboli non escluse.
287. Con lenti chimicamente acromatiche, con lastre sensibili secche a gelatina-bromuro di argento gli astronomi fecero sulla strada della fotografia stellare lungo e rapido cammino.
In breve volgere d’anni seppero vincere ad una ad una le difficoltà minori e di dettaglio che ancor restavano a superare; seppero nell’uno e nell’altro emisfero della Terra ottenere fotografie di tutti i più importanti cumuli stellari, e, quel che è più, fotografie precise, con immagini nette, geometriche, suscettibili delle misure più rigorose; seppero fotografare stelle piccolissime, inferiori molto per grandezza e splendore alle più piccole disegnate sulle migliori carte celesti.
288. Disegni e costruzioni diverse furono qua e là adottate per gli strumenti destinati alla fotografia delle stelle, ma il congegno che oggi più generalmente si usa è quello ideato a Parigi dai fratelli Henry.
Consiste esso di due tubi appaiati coi loro assi perfettamente paralleli e portanti alla loro estremità superiore, l’uno un obbiettivo otticamente acromatico, l’altro un obbiettivo chimicamente acromatico. I due tubi sono portali da un unico sostegno che colle sue diverse parti forma una cosi detta montatura equatoriale o parallatica, scopo della quale è di dare, come già si disse nel paragrafo primo del presente capitolo, automaticamente ai due tubi uno stesso moto sincrono a quello apparente della sfera celeste.
Dei due obbiettivi, quello otticamente acromatico, largo 24 centimetri, costituisce, col rispettivo tubo e coll’oculare avvitato all’altro estremo di questo, un cannocchiale ordinario, e serve all’astronomo e come cannocchiale cercatore e come mezzo per assicurarsi direttamente che l’intero strumento continua per tutto il tempo necessario ad essere puntato con precisione verso un medesimo punto del cielo.
Dei due obbiettivi stessi, quello chimicamente acromatico è largo 34 centimetri, e col tubo rispettivo e colla lastra sensibile collocata all’estremo inferiore del tubo stesso costituisce la macchina fotografica.
289. Ad ottenere con questo strumento e sulla lastra sensibile di esso l’immagine delle piccole stelle di quindicesima grandezza è necessaria la posa di un’ora.
Ad eliminare il pericolo di confondere piccole macchie e accidenti della lastra sensibile con immagini di stelle si fanno tre pose successive di un’ora cadauna, spostando ogni volta il cannocchiale e la macchina fotografica di cinque minuti secondi d’arco.
Per tal modo ogni stella riesce ad essere sull’ammirabile fotografia celeste rappresentata tre volte, e a formare colle sue immagini un piccolo triangolo di cinque minuti secondi di lato; sotto ad un microscopio che ingrandisca dalle 20 alle 30 volte tutti i dettagli più minuti della fotografia, nonchè le immagini delle stelle risultano nel modo più sicuro, senz’ombra di ambiguità.
In una di queste fotografie poterono ad esempio essere contate cinque mila stelle di grandezze comprese fra la sesta e la quindicesima, ed essa rappresentava una angusta plaga di cielo, di forma rettungolare, ampia, secondo l’una dimensione, quattro volte circa il diametro apparente della Luna piena, secondo l’altra dimensione meno di sei volte il diametro stesso.
289 bis. Malgrado lo stadio rapidamente evolutivo, nel quale la fotografia stellare ancora si trova, già poterono da essa trarsi alcuni risultati di indole generale e di importanza cosmica.
Fu osservato che il bagliore dell’atmosfera terrestre, prodotto dalla luce stessa delle stelle in una notte serena, annebbia nelle lunghe pose le lastre sensibili, e segna per conseguenza un limite alla potenza di penetrazione nello spazio della fotografia. In Inghilterra ad esempio non pare che la fotografia possa spingersi al di là delle stelle di decimottava grandezza, e pure ammettendo che in altri climi questo limite possa essere oltrepassato e diventi possibile fotografare ancora stelle di decimanona grandezza, certo è che, come per la visione diretta attraverso ai cannocchiali, cosi per la fotografia esiste un limite di profondità oltre il quale non si può penetrare nello spazio senza fondo che da ogni parte ci avvolge.
Fu osservato ancora che una lastra sensibile esposta in un cannocchiale rivolto al cielo durante parecchie ore mostra, quando sviluppata, un numero di immagini di stelle molto maggiore di quello che mostra se esposta per un’ora soltanto.
Se ne sarebbe potuto arguire che, ove l’esposizione fosse molto e molto prolungata, l’intera lastra sensibile dovesse finire per essere coperta di immagini stellari, indicando con ciò che noi siamo circondati per ogni dove e in ogni direzione da un numero indefinito di stelle.
Questo non è confermato dai fatti. Se due esposizioni e pose sono fatte, l’una di un’ora l’altra di dodici, e se in amendue le lastre sensibili si riscontrano il medesimo numero di immagini e i medesimi dettagli, forza è conchiudere che la più lunga esposizione a nulla giovò, perchè maggior numero di stelle e dettagli maggiori a riprodurre non esistevano.
Ebbene da un esame minuto delle grandi nebulose di Andromeda e di Orione, del gruppo delle Pleiadi, della regione della Via Latea intorno al Cigno ricchissima di stelle, risulta che la prolungata esposizione delle lastre sensibili non dà punto sulle medesime un più grande numero di immagini stellari.
È questo un fatto che ha portata maggiore di quella che a prima giunta non paia. Già i cannocchiali avevano condotto ad ammettere che la porzione di universo stellare visibile dalla Terra è limitala in estensione. Ad ugual conclusione oggi guida, malgrado la contraria aspettazione, la fotografia. I mezzi pur potenti dei quali oggi disponiamo non bastano a scandagliare lo spazio universo al di là di quella limitata regione stellare in mezzo alla quale il Sistema del Sole è collocato.