Alessandro nell'Indie/Atto terzo

Atto terzo

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Atto secondo Varianti
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ATTO TERZO

SCENA I

Portici de’ giardini reali.

Cleofide ed Erissena.

Cleofide. Ma lasciami, Erissena, (con noia)
respirar sola in pace. I passi miei
perché seguir cosí? Perché affannarmi
con sí spesse richieste? È ver, sedotto
ho d’Alessandro il core; è ver, di sposo
ei la man mi promise: io vado al tempio.
Giá la vittima è pronta,
giá il rogo si compone; e sol l’idea
di vittima e di rogo or mi consola.
Se altro non vuoi saper, lasciami sola.
Erissena. Che bella fedeltá! Ma con qual fronte
al tempio andrai?
Cleofide. V’andrò come conviene
a una sposa reale.
Erissena. E Poro?
Cleofide. E Poro
fin colá negli Elisi
sará pago di me.
Erissena. Ma l’Asia tutta...
Cleofide. Tutta mi approverá.
Erissena. Sì, veramente
dell’Asia in te le spose avranno...
Cleofide. Avranno
dell’Asia in me le spose esempio e guida.

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Erissena. Arrossisco per te: spergiura! infida!
Cleofide. Alle ingiurie, Erissena,
non trascorrer sí presto. Io ti vorrei
in giudicar piú cauta. Il tempo, il luogo
cangia aspetto alle cose. Un’opra istessa
è delitto, è virtú, se vario è il punto
donde si mira. Il piú sicuro è sempre
il giudice piú tardo,
e s’inganna chi crede al primo sguardo.
               Se troppo crede al ciglio
          colui che va per l’onde,
          invece del naviglio
          vede partir le sponde,
          giura che fugge il lido:
          e pur cosí non è.
               Forse tu ancor t’inganni:
          m’insulti, mi condanni,
          mi credi un core infido,
          e non sai ben perché. (parte)

SCENA II

Erissena, poi Timagene.

Erissena. E ostentar con tal fasto
si può l’infedeltá!
Timagene. (cercando per la scena, senza veder Erissena)
Poro non vedo.
Questa è pur l’ora, il loco è questo.
Erissena. (senza veder Timagene) E poi
ci lagneremo noi
se non credon gli amanti
alle nostre querele, a’ nostri pianti!
Timagene. Se il mio foglio ei non ebbe,
Asbite almen dovrebbe... (vede Erissena)
Oh ciel! chi mai

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qui condusse Erissena?
L’eviterò. S’aspetti,
non veduto, che parta.
(nell’andare a nascondersi, s’incontra con Alessandro)

SCENA III

Alessandro e detti.

Alessandro. (a Timagene) Ove t’affretti?
Timagene. Signor..., vado...: attendea... (confuso)
Alessandro. Che mai?
Timagene. L’istante
di teco ragionar.
Alessandro. Parla.
Timagene. Vorrei...
(Stelle, ove son! Non trovo i detti.)
Alessandro. Intendo:
solo mi vuoi. Bella Erissena, e dove
dalla real Cleofide lontana
solinga errando vai?
Forse ancor non saprai
ch’ella sará mia sposa
prima che questo sol compisca il giro.
Erissena. Il so pur troppo; e il tuo bel core ammiro.
(con dispetto, e parte)

SCENA IV

Alessandro e Timagene.

Timagene. (Dèi; che m’avvenne mai! Gelar mi sento;
mi trema il cor.)
Alessandro. (tutto senza sdegno) Siam soli:
ecco l’ora, ecco il loco, ecco Alessandro.
Che pensi, o Timagene? A che d’intorno

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volgi il guardo cosí? Se Poro attendi,
molto è lungi da noi; l’attendi invano.
Ardir!... Che! La tua mano
all’onor di svenarmi
non può sola aspirar?
Timagene. Come! Io... svenarti?
Ah! qual è quell’infame,
che ha questo in te nero sospetto impresso?
Alessandro. Vedilo. (gli dá il foglio da lui scritto a Poro)
Timagene. (Oh numi!) (abbattuto)
Alessandro. È Timagene istesso.
Timagene. Perfido messaggier!
Alessandro. Come! Si lagna
della perfidia altrui
chi l’esempio ne diede?
D’esiger l’altrui fede
qual dritto ha un traditore?
Timagene. E pur, se vuoi
ascoltar le mie scuse...
Alessandro. Ah! taci: aggravi
cosí la colpa tua. Reo, che convinto
va mendicando scusa,
sol del suo cor la pertinacia accusa.
Timagene. È ver. Nel passo, a cui ridotto io sono, (disperato)
piú difesa o perdono
è follia di sperar: tutto il tuo sdegno
a vendicarti affretta.
Alessandro. Alessandro vendetta! E sazio ancora
d’offendermi non sei?
Timagene. Dovuto è questo
mio sangue a te.
Alessandro. Ma che mi giova il sangue
d’un traditore? Ah! se mi vuoi superbo
del mio poter, rendimi il cor, ritorna
ad esser fido; e Timagene amico
mi renderá, tel giuro,

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piú pago di me stesso,
che Poro debellato e Dario oppresso.
Timagene. Oh delitto! oh perdono!
oh clemenza maggior de’ falli miei!
(inginocchiandosi con impeto e piangendo)
Ma che resta agli dèi,
se fa tanto un mortal?
Alessandro. Sorgi! In quel pianto
giá l’amico vegg’io. Sí bel rimorso
le tue virtú ravvivi.
Vieni al sen d’Alessandro: amalo e vivi.
          Sérbati a grandi imprese,
     e in lor rimanga ascosa
     la macchia vergognosa
     di questa infedeltá;
          ché, nel sentier d’onore
     se ritornar saprai,
     ricompensata assai
     vedrò la mia pietá. (parte)

SCENA V

Timagene, indi Poro.

Timagene. Oh rimorso! oh rossore! E non m’ascondo,
misero! a’ rai del dí? Con qual coraggio
soffrirò gli altrui sguardi,
se, reo di questo eccesso,
orribile son io tanto a me stesso?
Poro. (Qui Timagene, e solo!) Amico, il cielo
pur salvo a te mi guida.
Timagene. Ah! fuggi, Asbite,
fuggi da me.
Poro. Qui d’Alessandro il sangue
non dobbiamo versar?

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Timagene. Prima si versi
quello di Timagene.
Poro. E la promessa?
Timagene. La promessa d’un fallo
non obbliga a compirlo.
Poro. Infido! Ah! dunque
tu piú quel Timagene
di poc’anzi non sei?
Timagene. No, quello in seno
avea perfida l’alma, il cor rubello.
Poro. Ed or...
Timagene. Lode agli dèi, non è piú quello.
               Finch’io rimanga in vita,
          ricomprerò col sangue
          la gloria mia smarrita,
          il mio perduto onor.
               Farò che al mondo sia
          chiara l’emenda mia
          al pari dell’error. (parte)

SCENA VI

Poro, poi Gandarte, indi Erissena.

Poro. Ecco spezzato il solo
debolissimo filo a cui s’attenne
finor la mia speranza. A che mi giova
piú questa vita, ogni momento esposta
di fortuna a soffrir gli scherni e l’ire?
Ah! finisca una volta il mio martíre.
(in atto di snudar la spada)
Gandarte. Ferma! Sei tu, mio re? (trattenendolo)
Erissena. Sei tu, germano?
Poro. Pur troppo io son.
Gandarte. La principessa estinto
ti dicea nell’Idaspe.

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Erissena. L’asserí Timagene.
Poro. E v’ingannò.
Gandarte. Ma quell’incerto sguardo,
quella pallida fronte,
quella man sull’acciaro, oh Dio! mi dice
che a un disperato affanno
il mio re s’abbandona, e non m’inganno.
Poro. E qual empio potrebbe
consigliarmi la vita in questo stato?
Erissena. Ah! no, germano amato,
non dir cosí; mi fai morir.
Gandarte. Non sia
di tua virtú maggiore
la tirannia degli astri.
Erissena. Hai molti alfine
compagni al duol; né de’ traditi amanti
tu il primo sei; né delle amanti infide
Cleofide è la prima,
né l’ultima sará.
Poro. (sorpreso) Che?
Erissena. Non dolerti.
Molto acquista chi perde
una donna infedel. Lascia che sposa
l’abbia pure Alessandro.
Poro. (sorpreso) Abbia Alessandro
chi?
Erissena. L’ignori? Cleofide.
Poro. E obbligarla
chi a tal nodo potrá?
Erissena. Nessun. Di tutte
le sue lusinghe armata,
ella stessa il richiese.
Poro. (stupito) Ella!
Erissena. E l’ottenne;
e i felici consorti andran contenti...
Poro. Dove? (impaziente)

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Erissena. Al tempio maggior.
Poro. Quando?
Erissena. A momenti.
Poro. Perfida! invan lo speri. (furioso in atto di partire)
Gandarte. (trattenendolo) Ove t’affretti?
Poro. Al tempio! (risoluto)
Erissena. Ah, no! (trattenendolo)
Gandarte. (come sopra) T’arresta!
Poro. Lasciatemi! (volendosi liberar da loro)
Gandarte. Ti perdi!
Erissena. Corri a morir!
Poro. Lasciatemi, importuni!
(si libera con impeto)
Or non vedo perigli,
or non soffro consigli,
or non odo ragion. Tutta la terra,
tutti i numi del ciel, tutto l’inferno
non basterebbe a trattenermi ormai.
Erissena. E che tentar pretendi?
Gandarte. E che farai?
          Poro. Trafiggerò quel core,
     che di perfidia è nido;
     e con quel sangue infido
     il mio confonderò.
          Del giusto mio furore
     per memorando esempio
     i sacerdoti, il tempio,
     i numi abbatterò. (parte)

SCENA VII

Erissena e Gandarte.

Erissena. Seguilo almen, Gandarte;
assistilo, se m’ami.
Gandarte. Addio, mia vita.

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Non mi porre in obblio,
se questo fosse mai l’ultimo addio.
               Mio ben, ricòrdati,
          se avvien ch’io mora,
          quanto quest’anima
          fedel t’amò.
               Io, se pur amano
          le fredde ceneri,
          nell’urna ancora
          ti adorerò. (parte)

SCENA VIII

Erissena sola.

E di me che sará? Da chi consiglio,
da chi soccorso implorerò? Son tanti
i miei disastri; e fra’ disastri io sono
di palpitar sí stanca,
che a cercar qualche scampo il cor mi manca.
               Son confusa pastorella,
          che nel bosco a notte oscura,
          senza face e senza stella,
          infelice si smarrí.
               Mal sicura al par di quella,
          l’alma anch’io gelar mi sento:
          all’affanno, allo spavento
          m’abbandono anch’io cosí. (parte)

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SCENA IX

Parte interna del gran tempio di Bacco magnificamente illuminato e rivestito di ricchissimi tappeti, dietro de’ quali al destro lato, vicinissimo all’orchestra, andranno a suo tempo a ricovrarsi Poro e Gandarte, in modo che rimangano celati a tutti i personaggi, ma scoperti a tutti gli spettatori. Vasto e ornato, ma basso rogo nel mezzo, che poi s’accende ad un cenno di Cleofide. Due grandissime porte in prospetto, che si spalancano all’arrivo d’Alessandro, e scuoprono parte della reggia e della cittá illuminata in lontananza.

Poro uscendo impetuoso, e Gandarte seguitandolo da lontano.

Gandarte. Signor, férmati! ascolta!
Poro. Tu qui! Chiusi del tempio e custoditi
son pur gl’ingressi. Onde venisti?
Gandarte. Io venni
su l’orme tue per la segreta via
che conduce alla reggia.
Poro. A secondarmi
giungi opportun. Presso alle chiuse porte,
che s’aprano attendiam: la coppia rea
inaspettati assalirem.
Gandarte. T’accieca
l’ira, o mio re. Di conseguir che speri?
Il popolo, i guerrieri,
i custodi, i ministri... Ah! che in tal guisa
la tua morte assicuri:
perdi la tua vendetta.
Poro. Ogni difesa
l’ira mia preverrá.
Gandarte. Signor, quest’ira,
deh! per ora sospendi:
salvati, fuggi, e miglior tempo attendi.
Poro. Non piú! T’accheta: ho risoluto.
Gandarte. (inginocchiandosi) O Dio,

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pietá di noi! Fuggi, mio re: conserva
a’ tuoi popoli il padre, ad Erissena
del cor la miglior parte,
all’India il difensor, tutto a Gandarte.
Poro. Indarno...
Gandarte. Aimè! del tempio
si scuotono le porte. Odi il tumulto
della turba festiva. Ah, fuggi! Il core
per te mi trema in seno:
fuggi.
Poro. Non l’otterrai. (risoluto)
Gandarte. Célati almeno.
Poro. A render certo il colpo,
util saria; ma dove?
Gandarte. Offron que’ marmi
a te comodo asilo
fra la porpora e l’òr che li circonda.
Vieni, e sicuro sei.
Poro. Reggete questa man, vindici dèi!
(snuda la spada, e va a nascondersi con Gandarte)

SCENA ULTIMA

Preceduti dal coro de’ baccanti, ch’entrano cantando e danzando nel tempio, e seguiti da guardie, popolo e sacerdoti con faci accese alla mano, s’avanzano Cleofide alla destra del rogo, Alessandro, Erissena e Timagene alla sinistra; e detti celati.

               Coro. Dagli astri discendi,
          o nume giocondo,
          ristoro del mondo,
          compagno d’Amor.
               D’un popolo intendi
          le supplici note,
          accese le gote
          di sacro rossor.

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Cleofide. Nell’odorata pira
si déstino le fiamme. (i sacerdoti accendono il rogo)
Poro. (Perfida!)
Alessandro. È dolce sorte unire insieme
e la gloria e l’amor.
Poro. (Piú fren non soffre
giá ’l mio furor.)
Alessandro. Vieni, o regina. Un nodo
leghi le destre e i cori.
(accostandosele, in atto di darle la mano)
Cleofide. Ferma: è tempo di morte e non d’amori.
Alessandro. Numi!
Poro. (Che ascolto!) (Poro resta immobile nell’attitudine di scagliarsi)
Cleofide. Io fui
consorte a Poro: ei piú non vive, e deggio
su quel rogo morir. Se t’ingannai,
perdonami, Alessandro: il sacro rito
non sperai di compir senza ingannarti:
temei la tua pietá. Questo è il momento,
in cui si adempia il sacrifizio a pieno.
(in atto di andare verso il rogo)
Alessandro. Ah! nol deggio soffrir. (volendo arrestarla)
Cleofide. (impugnando uno stile) Ferma, o mi sveno.
Poro. (Oh amore!)
Gandarte. (Oh fedeltá!)
Alessandro. Non esser tanto
di te stessa nemica.
Cleofide. Il nome d’impudica,
vivendo, acquisterei. Passa alle fiamme
dalle vedove piume
ogni sposa fra noi. Questo è il costume
dell’India tutta; ed ogni etá lontana
questa legge osservò.
Alessandro. Legge inumana,
che bisogno ha di freno,
che distrugger saprò. (vuole appressarsi a Cleofide)

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Cleofide. (in atto di ferirsi) Ferma, o mi sveno.
Alessandro. (Risolvermi non oso.)
Cleofide. Ombra del caro sposo,
ecco della mia fé le prove estreme...
(volendo gettarsi nelle fiamme)
Poro. Aspettami, cor mio: morremo insieme. (scoprendosi)
Gandarte. (Aimè! Poro si perde.)
Cleofide. Dèi! traveggo? Sei tu?
Poro. No, non travedi:
il tuo Poro son io.
Gandarte. Chi usurpa il nome mio? (scoprendosi)
Non crederlo, Alessandro: io son...
Poro. Tu sei
il mio caro Gandarte; e non è tempo
di finger piú. Trovai fedel la sposa:
son paghi i voti miei. Cosí potessi,
con la man d’Erissena.
con parte del mio regno, esserti grato.
Alessandro. Son fuor di me. Come! Tu sei... (a Poro)
Poro. Son io
il tuo nemico.
Alessandro. E di venire ardisci?...
Poro. ...a morir con la sposa.
Alessandro. (a Cleofide) E tu non vuoi?...
Cleofide. ...viver senza di lui.
Alessandro. Gandarte?...
Gandarte. ...espone,
come è dover, la vita
per quella del suo re.
Alessandro. Dunque germoglia
tanta virtú nell’India? Ed io dovrei
contar tra i fasti miei tanti infelici?
No! nol crediate, amici: un cor capace
di sí crudel diletto io non mi trovo.
Abbia l’India di nuovo
e pace e libertá; da me riceva

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Poro la sposa e la real sua sede;
e, in premio di sua fede,
su la feconda parte,
ch’oltre il Gange io domai, regni Gandarte.

Cleofide e O Alessandro!
Gandarte.

Erissena e Timagene. O signor!
Alessandro. Tacete. Omaggi
altri io non vuo’ da voi che l’odio estinto.
Cleofide. Or trionfi, Alessandro.
Poro. Or Poro è vinto.

          Tutti, fuor che Alessandro.

               Serva ad eroe sì grande,
          cura di Giove e prole,
          quanto rimira il sole,
          quanto circonda il mar.
               Né lingua adulatrice
          del nome suo felice
          trovi piú dolce suono,
          di chi risiede in trono
          il fasto a lusingar.