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atto terzo 353


piú pago di me stesso,
che Poro debellato e Dario oppresso.
Timagene. Oh delitto! oh perdono!
oh clemenza maggior de’ falli miei!
  (inginocchiandosi con impeto e piangendo)
Ma che resta agli dèi,
se fa tanto un mortal?
Alessandro.  Sorgi! In quel pianto
giá l’amico vegg’io. Sí bel rimorso
le tue virtú ravvivi.
Vieni al sen d’Alessandro: amalo e vivi.
          Sérbati a grandi imprese,
     e in lor rimanga ascosa
     la macchia vergognosa
     di questa infedeltá;
          ché, nel sentier d’onore
     se ritornar saprai,
     ricompensata assai
     vedrò la mia pietá. (parte)

SCENA V

Timagene, indi Poro.

Timagene. Oh rimorso! oh rossore! E non m’ascondo,
misero! a’ rai del dí? Con qual coraggio
soffrirò gli altrui sguardi,
se, reo di questo eccesso,
orribile son io tanto a me stesso?
Poro. (Qui Timagene, e solo!) Amico, il cielo
pur salvo a te mi guida.
Timagene.  Ah! fuggi, Asbite,
fuggi da me.
Poro.  Qui d’Alessandro il sangue
non dobbiamo versar?