Abèle (Alfieri, 1947)/Atto terzo
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ATTO TERZO
SCENA PRIMA
Notte. Capanna d’Adamo.
Lucifero, Il Peccato, L’Invidia, La Morte, Demonj.
Abèle, e Caíno dormienti. Adamo, ed Eva dormienti.
sempre a scacciarci presti?
Il Pecc. Al tuo venir, fors’essi spaventati,
diedero il dorso...
Lucifero E fur ben consigliati.
Ma tosto, or tosto, pria che d’altri armati
traggan soccorso
che ponga al nostro ardire un duro morso,
facciasi l’alto effetto.
Coro di Demonj
Invidia, Morte, all’uomo ogni diletto
attoscate, troncate, sbarbate:
ogni suo ben passato oggi si stempre;
e qual ci nasce, abbia onde pianger sempre.
Coro di Lucifero, Il Peccato, L’Invidia, e La Morte
Sí, s’attoschi, si tronchi, si sbarbi
ogni suo bene.
Coro di Demonj
Il fior d’Inferno viene
i caparbi
a disfar.
ogni suo bene...
Lucifero Senza tremar.
Tutti Senza tremar.
Ogni, ogni bene,
senza tremar.
L’Invidia Ecco mia preda: questi,
che quí supino dorme:
truci in volto ha le forme:
vada, vada, e si annesti
seco, ed al cor ben ben se gli avviticchj,
questa mia serpe, e gliel rosicchi a spicchj.
La Morte A me quest’altro piace
che al di lui fianco giace.
Piace a me la gioventú:
segnare il vo’.
Dormi dormi, pur tu;
doman tuo sangue tutto io mi berrò.
Sí, giovincel; da te
principierá ’l mio esser, che non è.
Quanto ne piangerá
quell’altra coppia che sen dorme or lá!
Lucifero Giá giá il sottile serpentel tuo livido
sovra Caíno — strisciasi,
e in mezzo al cor gli pianta il fero brivido.
Giá d’Abèle il destino — irrevocabile
sul di lui volto stampasi:
niun può torlo a tua falce inesorabile.
Ben feste, o Figlie, l’alto dover vostro:
quel che a far vi rimane, al fatto è poco.
Or visibili, or no; talor col nostro,
talor col finto aspetto, in ogni loco,
or da lunge, or da presso, omai si debbe
sempre osservar da nui,
se alcun di questi dui
il suo calice amaro appien non bebbe.
lasciam ch’entri la luce, ed esca il Sonno.
Pria che in questi mortali occhi ritorno
faccia dei sensi l’ozíoso donno,
per lo gran pianto saran consumati.
Sgombriamo, or sí; ma armati
sempre aggiriamci a queste soglie intorno.
SCENA SECONDA1
Caíno, e gli altri, dormienti.
dond’è che il sonno, anzi il venir dell’alba,
giá mi abbandona? è notte ancora. Il sonno,
fors’io mercato col sudor diurno
non mel sono abbastanza?... Ecco questi altri
dormir frattanto placidi. E che fanno,
che fan costor poscia svegliati, e sorti
dalle lor foglie morbide? Caíno,
Caíno fa; tutto, Caíno: e il caro,
e l’occhio pur dei genitori, è Abèle.
Mi si vorria ciò ascondere, ma indarno:
pur troppo io ’l veggo. A che piú stai, Caíno,
fra questa a te nemica gente? — Oh cielo!
Nemici a me il fratel, la madre, il padre?...
Son’io ben desto? Or, che diss’io?... Ma, quale
gel, non sentito pria, mi assale il petto?
E come, a un tempo, in mezzo al gelo avvampo
di subit’ira? Or, che diss’io?... Ben dissi:
questo nido d’ingrati, io sí, per sempre,
lasciarlo vo’. Saprò ben io, con questo
procacciarmi e quíete. Ah! fra noi troppo
fur disuguali i patti: or si ricompri
col mio sudor mia libertade almeno. —
Vieni, o tu, dura marra, a me ne vieni
compagna tu: fiera nessuna io temo,
di te munito; o marra, arme, e ricchezza,
e del retaggio mio paterno sola
parte a me sii. Piú starmi io quí non posso:
a viva forza, una invisibil mano
fuor mi strascina. Vadasi. Non posso
veder piú, no, costoro tutti immersi
placidamente in usurpato sonno.
Ch’io mai piú non li vegga! mai, mai piú.
SCENA TERZA
Riappariscono Lucifero, e L’Invidia.
dell’ira orribile, che il de’ pur rodere:
sieguilo, sieguilo; tutto lo abbranca.
L’Invidia L’orme sue piú non lascio:
ma, per noi la cerasta
opra intanto, e gli guasta,
tutto in un fascio,
ed occhi ed alma e senno e cuore e mente.
Lucifero Sola, tu dunque, or basta
presso colui; presso quest’altra gente
quanto piú posso intanto
starò, di negra nube entro l’ammanto.
SCENA QUARTA
Adamo, Eva, Abèle, Lucifero in una nube.
al riposo donaste. È tempo, è tempo
di render grazie, e cantar lodi a Dio,
pria che all’opra torniate... Ma, che veggio?
Sorto è Caíno giá? sollecito egli,
piú che il padre? Fors’io, piú dell’usato
indugiavami? eh, no: comincia appena
ora una dubbia luce a muover guerra
all’aer nero. — Ove sei tu, Caíno?
Caíno, ove sei tu? — Né pur sua marra
ritrovo al loco consueto! all’opra,
ito egli giá? ma, senza Abèle? e senza
che il benedisse, e l’abbracciasse il padre?
Parmi, ed è, cosa non possibil... Eva,
vieni; e tu pure a rintracciar Caíno
ajutami.
Eva Che fia? lá piú non giace
d’Abèle al fianco?
Adamo No; né, intorno intorno
perch’io piú volte ad alta voce il chiami,
ei mi risponde.
Eva Ah! mi spaventa questo.
Senza il fratel non suole egli mai passo
muovere; e molto men, pria che raggiorni.
Chi sa in qual ora uscisse? udiam, se Abèle
nulla ne sa. Svegliati, o figlio; destati,
che n’è ben tempo.
Abèle3 Oh madre! ah, tu mi salva:
questa tua voce a un rio mostro m’invola:
Eva Che parli?
Che hai tu visto? che temi?
Adamo Oh Dio! quest’alba
d’infausto giorno messaggera infausta
sorgere mi pare.
Eva Or, ti rinfranca, o figlio:
della tua madre tu stai fra le braccia.
Di che paventi? ansante...
Abèle Oh madre!... Appena
ora, ed a stento, gli occhi mi si sgombrano
da una nera caligine... Ritrovo
or lena un poco.
Adamo Onde mai tale e tanto
affanno?...
Abèle I sogni miei, che m’eran sempre
piacevoli e dolcissimi, mi furo
orrida angoscia in questa notte intera.
E appunto ora, quand’io della tua voce
udendo il suono in piè balzava, appunto
or mi parea di star lá nella cupa
grotta del fonte; e che, mentr’io nell’onde
limpide e fredde, per trar di mie vene
del Sol l’arsura, entrambe diguazzava
le ignude braccia in giú spenzolato,
di sotto l’acque a un tratto un mostro in su
per pigliarmi scagliavasi; e all’indietro
io supino cadea. Poi mi pareva
veder fuggire il mio timido gregge,
come inseguito; e d’un’ignota fiera,
che lo si sbrana, gli urli; e de’ miei fidi
agnellini i piú cari, udiva i gemiti:
ond’io, Caíno, a tutto andar, Caíno,
gridava; ed ei, non rispondeva. Ed io,
per dare ajuto al gregge mio, correa,
e correa sempre piú. Ma il mostro appena
a spalancata gola addosso a me;
con gli occhi come fiamma: ed è sei tanti
del nostro maggior cane; e giá mi addenta...
Oh Dio! qual gelo mi sentiva! Ed ecco,
odo la voce tua, madre; e mi trovo
fra le tue braccia.
Adamo E sorger non sentivi
dal fianco tuo Caíno?
Abèle Io, no. Ma forse
non vi giace egli piú, lá dov’egli era
quand’ambo ci corcammo?
Eva Ecco, del tutto
sorta è l’aurora. Inchiniamoci all’alto
Onnipossente nostro Padre: ei solo
d’ogni mal nostro è sanator: sol egli
sgombrar ci può d’ogni terrore i petti.
Adamo Bramo adorar pur io, ma un non so quale
ostacol sento a mie preci frapporsi,
e muto farmi. Eppur, sa Dio, se in esso
confido io sempre, e solo in esso! Or, dimmi,
Eva, l’anima tua giace ella pure
in cotal torpidezza? ovver sol’io
assalito ne sono?
Eva Oh! mira: vedi
nube lá, tutta negra, fuor che il lembo,
ch’ell’ha come di sangue? una simíle
ne vidi io giá, ma non terribil tanto,
nel dí nell’ora che assalirmi venne
quel maledetto ingannator serpente.
Ahi noi miseri! oimè! qualche gran danno
or ci sovrasta.
Abèle Oh! spaventati or dunque
siete pur voi dal sogno mio? Siam tutti
in tanta angoscia, e il fratel ci abbandona?
Volo in traccia di lui. Deh! v’indugiate
io quí tornato, riuniti tutti
compier possiamo il dover sacro. Io tosto
lo troverò; certo, è nel campo; e forse
di qualche ajuto or gli fa d’uopo. Un qualche
tetro sogno lui forse anco strappava
dall’inquíeto strato.
Adamo Chi sa! forse
ell’è cosí. Ma, sia che vuol, ben parli,
figliuol mio; non conviensi al dí dar capo,
senza aver tutti riuniti, ad una
voce invocato Iddio. Va, corri e torna.
Eva Solo un istante, o Figlio; ch’io t’abbracci
pria ben bene. Or, va pure, e presto presto
col fratel torna: e digli, che noi stiamo
in un mortale affanno per lui solo.
Sii sollecito; sai?4 — Deh, come ratto!...
Par ch’ali snelle al lieve piede impenni.
SCENA QUINTA
Adamo, Eva, poi La voce d’Iddio.
andarne il garzoncello...
Eva Ah! sí...
Adamo Ma come
or ci penso io soltanto? Richiamarlo...
Ma, lungi è troppo. E s’io il seguissi?... Oh cielo,
te lascierei... Ma donde in me sí fera
perturbazione insolita?
Eva Seguiamlo
piuttosto entrambi.
per altra via fors’essi desser volta,
e noi quí non trovassero? né loro
ritrovassimo noi? tu ’l vedi: a doppia
angoscia ci esporremmo. In Dio frattanto
speriamo: in breve...
Eva Ah! ch’io nel cor mi sento
inspiegabili moti: smisurata
malinconia mi opprime: il pianto, or dianzi
nell’abbracciare Abèle, mi s’apriva
strada per gli occhi a forza: parea quasi,
ch’io l’abbracciassi per l’ultima volta.
E il terribil suo sogno!... Oh Dio! se mai,
Dio permettente, una tal fiera... Oh! quanto,
quanto mal festi di non ir tu stesso
or di Caíno in traccia!
Adamo Amata donna,
acqueta or l’alma un poco: ecco, piú forte
giá giá mi sento in me. Dal fianco parmi
che un non so qual gravoso alito tetro
mi si togliesse: il cor piú non mi stringe
quel rio fetore incognito; la mente
piú non mi offusca. Errai, certo, e non poco,
nell’inviar cosí soletto Abèle:
io, di Caíno in traccia, irne sol io
dovea: deh! come smemorato io tanto
era in tal punto? Al mio gridar, mi avria
Caíno udito, anco varcato ei fosse
oltre la selva. Oh Dio! ma che far debbo?
Irne? te lascio; attenderli? fors’essi
non riedono. Atterriamci, Eva diletta,
al Creatore: i preghi tuoi tu mesci
tacitamente ai miei; finché dall’alto
l’ajutatrice sua sonante voce
senno ci arrechi.
Eva A lui, sí, prosterniamoci.
tutto sai, tutto vedi,
né cosa avvien che il tuo voler non sia:
se dunque falsa or credi
la cagion che tai tenebre ne adduce,
un soffio tuo la sforzi a sparir via:
ma se infortunio vero a noi traluce,
Sommo Fattor, concedi,
non di sottrarcen, che ogni mal mertiamo,
ma di saper noi pria
per qual di noi piú paventar dobbiamo.
La voce d’Iddio6
Sorgi, Adamo. Non sono a me i tuoi preghi
discari, no: ma irrevocabil legge
vuol che al Destin ti pieghi,
che i casi vostri imperíoso regge.7
Coro d’Angeli invisibili
Adamo, un uom tu sei:
cede al Destino ogni creata cosa;
e tu pur ceder dei.
Meglio in Dio, che in tutt’altro, il cor si posa.
Una voce del Coro
Né arene il mar cotante,
né stelle ha il cielo, quante
verran da voi le umane creature.
Vedrá coperto appieno
la Terra il suo gran seno
di genti innumerabili future.
Un’altra voce
Ma in un con lor creata
dei mali e beni loro
la somma immensa, è dal Destin librata.
a cui si aguzzi l’oro
della Virtú, che incontro a tutto puote:
prospero, ei fia lo scoglio
contro il qual romper denno
il lieve umano senno,
e il suo usato nocchier, l’umano orgoglio.
La voce d’Iddio8
Qual ch’ei sia dunque, il destin vostro emana
d’alto consiglio eterno.
Volgi, volgi, al superno
facitor d’ogni cosa umile il ciglio:
e, rassegnato figlio,
non muover mai la tua ragione insana
a investigar cagion celeste arcana. —
Adamo Eva, adoriam, tremiamo; e, al pianger nati,
piangiamo: altro non resta. Omai, si sorga;
e d’iddio, qual ch’ei sia, l’alto volere
in silenzio si aspetti. Abbiam (pur troppo!)
disobbedito a Dio sola una volta.
Ma i nostri figli abbandonare intanto
noi non dobbiamo, ah no: ciò non comanda
né Dio mai, né il Destino. Andiam; si cerchi
di lor per tutto: vieni; uniti poscia
noi quattro in uno, aspetterem che tutti
il rio Destino a un tratto ci percuota.
Eva Oh figli nostri! or dove siete? Andianne
in traccia, sí. Deh, quai terrori e quanti
al cor materno misero fan guerra!
- ↑ Spariti tutti i Demonj, Caíno destatosi balza dallo strato.
- ↑ Sorgendo dallo strato.
- ↑ Balzato in piedi, corre fra le braccia della madre.
- ↑ All’uscir di Abèle sparisce la nube, dentro la quale Lucifero stava.
- ↑ Quí pure, previa una breve armonia istrumentale, Adamo intuonerá questa preghiera con cantilena lirica.
- ↑ Precedono lampi e tuoni.
- ↑ Lampi, e tuoni
- ↑ Precedono, e sieguono, lampi e tuoni.