Abèle (Alfieri, 1947)/Atto quarto
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ATTO QUARTO
SCENA PRIMA
Vasta campagna.
Abèle, preceduto da Lucifero invisibile ad esso.
tratto mi son fino al deserto piano;
e appena appena ancor la selva io veggo,
che mi lasciai da tergo. Oh quante volte
gridato ho giá, Caín, Caíno! ed egli
di tempo in tempo mi va rispondendo,
né so di donde; e mai veder nol posso.
Or da un lato, or dall’altro, e innanzi spesso
e talor dalle spalle, averlo parmi,
ma vie piú sempre la voce allontanasi,
quant’io m’inoltro piú. — Caín, Caíno:
fratel mio caro...
Lucif.1 Oh! se’ tu quivi, Abèle?
Abèl.2 Sí, son io: deh, ti mostra! — Or, come mai
in cosí vasto e ignudo pian sua voce
suonar mi puote, e ch’io nol vegga? Ah, questa,
questa è per certo inconcepibil cosa.
Caín, Caíno; pregoti, a me vieni;
stanco son io; deh vieni... Ei piú non s’ode.
Ma che fia mai? deh! come solo io sono!
Che dirá il padre? e il suo dolore? e quello
d’Eva infelice? e il mio dolore? io starmi
senza Caíno? Un po’ ripresa ho lena:
vo’ seguir oltre: addietro esser non puote.
Caín, Caíno, ove sei tu?
Lucif. Quá oltre.
Abèle Eccol di nuovo: oh come lungi ei suona!
Or m’avveggo: ei s’è tratto infin lá dove
scorre profondo incassato il gran fiume,
ch’io mai non vidi; ma cel disse il Padre,
ch’evvi lá il fiume. Il troverò lá dunque.
Veder nol posso, perché la scoscesa
ripa il nasconde: il troverò. Caíno,
io vengo, io vengo; aspettami. Lá volo.
SCENA SECONDA
L’Invidia, e La Morte, trasfigurate.
trasmutata cosí?
Potrò uccidere omai?
Quando avrò preda? di’.
L’Invidia Seguirmi dei, tacerti, o dir ben poco,
e al mio inganno dar loco.
Madre or mi sei: sotto quel denso velo
cela ben ben tuo ceffo:
e breve breve, ogni qual volta io accenni
risponderai, ma con materno zelo.
Ben sai ch’io non ti sbeffo;
non mi guastar l’opra che a fare io venni.
La Morte Farò, dirò:
ma nulla so,
fuorché falciar;
dei tu in mio pro’
messe apprestar.
Pria di mostrarci noi,
udiam se ha cor ferino,
s’ei bevve appieno il fiel de’ serpi suoi.
SCENA TERZA
Caíno.3
per ritornar, piú volte ho giá ritorto,
e vie piú sempre una incognita forza
tornami a spinger lungi dal paterno
desiato ricetto. Insolita ira
mi divora, mi strugge; e in chi sfogarla,
non so. — Ma pur sul cuore a un tempo stesso
i flebili lamenti mi rimbombano
dei Genitori miseri, che indarno
or mi cercano, al certo. E il dolce mio
fratel d’amore... Or, di chi parlo? ahi stolto,
che pensi tu? nel loro Abèle han tutto
i Genitori tuoi; sol esso basta
e a’ tuoi parenti, e a Dio: sí, il Creatore
del solo Abèle i sagrificj a grado
par ch’ei si tenga. — Ah, di Caín non havvi
chi cerchi, no; né di Caín chi curi.
E sia pur ciò: né di nessuno io curo. —
Ma, donde il sai? Che t’han mai detto, o fatto,
che di ciò ti convinca? In piena pace,
ier sera all’annottar, dopo la lieta
cena, non eri benedetto il primo
tu, Caín, dal tuo padre? e quindi al fianco,
del tenero amorevole fratello
non ti addormivi tu, beato? Or donde,
come, perché, fra smanie orrende io sorsi;
e fuggitivo, e sconoscente, e errante,
sordo a ragion, dal ver diviso, (ahi lasso!)
imperversando io vò? Su via, si vinca;
sí la malnata passíon si vinca.
Torno a voi, giá ritorno, o dolci, o amati
miei Genitori; a voi, che al par d’Abèle
mi amate, ah sí; piú assai che nol merto io. —
Ma, che veggo? ben veggo? a me davanti
si appresentan due umane creature?
e s’inoltrano? e vestono com’Eva!
Oh! l’una il viso ha come Abèl fiorito,
ma piú leggiadro ancora! altri v’ha dunque
di nostra specie in terra? eppure il padre
diceami ognor, che i soli eramo noi...
SCENA QUARTA
L’Invidia, Caíno, La Morte.
fra palpiti atrocissimi, il gran fiedere
che addoppiano col brivido, ond’assideri,
quegli aspidi che avvinghianti com’edere;
deh, piacciati (se impavido desideri
a giubilo incessabile pur riedere)
deh piacciati alle limpide acque intendere,
che debbono lietissimo l’uom rendere.
Caíno Oh! chi sei tu, che in cosí strani accenti
mi favelli? Altri dunque, a noi non noti,
uomini v’ha su questa terra? Ah! trammi
di dubbio tu: dimmi chi sei: ma adopra
sí ch’io piú lieve intendati; ten prego.
L’Inv. D’Adamo il figlio, al tuo parlar ravviso.
Non bastò dunque al padre tuo di farsi
egli sbandir, con sua vergogna tanta
dal bel terrestre Paradiso, ov’io
con infiniti altri mi albergo? a lui
no non bastò ciò dunque? al proprio figlio
ei volle inoltre ogni notizia torre
di un tanto ben perduto, e torgli a un tempo
al racquistarlo ogni possibil via?
Caíno Oh! che mi narri? un Paradiso in terra
evvi; e in bando mandatone fu Adamo?
Ed egli ad un suo figlio un ben sí immenso
cela, e impedisce?
L’Inv. Ingiusto e duro padre,
al proprio figlio invidia egli quel bene,
ond’ei mostrossi indegno. Oltre alle rive
lá del gran fiume, io stavami con questa
dolce mia madre: ed io di lá vedea
(che il tutto vede e sa, chi quivi alberga)
te fuggiasco, lasciata la capanna
del padre tuo, venirne errante...
Caíno Or, come
di me sai tutto, ed io?
L’Inv. Pari non siamo.
A noi beati abitator perenni
di quella opposta spiaggia, il tutto è lieve:
ivi lontana o non saputa cosa,
o impossibile a noi, son nomi ignoti:
ivi in gran copia siam, fratelli e suore,
e figli e padri; ivi ad ogni uom si aggiunge
una, com’io; qual vedi Eva congiunta
viver col padre tuo. — Pietá mi prese
dell’ignoranza tua; quíndi a incontrarti
io fin quí m’inoltrai. Sol che ti attenti
tosto sei fatto; e lá, s’ella a te piace,
posseditor di questa mia beltade
farti potrò; come pur teco ogni altro
mio ben divider quivi mi fia dato,
che tanti aduna quel beato suolo.
Caíno Ma come mai quell’ottimo mio padre,
che tanto ci ama, un tanto ben potea,
crudel celarci? In core alto contrasto
provar mi fai, col parlar tuo. Mi muove
la tua beltade assai; la lusinghiera
speme di te; quel favellar tuo dolce,
cui non udiva il pari io mai; mi muove,
tutto in te: ma poss’io pur fra gli stenti
dell’incessante affaticarsi ingrato
abbandonare i miei, per trarre io poscia,
io fra delizie in ozio agiata vita?
L’Inv. Ben pensi tu. Servi, su dunque, e pena,
e affaticati, e suda. Altri frattanto
pria di te quivi occuperá il tuo stato.
Caíno Altri? chi mai?
L’Inv. Cieco ben sei.
Caíno Ma, forse
rimane lá loco sol uno?
L’Inv. A un solo
figliuol d’Adamo il varco ivi è concesso:
celato a te, ma non a tutti...
Caíno Oh quale,
qual gel di nuovo entro mi scorre! orrendo
m’agita un dubbio...
L’Inv. È manifesta cosa,
non dubbia omai: tuoi pensier tutti io scerno:
Adamo, sí, tutto al suo Abèl svelava,
quanto a te nascondea...
Caíno Che sento!...
per lui si serba.
Caíno Oh rabbia! Or tutta, appieno
tutta or si sgombra la caligin densa
che le viste offuscavami: quel moto,
che in me feroce incognito indistinto,
all’aspetto talor, talvolta al nome
solo d’Abèle, in tutto me sentiva;
eccone il fonte.
L’Inv. Or tutto sai. Sol bada,
che i passi tuoi non antivenga Abèle.
Giunto tu appena all’altra riva, incontro
a te farommi, e tua sarò: ma teco
dato non m’è d’irne a tal varco: intanto,
a confermarti in tuo proposto, or bada
quant’io farò. — Madre, per dargli un lieve
saggio di nostra avventurata gente,
ch’oltre a quell’acque ei troverá, non fora,
dimmi, opportuno un bel drappello eletto
fargliene quí subitamente innanzi
baldo apparire?
La Morte A senno tuo puoi farlo,
amata figlia.
L’Inv. Or tu vedrai, Caíno,
popol leggiadro, e tra soavi note
agili danze armoniche, onde ratto
sará il tuo core. — Almi fratelli, a volo,
rapidi al par del mio pensier, giungete.4
SCENA QUINTA
La Morte, L’Invidia, Caíno, Coro di danzatori e danzatrici.
Coro di cantatori e cantatrici.
terra abitar non puote,
di lagrime le gote
e di sudor la fronte allagherá:
ma chi nell’aurea chiostra
pon le beate piante,
ha scritta in adamante
l’intera eterna sua felicitá.
Coro dest. In quest’orrido deserto
qual fia mai l’uom sventurato,
che a selvaggio vitto incerto
dal destin fu condannato?
Coro sinist. Uomo, ah no, quel che quí alberga,
uom non è come il siam noi:
lo percosse orribil verga
che ha cangiato i Fati suoi.
Coro intero Ma, chi non gustò del pomo
perderá il bell’esser d’uomo?
Una voce del Coro6
Nol perderá, no, no.
Tu, che del rigido
rotto divieto
nulla pur sai;
tu dei nel frigido
bel fiume lieto
tuffar tuo’ guai.
suo dritto mai.
Coro intero Nol perderá, no, no.
Una voce di Donna, dal Coro
Vieni, o figliuol d’Adamo,
lá, dove in festa eterna
uguale alla superna
vita noi pur viviamo.
Né il Sol tu splendere,
qual colá splende,
né visto hai scendere,
qual colá scende,
dolce manna dal Ciel:
Una voce d’Uomo
né il rio trascorrere
candido latte;
né all’uom soccorrere
l’elci e le fratte,
di purissimo miel.
Le due voci, d’Uomo e Donna
Vieni, o figliuol d’Adamo,
lá, dove in festa eterna
uguale alla superna
vita noi pur viviamo.
Coro intero Vieni, o figliuol d’Adamo,
lá, dove noi viviamo.
Affrettati, su su:
che quanto tardi piú,
tanto piú lieve può
altri preceder te.
Se il bene sai quant’è,
nol perderai, no, no.7
SCENA SESTA
La Morte, Caíno, L’Invidia.
Vedesti, udisti: a me non resta or altro
che darti, in pegno di mia fe, mia destra.
Prendila, prendi.8
SCENA SETTIMA
Caíno.
brivido fiero al cor m’è corso! il sangue
gelido par quivi stagnarsi... Oh quale
tosto sottentra orribil vampa! io corro
su i passi tuoi pria che il fellon d’Abèle
non mi precede lá.
SCENA OTTAVA
Caíno, ed Abèle.9
- ↑ Imitando la voce di Caino.
- ↑ Volgendosi verso la udita voce.
- ↑ Entra di donde entrò Abèle, come s’egli fosse stato dietro.
- ↑ Percuote col piede la terra; e tosto appariscono da ogni parte i diversi Cori di Musici e Danzatori.
- ↑ Mentre il Coro musicale bipartitosi canta, dagli altri si intrecciano varie danze.
- ↑ Mentre canta alcuna voce sola del Coro, si sospendono le danze: tosto che il Coro intero ripiglia, ricominciansi.
- ↑ Piú volte questo verso. — Al cessar del Coro, spariscono i Danzatori, e Cantori.
- ↑ Nel toccargli la mano sparisce con la madre.
- ↑ Che torna di verso il fiume.
- ↑ Gli corre incontro con la marra.
- ↑ Fuggendo indietro.
- ↑ Inseguendolo, si trae dalla vista.