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atto quarto 225
L’Invidia   Vieni, in disparte tratti: ecco Caíno.

  Pria di mostrarci noi,
  udiam se ha cor ferino,
  s’ei bevve appieno il fiel de’ serpi suoi.


SCENA TERZA

Caíno.1

Che fai, Caíno? ove t’aggiri?... Io ’l piede,

per ritornar, piú volte ho giá ritorto,
e vie piú sempre una incognita forza
tornami a spinger lungi dal paterno
desiato ricetto. Insolita ira
mi divora, mi strugge; e in chi sfogarla,
non so. — Ma pur sul cuore a un tempo stesso
i flebili lamenti mi rimbombano
dei Genitori miseri, che indarno
or mi cercano, al certo. E il dolce mio
fratel d’amore... Or, di chi parlo? ahi stolto,
che pensi tu? nel loro Abèle han tutto
i Genitori tuoi; sol esso basta
e a’ tuoi parenti, e a Dio: sí, il Creatore
del solo Abèle i sagrificj a grado
par ch’ei si tenga. — Ah, di Caín non havvi
chi cerchi, no; né di Caín chi curi.
E sia pur ciò: né di nessuno io curo. —
Ma, donde il sai? Che t’han mai detto, o fatto,
che di ciò ti convinca? In piena pace,
ier sera all’annottar, dopo la lieta
cena, non eri benedetto il primo
tu, Caín, dal tuo padre? e quindi al fianco,


  1. Entra di donde entrò Abèle, come s’egli fosse stato dietro.


 V. Alfieri, Tragedie postume. 15