Odi (Foscolo)/A Bonaparte liberatore

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III
A Bonaparte liberatore

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A BONAPARTE

NICCOLÒ UGO FOSCOLO.


Genova, 5 agghiacciatore, anno VIII.

Io ti dedicava questa Oda quando tu, vinte dodici giornate e vențicinque combattimenti, espugnate dieci fortezze, conquistate otto provincie, riportate centocinquanta insegne, quattrocento cannoni e centomila prigionieri, annientati cinque eserciti, disarmato il re sardo, atterrito Ferdinando IV, umiliato Pio VI, rovesciate due antiche repubbliche, e forzato l’imperatore alla tregua, davi pace a’ nemici, costituzione all’Italia e onnipotenza al popolo francese.

Ed ora pur te la dedico, non per lusingarti col suono delle tue gesta, ma per mostrarti col paragone la miseria di questa Italia, che giustamente aspetta restaurata la libertà da chi primo la fondò.

Possa io intuonare di nuovo il canto della vittoria quando tu tornerai a passare le Alpi, a vedere ed a vincere!

Vero è che, più che della tua lontananza, la nostra rovina è colpa degli uomini guasti dall’antico servaggio e dalla nuova licenza. Ma poichè la nostra salute sta nelle mani di un conquistatore; ed è vero, pur troppo! che il fondatore di una repubblica deve essere un despota; noi e per li tuoi beneficj, e pel tuo Genio che sovrasta tutti gli altri dell’età nostra, siamo in dovere [p. 294 modifica]di invocarti, e tu in dovere di soccorrerci, non solo perchè partecipi del sangue italiano, e la rivoluzione d’Italia è opera tua, ma per fare che i secoli tacciano di quel Trattato che trafficò la mia patria, insospettì le nazioni e scemò dignità al tuo nome.

E’ pare che la tua fortuna, la tua fama e la tua virtù te ne abbiano in tempo aperto il campo. Tu ti se’ locato sopra un seggio donde e col braccio e col senno puoi restituire liberta a noi, prosperità e fede alla tua Repubblica, e pace all’Europa.

Pure, nè per te glorioso, nè per me onesto sarebbe s’io adesso non t’offerissi che versi di laude. Tu se’ omai più grande per i tuoi fatti che per gli altrui detti: nè a te quindi s’aggiugnerebbe elogio, nè a me altro verrebbe che la taccia di adulatore. Onde t’invierà un consiglio, che essendo da te liberalmente accolto, mostrerai che non sono sempre insociabili virtù e potenza, e che io, quantunque oscurissimo, sono degno di laudarti, perchè so dirti fermamente la verità.

Uomo tu sei, e mortale, e nato in tempi ne’ quali la universale scelleratezza sommi ostacoli frappone alle magnanime imprese, e potentissimi incitamenti al mal fare. Quindi o il sentimento della tua superiorità, o la conoscenza del comune avvilimento potrebbero trarti forse a cosa che tu stesso abborri. Nè Cesare prima di passare il Rubicone ambiva alla dittatura del mondo.

Anche negli infelicissimi tempi le grandi rivoluzioni destano feroci petti ed altissimi ingegni. Che se tu, aspirando al supremo potere, sdegni generosamente i primi, aspirando alla immortalità, il che è più degno delie sublimi anime, rispetterai i secondi. Avrà il nostro secolo un Tacito, il quale commetterà la tua senlenza alla severa posterità. Salute. [p. 295 modifica]

BONAPARTE LIBERATORE.

ODA

del liber’uomo niccolò ugo foscolo.

I.
     Dove tu, Diva, dall’antica e forte
Dominatrice libera del mondo,
Felice all’ombra di tue sacre penne,
Dove fuggisti, quando ferreo pondo
5Di vile e fera tirannia le tenne
Umil la testa fra servaggio e morte?
Te seguir le risorte
Ombre de’ Bruti, ai secoli mostrando
Alteramente il brando
10Del padre tinto e del figliuol nel sangue.
Te, o Libertà, se fra le gelid’onde
Del Danubio e del Reno
Gisti con genti indomite guerriere;
Te, se t’accolse nel sanguigno seno
15Brittannia, e t’avvincea mortifer’angue;
Te, se al furor di mercenarie spade,
Dell’Oceán dalle vietate sponde
T’invitâr meste e del tuo nome altere
Le americane libere contrade;
20O le batave fonti,
O ti furon ricetto,
Coronati di gel gli elvezj monti;
Or che del vero illuminar l’aspetto
Non è delitto, or io te, Diva, invoco:
25Vieni, e la lingua e il petto
Mi snoda e infiamma de’ tuo santo foco.
II.
     Ma tu dell’alpe dall’eccelse cime,
Al rintronar di trombe e di timballi,

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Ausonia guati, e giù piombi col volo.
30Anelanti ti seguono i cavalli
Che Palla sferza, e sull’esperio suolo
Marte furente orme di foco imprime.
Odo canto sublime
Di mille e mille che vittoria o morte
35Dall’italiche porte
Giuran, brandendo la terribil asta;
E guerrier veggo di fiorente alloro
Cinto le brune chiome,
Su cui purpuree tremolando vanno
40Candide azzurre piume. Al sol tuo nome,
Suo brando snuda, e abbatte, arde, devasta.
Senno de’ suoi corsier governa il morso;
Gloria il precede, e de’ marziali il coro
Genj l’accerchia, e dietro a lui si stanno,
45In aer librate, con perpetuo corso
Sorte, Vittoria e Fama.
Or che fia dunque, o Diva?
Onde tant’ira? e qual destin ti chiama
A trar tant’armi da straniera riva
50Su questa un dì reina, or nuda e schiava
Italia, ahi! solo all’abbominio viva,
Viva all’infamia che piangendo lava?
III.
     E depor le corone in Campidoglio,
E i re in trionfo tributarj e schiavi
55Roma già vide, e rovesciati i troni:
Re-sacerdoti or con mentite chiavi,
D’oro ingordi e di sangue, altri Neroni,
Grandeggiar mira in usurpato soglio.
Siede a destra l’Orgoglio
60Cinto di stola, e ferri e nappi accoglie
Sotto le ricche spoglie,
Vendendo il Cielo, ai popoli rapite:
Sgabello al seggio fanno e fondamento
Cataste di frementi

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65Capi cogli occhi nelle trecce involti,
E tepidi cadaveri innocenti,
Cui sospiran nel franco ampie ferite
Pel fulminar di pontificio labbro;
E misti in pianto e in sangue, atro cemento
70Calcati busti e cranj dissepolti
Fanvi; e l’Inganno di tal soglio è fabbro.
Quindi, al Solopossente
La folgore strappata,
Eran d’Orto terrore e d’Occidente,
75E si pascean di regni e di peccata.
Non più, Dio disse: e lor possa disparve.
Pur nell’Ausonia ancor egra e acciecata
Passeggian truci le adorate larve.
IV.
     Passeggian truci, e ’l dïadema e il manto
80De’ boreali Vandali ai nepoti
Vestendo, al scettro sposano la croce:
Onde il Tevere e l’Arno a te devoti,
Libertà santa Dea, cercan la foce
Sdegnosamente in suon quasi di pianto;
85E la turrita Manto
Offre asilo ai tiranni; e il bel Sebeto
Lambe i piè mansueto
Alle soggette ad Etna auree campagne,
E ricche aduna a gli oppressor le mèssi:
90Abbevera il Ticino
Ungari armenti; e le ospitali arene
Non saluta Panaro in suo cammino.
T’ode gridar oltre le sue montagne
La subalpina Donna, e l’elmo allaccia,
95E s’alza, e terge i rai nel duol dimessi;
Ma le gravano il piè sarde catene,
Onde ricade e copresi la faccia:
E le a te care un giorno
Città nettunie, or fatte
100Son di mille Dionisj empio soggiorno:

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Liguria avara contro sè combatte;
E l’inerme Leon prostrato avventa
Ne’ suoi le zampe, e la coda dibatte,
E gli ammolliti abitator spaventa.
V.
     105Deh! mira come flagellata a terra
Italia serva immobilmente giace,
«Per disperazïon fatta secura.»
Or perché turbi sua dolente рace,
E furor pazzo e improvida paura
110Le movi intorno di rapace guerra?
Piaghe immense rinserra
Nel cor profondo: a che piagar suo petto,
Forse d’invidia oggetto
Per chi suo gemer da lontan non sente?
115Ma tu, feroce Dea, non badi e passi;
E all’armi chiami, all’armi;
E al tuon de’ bronzi e al fulminar tremendo
E all’ululo guerrier perdonsi i carmi.
Cede Sabaudia, e in alto orribilmente
120Del tuo giovin Campion splende la lancia:
Tutto trema e si prostra anzi i suoi passi;
E l’aquila real fugge stridendo,
Ferita nelle penne e nella pancia.
Gallia intuona e diffonde
125Di Libertade il nome,
E mare e cielo Libertà risponde.
L’Angel di morte per le imbelli chiome
Squassa ed ostende coronata testa:
Libertà! grida alle provincie dome;
130Del Re dei folli re vendetta è questa.
VI.
     Del Re dei re! — Quindi tra il fumo e i lampi
S’involve in sen di tempestosa nube
Che occupa e offusca di Germania il suolo;
Donde, precorsa da mavorzie tube,

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135Balda rivolge e minacciosa il volo
L’aquila, e ingombra di falangi i campi;
E par che Esperia avvampi
Di foco e guerra, di ruina e morte:
Nè spezzar sue ritorte
140Osa, nè armarsi del francese usbergo.
Ma s’affaccia l’Eroe: seguonlo i prodi,
Repubblicano in fronte
Nome vantando con il sangue scritto.
Ecco d’estinti e di feriti un monte;
145Ecco i schiavi Aleman ch’offrono il tergo;
E la tricolorata alta bandiera
In man del Duce, che in feral conflitto
Rampogna, incalza, invita, e in mille modi
Passa e vola, qual Dio, di schiera in schiera.
150Pur dubbio è marte. Ei dove
Più dei cavalli l’ugna
Nel sangue pesta, e sangue innalza e piove,
E regna morte in più ostinata pugna,
Co’ suoi si scaglia, e la fortuna sfida,
155Guerriero invitto, e fra le fiamme pugna,
E vince; e Italia libertade grida.
VII.
     Del vil Giove terren l’augel battuto
Drizza all’aere natío tarpati i vanni,
E sotto il manto imperïal si cela:
160Ma il vincilor lo inceppa, e gli alemanni
Colli, che Borea eternamente gela,
Senton l’altero vertice premuto
Dal Guerrier, cui tributo
Offre, atterrita dal suo cenno e doma,
165La pontificia Roma;
Dal Guerrier che ad Esperia i lumi terge.
E falla ricca de’ tuoi puri doni,
O Libertà gran Dea,
E l’uom ritorna negli antichi dritti
170Che prepotente tirannia godea.

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In vetta all’Aventin Cesare s’erge,
Tirannic’ombra rabbuffata e fera,
E mira uscir di Libertà campioni
Popoli dal suo ardir vinti e sconfitti;
175Ond’alza il brando, e cala la visiera...
Ombra esecranda! torna
Sitibonda di soglio
Ove lo stuol degli empi re soggiorna,
Oltre Acheronte a pascerti d’orgoglio.
180Eroe nel campo, di tiran corona
In premio avesti: or altro eroe ritorna;
Vien, vede, vince, e libertà ridona.
VIII.
     Italia, Italia, con fulgenti rai
Sull’orizzonte tuo sorge l’aurora
185Annunziatrice di perpetuo sole.
Vedi come s’imporpora e s’indora
Tuo ciel nebbioso, e par che si console
De’ sacri rami dove all’ombra stai!
I desolati lai
190Non odi più di vedove dolenti,
Non d’orfani innocenti
Che gridan pane ove non è chi ’l rompa:
Ma col dito di Dio nei cori incise,
Di natura le sante
195Immutabili leggi, e dal terrore
Del dispotismo sin ad oggi infrante,
Quelle alme leggi spazïar con pompa
Liberamente ti vedrai nel seno. —
Come, non più nel civil sangue intrise,
200Promettitor scuoton le piante il fiore!
Come di mèssi il campo e il colle è pieno!
E come benedice
Il cittadin villano,
Tergendo il fronte, Libertà felice!
205Come dovizïanti all’Oceano
Fendon gl’immensi flutti onusti pini,

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Cui commercio stranier stende la mano
Sin di Cuba dagli ultimi confini!
IX.
     Ma, dell’Italia o voi genti future,
210Me vate udite, cui divino infiamma
Libero Genio e ardor santo del vero:
Di Libertà l’incorruttibil fiamma
Rifulse in Grecia sin al dì che il nero
Vapor non surse di passioni impure;
215E le mura sicure
Stettero, e l’armi del superbo Serse,
Dai liberi disperse,
Di cittadin valor fur monumento.
Ambizïon con le dorate piume,
220Sanguinosa le mani,
E di argento libidine feroce,
E molli studi, e piacer folli e vani
A Libertà cangiâr spoglia e costume.
Itale genti, se Virtù suo scudo
225Su voi non stende, Libertà vi nuoce:
Se patrio amor non vi arma d’ardimento,
Non di compre falangi, il petto ignudo;
E se furenti modi
Dal pacifico tempio
230Voi non cacciate e sacerdozie frodi,
Sarete un di alle età misero esempio..
Vi guata e freme già il tiran vicino
Dell’Istro, e anela a farne orrido scempio;
E un sol Liberator dievvi il destino.




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