Odi (Foscolo)/All'amica risanata

II
All'amica risanata

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A Luigia Pallavicini caduta da cavallo A Bonaparte liberatore


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All'amica risanata.


Qual dagli antri marini
          L’astro più caro a Venere
          Co’ rugiadosi crini
          Fra le fuggenti tenebre
          5Appare, e il suo vïaggio
          Orna col lume dell’eterno raggio.

Sorgon così tue dive
          Membra dall’egro talamo,
          E in te beltà rivive,
          10L’aurea beltate ond’ebbero
          Ristoro unico a’ mali
          Le nate a vaneggiar menti mortali.

Fiorir sul caro viso
          Veggo la rosa; tornano
          15I grandi occhi al sorriso
          Insidïando; e vegliano
          Per te in novelli pianti
          Trepide madri, e sospettose amanti.

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Le Ore che dianzi meste
          20Ministre eran de’ farmachi,
          Oggi l’indica veste,
          E i monili cui gemmano
          Effigïati Dei
          Inclito studio di scalpelli achei.

25E i candidi coturni
          E gli amuleti recano
          Onde a’ cori notturni
          Te, Dea, mirando obbliano
          I garzoni le danze,
          30Te principio d’affanni e di speranze.

O quando l’arpa adorni
          E co’ novelli numeri
          E co’ molli contorni
          Delle forme che facile
          35Bisso seconda, e intanto
          Fra il basso sospirar vola il tuo canto.

Più periglioso; o quando
          Balli disegni, e l’agile
          Corpo all’aure fidando,
          40Ignoti vezzi sfuggono
          Dai manti, e dal negletto
          Velo scomposto sul sommosso petto.

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All’agitarti, lente
          Cascan le trecce, nitide
          45Per ambrosia recente,
          Mal fide all’aureo pettine
          E alla rosea ghirlanda
          Che or con l’alma salute April ti manda.

Così ancelle d’Amore
          50A te d’intorno volano
          Invidiate l’Ore;
          Meste le Grazie mirino
          Chi la beltà fugace
          Ti membra, e il giorno dell’eterna pace.

55Mortale guidatrice
          D’oceanine vergini,
          La Parrasia pendice
          Tenea la casta Artemide,
          E fea terror di cervi
          60Lungi fischiar d’arco cidonio i nervi.

Lei predicò la fama
          Olimpia prole; pavido
          Diva il mondo la chiama,
          E le sacrò l’Elisio
          65Soglio, ed il certo têlo,
          E i monti, e il carro della luna in cielo.

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Are così a Bellona,
          Un tempo invitta amazzone,
          Die’ il vocale Elicona;
          70Ella il cimiero e l’egida
          Or contro l’Anglia avara
          E le cavalle ed il furor prepara.

E quella a cui di sacro
          Mirto te veggo cingere
          75Devota il simolacro,
          Che presiede marmoreo
          Agli arcani tuoi lari
          Ove a me sol sacerdotessa appari,

Regina fu; Citera
          80E Cipro ove perpetua
          Odora primavera
          Regnò beata, e l’isole
          Che col selvoso dorso
          Rompono agli euri e al grande Ionio il corso.

85Ebbi in quel mar la culla,
          Ivi era ignudo spirito
          Di Faon la fanciulla,
          E se il notturno zeffiro
          Blando su i flutti spira,
          90Suonano i liti un lamentar di lira.

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Ond’io, pien del nativo
          Aër sacro, su l’itala
          Grave cetra derivo
          Per te le corde eolie,
          95E avrai, divina, i voti
          Fra gl’inni miei delle insubri nipoti.

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