Viaggio sentimentale di Yorick (1813)/XXXIX
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Traduzione dall'inglese di Ugo Foscolo (1813)
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parigi
Quando giunsi all’hôtel, La Fleur mi avvisò che
il lieutenant de police aveva inchiesto di me — Qui c’entra il diavolo! dissi — ed io sapeva il
perchè; ed è tempo che lo sappiano anche i lettori. Non già ch’io nel ragguagliarli per filo di tutti i miei casi, fossi smemorato in ciò solo; ma parvemi bene di trasandarlo, perchè se l’avessi detto allora, i lettori se ne sarebbero ora forse dimenticati — e ora propriamente fa al caso.
Uscii così in furia di Londra, ch’io, non che ricordarmi nè punto nè poco che s’era in guerra col re di Francia, io anzi già da Douvre osservava col cannocchiale le alture dietro Bologna a mare, nè mi s’affacciava per anche l’idea ch’io guardava in terra nemica, nè l’idea successiva, cioè, che senza passaporto non vi si andava. Ch’io giunga a capo d’una strada, e ch’io non mi torni più savio, quest’è la più trista maledizione che mi possa mai cogliere. E come poteva io rassegnarmi a tornarmene addietro, io che per istruirmi aveva fatto allora, sto per dire, l’estremo del mio potere? Udendo dunque che il conte de *** aveva noleggiato il navicello, me gli raccomandai che m’aggiungesse alla sua comitiva; nè io gli era affatto ignoto: mosse alcuni dubbi; ma non mi disse di no — bensì che egli non poteva prolungare al di là di Calais il piacere che aveva di servirmi, perchè doveva tornarsi a Parigi per la strada di Brusselle; ma che passato Calais, arriverei senza altra opposizione a Parigi, dove nondimeno io doveva farmi degli amici, e provvedere a’ miei casi — Purch’io tocchi Parigi, monsieur le comte, gli diss’io — e andrà bene ogni cosa. M’imbarcai, nè ci pensai più.
Ma quando La Fleur mi parlò dell’inchieste del lieutenant de police — l’udirlo, e il risovvenirmene fu tutt’uno — Taceva appena La Fleur, e mi vedo in camera l’albergatore con la stessa notizia, e con l’appendice, che si domandava segnatamente il mio passaporto; e spero, conchiuse l’albergatore, che il signore l’avrà — Io? No davvero; risposi.
A questa dichiarazione il maître dell’hôtel si ritrasse da me, come da persona infetta, tre passi — e La Fleur, poveretto, mi s’accostò tre passi con la mossa d’un’anima buona che vuol accorrere al pericolo d’un disgraziato — d’allora in poi il mio cuore fu tutto suo: questo unico tratto mi svelò schiettamente la sua natura, e conobbi ch’io poteva fidarmene a occhi chiusi più che se m’avesse fedelmente servito sette anni1.
Monseigneur! gridò l’oste — ma si ripigliò e mutò stile — Se monsieur non ha passaporto, apparement avrà amici in Parigi i quali glielo potranno impetrare — No, ch’io mi sappia; e risposi come chi non se ne cura — Dunque certes, mi replicò, voi sarete albergato nella Bastille o nel Châtelet, au moins — Baje! io gli dissi; il re di Francia è una creatura d’ottimo cuore, e non vorrà far male ad anima nata — Cela n’empéche pas, mi diss’egli — non v’è da dire; domattina sarete messo nella Bastille. Ma io qui pago la pigione per tutt’un mese, gli rispos’io; e non v’è re di Francia nell’universo che mi faccia lasciare innanzi tempo il mio alloggio. La Fleur mi bisbigliò all’orecchio che nessuno poteva dirla col re di Francia.
Pardi! disse l’oste, ces messieurs anglois sont des gens très-extraordinaires! — ciò detto e giurato — andò via.
Note
- ↑ Serviam tibi septem annis — Servivit septem annis. Genes. xxix.