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chè; ed è tempo che lo sappiano anche i lettori. Non già ch’io nel ragguagliarli per filo di tutti i miei casi, fossi smemorato in ciò solo; ma parvemi bene di trasandarlo, perchè se l’avessi detto allora, i lettori se ne sarebbero ora forse dimenticati — e ora propriamente fa al caso.
Uscii così in furia di Londra, ch’io, non che ricordarmi nè punto nè poco che s’era in guerra col re di Francia, io anzi già da Douvre osservava col cannocchiale le alture dietro Bologna a mare, nè mi s’affacciava per anche l’idea ch’io guardava in terra nemica, nè l’idea successiva, cioè, che senza passaporto non vi si andava. Ch’io giunga a capo d’una strada, e ch’io non mi torni più savio, quest’è la più trista maledizione che mi possa mai cogliere. E come poteva io rassegnarmi a tornarmene addietro, io che per istruirmi aveva fatto allora, sto per dire, l’estremo del mio potere? Udendo dunque che il conte de *** aveva noleggiato il navicello, me gli raccomandai che m’aggiungesse alla sua comitiva; nè io gli era affatto ignoto: mosse alcuni dubbi; ma non mi disse di no — bensì che egli non poteva prolungare al di là di Calais il piacere che aveva di servirmi, perchè doveva tornarsi a Parigi per la strada di Brusselle; ma che passato Calais, arriverei