Verginia/Atto quinto
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ATTO QUINTO
Principe.
Ch’io ritornai a mia patria, a mio stato
Et posi fine a lo sdegno a l’affanno,
D’essere stato da donna sforzato,
Poi che di lei ho punito l’inganno
Ho nella mente mia deliberato
Che festa facci el mio populo adorno,
Et celebrisi el di del mio ritorno.
Et tu Siscalco farai preparare
Perche la festa sia lieta & serena,
Suoni con canti, & donne da danzare,
Et un convito che sia pranzo & cena.
Che d’animal d’aer, di terra, & mare
Sia con pompa regal carica & piena,
Tanto che sempre si ricordi & mostri
Per una meraviglia a tempi nostri.
Vinca di Alcinoo & Dido i cibi estremi,
Scritti dal greco, & Mantuan poeta,
Vinca in Egitto, i conviti supremi
Di Marcantonio, & Cleopatra lieta,
Di Capua, e pranzi effeminati semi
Ch’a lo invitto Annibal l’impresa vieta,
Vinca le cene prische, & le novitie,
Et vinca di Lucullo le delitie.
Cacciato, Piscator, vivaci & pronti,
El signor nostro fa cena regale,
Però bisogna cercar piani & monti,
Et del mar questo corno orientale,
Et pria che due volte el sol tramonti,
Fate haver pescagione, & caccia tale,
Che de la cena & suo cibo diverso,
Si distenda el romor per l’universo.
Caccin le Nimphe, cacciano e pastori,
Et empiasi di tele, ogni vermena,
De le profonde selve cavi fori
Le fere el foco, & taglinsi in tal cena
Lauri, abeti, faggi, & gelsi mori:
Et l’aer tutta sia di caccia piena.
Sparvier, astor, falcon faccin tal carne
Che in grembo del signor fuggin le starne.
Non scampi el vago uccel che vien di Egitto,
Non quel che mostra la sua rota al sole,
Non quel che canta di Menandro al litto,
Non chi vedova in secca arbor si duole:
Non chi ne frutti sta di Tisbe fitto,
Non chi piange ad ogn’hor sua tolta prole.
Et se si puo per far cena felice
Una Aquila, un Grifone, una phenice:
Et voi pescate di Sicilia el golpho,
Da l’antiqua velona a l’Elesponto,
Prochita & ischia, & l’isola del tolpho,
L’antique baie & tutto el mar congionto,
Alle montagne essese, onde esce el solpho,
Et duo fiumi regal peschiera e ’l tronto,
Et dove mostra l’onda piu quieta
Del pio Enea la nutrice Gaieta.
Piglin con nuovo ingegno, & meraviglie
Reti infinite con sospesi piombi,
Cephali, fraulini, spigole, & triglie,
Murene, orate, polpi, echinni & scombi,
Calamai, tunni, & ombrine vermiglie,
Sogliuole, calcinelli, ostrighe, & rombi,
Piglisi un capo d’oglio, una balena,
Et se possibil fusse una serena.
Prima che a l’Ocean s’ascondi Apollo,
Non resti in selve alcun cingial protervo,
Daino, tasso, o istrice satollo,
Lepretta, capro o vero annoso cervo,
Se ben havessi scritto intorno al collo
Non mi toccar, che a Cesar mi riservo.
Ne sien vostre arme se accadessi pigre
Contra di orsi, leon, pantera, o tigre.
Et voi presto una tavola parate,
A laqual assettar si possa Giove,
Con fiori odori & herbe delicate,
Et con ricchezze inusitate & nove
Servo.Fatto sara signor non dubitate
Che pronti siamo affar l’ultime prove.
Con ordin tal ch’el pio Principe degno
Commenderà nostra fe, nostro ingegno:
Prin.Segga ciascun per ordine alla mensa
Huomini & donne con allegra faccia,
Et tu Siscalco con prudentia immensa
Non lasciar cosa entrar che ci dispiaccia,
Ma tanto ben tutte l’hore dispensa
Che di tal cena ogni effetto ne piaccia,
Et possi esser notato questo giorno
Per veramente felice & adorno.
Vir.Sabina mia poi ch’el benigno polo,
Poi che stelle fortuna, & fato humano.
M’hanno arrichita di doppio figliuolo,
Et poi ch’el caro anello io tengo in mano,
Verso Salerno vo pigliare el volo,
Ch’el perder tempo atto è dannoso, & vano,
Ogni seruitio tuo & tuo diletto
Porterò sempre scritto in mezzo il petto.
Et per memoria mia questa cathena
Laqual ti dono, o donna pigliarai.
Sabi.O Principessa altissima & serena
Tal beneficio non mi scordo mai,
Non haver più potuto, m’è, gran pena,
Ma chi potria quanto meritato hai?
Vir.A dio non ti scusar Sabina eletta,
Dove non puoi el buon voler s’accetta.
O figliuoi belli pretiosi & chari
Acquistati da me con tanto ingegno,
Con estremo dolor, con pianti amari,
Con persecution, con tanto sdegno,
Voi sarete duo scudi, & duo ripari
A la lunga ira del signor mio degno,
Spero vostra bellezza a vostra madre
Rendera pio vostro indurato padre.
Ecco Salerno, o cugino, o ancille
Io sento ch’el signor fa gran convito
Ove saran vivande piu de mille
Ove ogni suo piacer sara sopito,
Allhora intendo scoprir mie faville
Et farli noto di cio ch’è seguito,
Et priego el ciel, fortuna, huomini, & dei
C’hoggi rendino gratie a prieghi mei.
Prin.Chi se tu donna sì pallida, & scura?
Con luci smorte afflitte adolorate?
Con chiome sparse sino a la cintura
Che son da le tue lagrime bagnate
Dì quel che vuoi, & non haver paura
Ch’io ho di tua miseria assai pietate
Chi se? chi se? perche non mi rispondi?
Et te & me lagrimando confondi?
Io ti prometto per quello immortale
Che’n cielo e ’n terra ha somma monarchia,
Che del tuo aspetto tal pieta m’assale
Ch’ogni gratia da me fatta ti sia
Se ben m’havessi offeso, ogni tuo male
Sia tolto; di, quel che tuo cor disia:
Non temer, fa ch’el pianto in te si estingua,
Che t’impedisce la voce & la lingua:
Capitolo di Virginia al Principe.
O stella pia, o mio unico sole
In cui arbitrio è, vita & morte darmi,
Io ti dirò quel mal che tanto dole :
Ma se ’l dolor la voce oppugna & tolle
Sien le lagrime in loco di parole:
Io son colei che gia come amor volle
Guarì el Re, & te chiesi in marito
Di Parthenope amato al dolce colle.
Et perch’a forza havesti consentito,
Me giovan sola accesa abbandonasti
Da ira estrema & da sdegno assalito:
Onde io volsi a Salerno i passi casti,
Et da duo Orator fu supplicato
Ch’a me tornassi, & con ira el negasti
Fu la risposta tua: gia mai tornato
Non sarò, fin che questo anel non tiene
Et un figliuol di me ingenerato.
Onde io con guance di lagrime piene
Trappassai l’Adda e ’l Pò con pronto passo
Et del Thesin le rutilanti arene
Et senza mai posar el corpo lasso
In Milano al hospitio di Sabina
Giunsi, co’l volto adolorato & basso,
Ove seppi Camilla peregrina
Amavi, ardevi, & ch’era el darti quella
Un tor da morte tua vita meschina.
Onde io sospinta dalla terza stella,
Vinsi con or con pianti, & prieghi espressi
La madre sua che Gostanza s’appella
Che me in cambio a sua figlia ponessi:
Ma prima, che l’anel tuo tanto charo
In segno del tuo amor in don chiedessi
Del qual non fusti signor mio avaro:
Ecco l’anel ch’alla mia man pervenne
Che forse lenira mio duolo amaro,
Et a me l’altra notte che poi venne
Sol per fuggire ogni amoroso impaccio
Venisti come uccel con tese penne.
Et me tremante, & piu fredda che ghiaccio,
Confortando, scaldando al fin tenesti
Non gia Camilla, ma tua sposa in braccio:
Et con tanto disio ti congiungesti
A me credendo ch’io fussi Camilla
Che in breve el ventre mio grave facesti,
Et dieci notti ad ogni tua scintilla
Esposi el corpo, & Camilla partire
Fai per fuggir tua dubbiosa favilla,
Et fusti poi costretto a dipartire.
Et io secreta in Milano aspettai
Infino al tempo del mio partorire
Ecco el tuo caro anel che dato m’hai
Tù un sol figlio con fronte serena
Chiedesti, eccone due, hor che dirai?
Ne creder più che condition terrena
Impossibile sia a quella ch’ama,
Che troppo ingegno ha l’amorosa pena:
Perdona hormai, o signor d’alta fama,
Usa misericordia, usa clementia,
A chi t’ama t’adora, invoca, & chiama.
Rivoca, annulla, tua crudel sententia,
Over senza indugiare, o poco, o molto
Fammi la vita torre in tua presentia.
Se tu tolto mi se, siemi anchor tolto
El poter mai vedere o sole, o luna,
Perche mia luna, & sol è tuo bel volto.
Ben fu crudel per me l’hora importuna
Ch’io vidi te, allhor doveva torre
Del mondo me pia morte, o pia fortuna:
Per haver te non dubitai esporre
In man del Re Alphonso la mia vita
Con patto mi facessi in fiamma porre.
Per te Barone di belta infinita
Ricusai io con animosa fronte
Per te gran stato, & bellezza inaudita
Per te passato ho d’Apennino el monte,
Per te peregrinando in humil veste,
Conversi ho gliocchi di lagrime in fronte.
Piango io, piangon quest’altre donne honeste,
Piange ogni tuo baron famoso & degno,
Muovati hormai tante lagrime meste.
Muovati el servir mio con tanto ingegno,
Muovati haver con parole leggiadre
Promesso perdonarmi ogni ira & sdegno:
Muovati e duo figliuoli, ch’al duro padre
Se sapessin parlar con pena & pianto
Supplicherien per l’infelice madre:
Muovati el volto mio pallido affranto,
La verde eta, & con fede inestinta
L’havere el volto tuo amato tanto:
Non voler questa faccia sia estinta.
Che posto fusse, con pietoso inganno,
Pur fu piu volte da tue braccia cinta.
Non voler fama di mia pena, o danno
D’incauta damigella a molto errore
E gran supplicio ogni picciolo affanno;
Per le cener del tuo pio genitore,
Per quel sommo fattor, ch’el tutto vede,
Per mio fervente & infinito amore.
Habbi signor del mio fallo mercede :
Ecco l’anello, ecco i figliuoli adorni,
Osserva a me la tua giurata fede.
Fa che nel casto letto tuo ritorni
Con teco insieme, solo un hora eletta
Poi tutto el resto affligge de miei giorni
Per sposa, o serva, o per morta m’accetta,
O per farmi morir se a la tua pace
Non son, buona, son buona a la vendetta.
A me forza è voler quel ch’a te piace,
Poi che a l’effigie tua ch’el cor m’invola
M’ha dato in preda amor cieco, & fallace:
S’altro non cerchi che mia morte sola,
Ecco al tuo ferro termin di mie pene
Offero el petto & offero la gola.
Se tu vuoi gliocchi che mia fronte tene,
Io me gli caverò; se ’l sangue vuoi,
Io stessa m’aprirò tutte le vene:
Fammi gettare in mar, se a pesci suoi
Vuoi ch’io sia cibo, o mie membra languenti
Fa stracciar da li uccelli impasti tuoi.
Et se questo non basta, in fiamme ardenti
Fammi porre & ridurre in cener pia,
Et la cener dipoi gettare a venti.
Ma pria che devorata, o arsa sia,
Aprimi el cuore innocuo, & senza vitio
Vedrai ch’el nome tuo scritto in quel fia.
Per dar di tanto amor piu certo inditio,
Et contentarti o mio terrestre dio
Ti fo di questo corpo sacrifitio.
Poi ch’una volta tua faccia veggo io
Uccidimi se sai che le tue braccia
Saran grato sepulchro al corpo mio.
Et se pur vuoi sepulchro a me si faccia
Di visitarlo, & dire infelice ossa
Requiescite in pace al men ti piacia.
Ma senza chiuder me in poca fossa
Se d’osso, & carne, & non di ferro sei
Sia da giusta pieta l’alma tua mossa,
Succurre tandem miserere mei.
Una donna al Principe.
Signor perdona accio che ti perdoni
Quel ch’aria, terra, ciel tien in concordia:
Hom.Principe tu ci dai mille cagioni
Di trasmutare in pace ogni discordia.
Don.Tutti ci butteremo inginocchioni.
Tanto che gliuserai misericordia,
Ser.Se mai fu grate nostre servitute
Rerndi a tua donna hormai pace & salute:
Cal.Disdegno che presto entra in nobil core,
Quanto è più nobil, vien piu presto meno:
Bona è l’ira d’un mal, ma nel furore
Perseverare è vitio d’error pieno;
Per quel che si confessa peccatore,
Chiama perdono, el cielo acqua el terreno;
Perdona a lei, poi che’n colpa si rende
Et humilmente a pie tuo si distende:
Che se possibil fussi che parlassi
E sta mensa esti argenti, este vivande,
Et non so loro, i circonstanti sassi
Per lei ti farien preci miserande,
Cinge col braccio hormai suo membri lassi,
Che vedi ogn’un per lei lagrime spande,
Contenta hormai basciar el volto degno
Di lei che t’ama piu che stato o regno.
Prin.Donna che con tanta arte al tuo disegno
Già venisti d’havermi per haver marito,
Et hor con inaudito estremo ingegno
Adempito hai l’impossibil partito;
Poi per te priega ogni mio baron degno,
Ogni alta donna, & popolo infinito,
Contento son che t’impetri mercede
Prego, pianto, figliuoli, amore, & fede.
Io ti perdono ogni tua colpa forte,
Io per miei riconosco e tuo figliuoli,
Io t’accetto per sposa, & per consorte,
Io pongo fine a tue lagrime & duoli,
Io vo ne le tue man giuri la corte,
Et obedisca a tuoi imperij soli,
Et per mostrarti ch’ogni sdegno e tolto
Basciarti intendo el lagrimoso volto:
Così basciare e figli grati & belli;
Fate portare una vesta regale;
Et restringete con oro e capelli
Come conviensi a Principessa tale,
Redemite sue man di ricchi anelli,
Et così e figli miei con veste equale,
Perch’io dorma con lei letto si faccia,
Ben che suo letto sarà le mie braccia.
Aggiunta è questa a le parate mense
Non tardi troppo, e non gia troppo presto,
Io prego Apollo ch’el giorno dispense
Piu de l’usato corso, e l’hor del resto
Cacci veloce, e se i destrier mai strense
A fuggir, hor li strenga, e li protesto
Che se da lui impetro tanta gratia
Mai di laudarlo fia mia voglia satia:
Non men aggrato me fia il suo fuggire
Quanto fu il suo tardar a quel Hebreo.
Sì come quel servi me anchor servire
Si degna, ogni guadagnato tropheo.
Per me, a lui io li voglio offerire
E s’io puotesse diventar Orpheo
Co’l canto mio e de la lira il suono
Il farei piu d’ogni altro saggio e buono:
Hor su Siscalco mio queste vivande
La entro aconcierai che cio a me piace
E fa li elletti mei anchor comande
Che ritrovar si debbia a tanta pace
E tu consorte mia saggia e prestante
Andiamo poi ch’el ciel qui te compiace
Di quel ch’a me non creder gia che annoglia
Anzi conformi siamo d’una voglia:
Siniscalco.
Se fa co’l tempo quieta ogni procella
E il meritato premio al fin raccoglie
Ciascun de l’opra sua, o bona, o fella
Che così da d’Iddio le giuste voglie:
Ecco la nostra Virginia bella
Dopo un lungo penar divenir moglie
Per suo ingegno, & virtu, com’ha dimostro
Del saggio accorto & bel Principe nostro:
Egli l’odiò, & hora il sacro Apollo
Di gratia prega che i corsier piu caccia,
Parli di star il delicato collo
Mill’anni e piu a nodar con le sue braccia,
Per l’avenir non creggio mai satollo
Ei troverassi della bella faccia :
Perche con voce quasi al pianger rotte
Per posar seco addimanda la notte:
Hor suso homai desagiate la mensa
Servi da ben’ al tutto accostumati:
Ch’el bisogna la robba se dispensa
Che la credenza mal sta senza i piatti
Et di voi auditori alcun non pensa
Esser a queste noce addimandati:
Et per non vi tenir a posta nostra
Ve invito tutti a cena a casa vostra:
FINIS.