Varenna e Monte di Varenna/Secolo XVI/Costumanze

Costumanze

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COSTUMANZE

Nel secolo XVI, come nel precedente, troviamo in grande uso i così detti contratti di lavoro. Il garzone o apprendista all’atto di assumere lavoro presso un artigiano fa redigere dal notaio un particolareggiato documento di reciproche obbligazioni. Ecco l’atto col quale Ottavio Festorazzi di Perledo si obbliga a recarsi a bottega presso Giovanni Pietro Inviti a Città di Castello: «Sia noto et manifestato a qualunque persona che leggerà il presente come Ottavio del qm Bertolino Festorazzi di Perlè con licenza de dona Maria sua matre, si obbliga per tenore del presente scritto di stare con mi Giov. Pietro de Inviti del qm Alessandro del loco di Perle, nella città del Castello a sua botega a esercire l’arte del veletaio per anni quattro prossimi a venire nelli quali anni quattro il detto mr. Giovanni Pietro si obliga parimenti a pascerlo et pagarli le scarpe che li bisognano in quel tempo et insegnarli l’arte del mercantore secondo l’arte sua fidelmente, et per salario delli detti anni quattro chel sia obligato et così promette il detto mr. Giovanni Pietro sotto obligatione di sè et di suoi beni presenti et futuri di dare et pagare al detto Ottavio scudi sei d’oro in oro d’Italia con ogni spesa danno et interesse che potesse patire in consegnarli.

«Con tal patto che stando il detto Ottavio ammalato, il che Dio lo guardi, per alcuno tempo, che sia obligato et così promette il detto Ottavio et detta sua madre et Pietro Arrigono di Tarelli da Vecio sotto obligatione di loro et de’ suoi beni a rifare il tempo al detto mr. Giov. Pietro et pagargli le medicine. Ancora se detto Ottavio facesse qualche furto nelle robbe e mercantie de detto mr. Giovanni Pietro ch’el sia obligato a pagar le robe che havrà tolto. Ancora che detto mr. Giovanni Pietro non possi mandare via il detto Ottavio durando li detti anni quattro, se detto Ottavio non vorrà partirsi non havendo detto mr. Giov. Pietro ligittima causa di mandarlo via, nè il detto Ottavio si possa partire di casa del detto Giov. Pietro senza sua licenza sino a tanto che non havrà finito il tempo. Ancora che durante li detti quattro anni il detto mr. Giov. Pietro sia tenuto et obligato a pagare la lavatura et conciatura de’ panni al detto Ottavio. Et in fede di questo le dette parti hanno fatto far la presente et in presentia delli infrascritti testimoni e [p. 148 modifica]cioè Battista Pizzotto del q. Mateo e Nicola de Inviti del q. Alessandro tutti doi di Perlè»1.

Altro esempio di contratto fra padrone e garzone:

«Filippo Andriano f. del q. Giov. Andrea, e Giov. Paolo Andriano suo figlio, entrambi abitanti di Corenno convengono con Orfeo Mazza f. del q. Nicola e Bartolomeo Serponti figlio di Giov. Maria entrambi di Varenna ed agenti in nome e voce di Gaspare Mazza f. del q. Giov. Pietro abitanti in Lucca:

1° che il detto Giov. Paolo sia tenuto ad abitare col suddetto Gaspare Mazza per anni 5 da ora in Lucca o altrove ovunque vada il detto Gaspare a esercitare la sua arte dei veli, in qualità di garzone e di obbedirgli e non commettere nessuna frode a danno di lui.
2° che il detto Gaspare sia tenuto ad alimentare convenientemente detto garzone durante il predetto periodo di anni cinque a sue spese e se per caso Giov. Paolo durante detto periodo fosse colpito da qualche infermità Gaspare debba a sue spese provvedere al medico e alle medicine, salvo il rimborso da dedursi dal salario alla fine del periodo convenuto.
3° Che detto Gaspare per il periodo suindicato sia tenuto a corrispondere al garzone Giov. Paolo scudi 22 d’oro in oro, coi quali Giov. Paolo è tenuto a vestirsi.
4° Che detto Gaspare, ove Giov. Paolo commetta qualche infedeltà nel periodo su indicato abbia facoltà di ripetere quanto a lui fosse stato defraudato non solo da Giov. Paolo, ma anche da Filippo suo padre. Pronotai: Cesare Tenca del qm Giov. Antonio e Giov. Antonio Tenca figlio del q. Giovanni di Varena.

Come altro esempio delle costumanze di quel secolo riproduciamo qui un caratteristico testamento di Giov. Pietro Tenca di Varenna, fatto il 6 luglio 1587:

Giovanni Antonio de Tenchis figlio del q. Andrea, abitante nel borgo di Varenna, fa testamento annullando quello precedentemente fatto in data 1° maggio 1585. Ordina che il suo cadavere sia accompagnato al sepolcro da otto sacerdoti e che si comprino in quella occasione otto candele di cera di una libbra ognuna, che ciascun prete sia degnamente pagato in suffragio dell’anima sua; che sia celebrato un officio funebre da 12 sacerdoti.

Lascia a Marta de Tenchis, sua sorella, due scudi d’oro, di cui uno le sarà dato appena dopo la sua morte, l’altro dopo un anno. Obbliga i suoi eredi a distribuire ogni anno ai poveri di Varenna quattro stara di pane di frumento e una brenta di vino, per dieci anni consecutivi dopo la morte di lui. [p. 149 modifica]

Nel caso che i suoi eredi non facciano detta elemosina, lascia ai poveri di Varenna una pezza di terra olivata e prativa sita nel territorio di Varenna, nel luogo detto ad Cescarum, confinante da una parte col lago, dall’altra con la strada pubblica, dalla terza con Don Giuseppe del Forno e dalla quarta col notaio rogante.

Dispone inoltre che i suoi eredi facciano una volta soltanto celebrare nella chiesa di San Giorgio di Varenna un trigesimo in suffragio dell’anima sua.

Lascia cinque scudi d’oro alla scuola di Santa Marta di Varenna, da consegnarsi cinque anni dopo la sua morte.

Lascia a D. Giovanni e a D. Bartolomeo Tenca nonchè a Giacomo Camino dei Salici 400 lire imperiali in tutto, da consegnarsi da parte degli eredi, a quella persona, cui fu loro concesso dal testatore.

Alla chiesa di S. Giorgio di Varenna uno staro d’olio d’oliva per illuminare il SS. Sacramento una volta tanto.

A suo figlio Cesare una pezza di terra vitata, brugata e olivata, sita nel territorio di Varenna, nel luogo detto «ad Bellotum» confinante da una parte con la strada pubblica, dalla seconda con D. Giovanni Battista Sala, dalla terza con Giov. Angelo de Venenis e dalla quarta con Matteo de Brentis e in parte con Gaspare Cella, a completa soddisfazione della dote di Caledonia de Scottis moglie di detto Cesare da lui testatore ricevuta per parte di d. Giorgio e d. Tommaso de Scottis, con l’obbligo da parte di Cesare, suo figlio, di pagare a Caterina de Tenchis, altra figlia legittima del testatore la somma di lire 850 imperiali, quale sua dote quando andrà sposa, insieme con una sottana di panno fino con velluto, un’altra veste di panno nostrano, un bacile e gli altri mobili soliti. Cesare, inoltre, quando detta Caterina sposerà, dovrà dare un banchetto, secondo la sua condizione, salvo a dare a Caterina o a sua madre Margherita lire 54 imperiali all’anno quale interesse sulle dette 850 lire fino a quando non sia passata a matrimonio, e lire cento per la scherpa (corredo nuziale). Similmente detto Cesare dovrà pagare a Caterina e ad Andrea, altro figlio del testatore 50 scudi d’oro una volta tanto, per gli alimenti, a Ludovica de Tenchis figlia sua e nipote del testatore, quando si mariterà 200 Lire. Ciò tutto sull’importo della predetta pezza di terra valutata 2450 lire imperiali, cioè lire 1000 per la dote di d. Calidonia, lire 850 per quella di d. Caterina e lire cento per la scherpa alla stessa d. Caterina, lire 100 per gli alimenti ai minori Andrea e Caterina e le restanti lire 200 per il legato costituito a favore di Ludovica figlia di Cesare.

Lascia a d. Calidonia de Scottis, moglie di Cesare suo figlio quella collana d’oro, quelle perle, quegli anelli d’oro e gli altri gioielli che essa ha.

A Margherita de Scottis sua moglie un appezzamento di terra sito in Lierna nel luogo detto ad Bollam, con facoltà di alienarlo, e il campo [p. 150 modifica]e il vignolo di Cantone sito nel territorio di Varenna nonchè una casa sita in Varenna supra stratam, il letto in cui egli giace edFonte/commento: 526 alcuni effetti di biancheria.

In tutti gli altri suoi beni nomina suoi eredi universali i suoi figli legittimi Cesare, Marsilio, Ottavio, Desio, e Andrea, e l’abiatico Bartolomeo de Tenchis figlio di Ltitio de Tenchis suo figlio, bandito dallo stato di Milano2.


Per dare un’idea dell’arredamento di una casa di contadini agiati di allora, trascriviamo qui l’inventario di tutti i mobili ed oggetti vari esistenti nella casa di Elisabetta Tenca vedova di Paolo Fonio abitante al Monte di Varenna:

In cucina.

Un tavolo di noce.

Una banca lunga.

Uno sgabello.

Un tavolino con credenzino sotto.

Due cadreghe di paglia.

Una forcina ovvero spiedo.

Una conca da latte di tenuta due boccali.

Una sedella grande, una mezzana e un’altra più piccola et frusta tutte di rame.

Piatti n. 10, tondi n. 8, scodelle n. 3 di peltro.

Cucchiai n. 12 d’ottone.

Due salarini di peltro.

Un altro scodellino di rame frusto.

Un bacile d’ottone.

Un altro bacile d’ottone.

Un cribietto d’ottone frusto.

Una cazza di rame.

Un mescoletto d’ottone.

Una mescola larga d’ottone da scremare.

Due lucerne d’ottone in forma di candelieri.

Due candelieri d’ottone.

Due candiroli piccoli di rame.

Uno scaldaletto di rame.

Un paio di branderoli.

Un maglio da fuoco.

Un mortaio di pietra.

Una caldara di tenuta di mezza brenta.

Tre lavezzi, uno grande, uno mezzano ed uno piccolo. [p. 151 modifica]

Nel loco del forno.

Un chiesuno da forno di lame di ferro.

Una catena di fuoco.

Un panero ovvero vaso di legno per fare il pane.

Una briocca.

Una soma di pali novi.

Un asse per far su il pane.

Nella canepa.

Una tina de tenuta de circa brente n. 15.

Un’altra tinella vecchia frusta.

Un altro tinello frusto.

Una botte di tenuta di brente dieci.

Un’altra bottella di brente 4 ½.

Un’altra de tenuta de brente 5.

Un bottoletto d’una brenta.

Un boletto di legno.

Un segioncello.

Un piccone.

Una zappa da bosco frusta.

Some n. 5 di pali novi.

Un segioncello mezzo cerchiato di ferro.

Due scale a mano corte.

Una padella di ferro frusta.

Un badile frusto.

Nel portico.

Una banca.

Nella camera sopra la cucina.

Una lettiera con dentro una bisaccia e un letto di piuma.

Un capezzale di piuma.

Due coperte di panno cioè una bianca segnata di colori giallo, nero e rosso, un’altra fossa, e una catalogna.

Una coperta di mezza lana.

Una cunna.

Un poco di panno circa un brazo e mezzo.

Un cassone dipinto vecchio con dentro diversi vestimenti che usano li figliuoli.

Un arco di fo, un archetto di fo piccolo.

Una lettina di noce quasi nuova.

Un materasso sopra.

Due cussini senza fodretta. [p. 152 modifica]

Una cassa nuova di noce con dentro li vestimenti cioè un senarolo de panno col bavero di velluto; un altro senarolo de panno fino negro con il bavero di velluto negro. Due para di lacci e due casacche, spalere di lana di diversi colori.

Vestimenti di mad. Isabetta.

Una sottana di panno cremisi listata di velluto negro.

Una sottana rossa listata di lavorino di seta, colorata in verde e giallo.

Diverse lettere, scritture et polize et istrumenti della casa.

Un’altra cassa ovvero cofano di pobia con dentro tovaglie n 4, due serviette e 14 tovaglioli.

Un quadro della pietà di Nostro Signore.

Un altro della gloriosa Vergine col figlio.

Un altro quadretto di Ganimede.

Un paro di sacoccie.

Un cappello di feltro negro.

Nell’altra camera sopra la cucina.

Un cofano di pobia con dentro le sue cosette di dosso di donna.

Un archetto mezzano.

Un paro de stivali.

Para n. 5 de lenzuoli.

Circa otto libre de lana.

Una banchetta di noce.

Un zampogno.

Una tenaglia.

Un quadretto dela madona.

Nella stalla.

Una vacca, un castrone, un raspo.


In un elenco di beni della famiglia Tenca troviamo una breve descrizione di una casa che può darci l’idea dell’abitazione di un benestante varennate alla fine del XVI secolo: «Una casa nella detta terra di Varenna coperta a piode con due canepe, un transito et una botega in terra con una sala et un’altra saletta con solaio et con solarono tutti sopra il suddetto transito, con una lobbia sopra la saletta et una stuffa e cucina sopra di esse canepe et con una camera sopra di una canepa e sotto la cucina et altre tre camere sopra di essa cucina, alla qual tutta casa coherentia da una parte li heredi di Eustachio Maza et in parte Bernardo Calvasina, et dalle altre parti la piazza del comune di Varena et contrada publica».

Per far conoscere il valore degli stabili in questo secolo, accenneremo alla vendita di una casa fatta nel 1598. In questo anno e [p. 153 modifica]precisamente al 27 agosto Angelica Airoldis figlia del q. Francesco e vedova di Bernardo Serponti abitante in Varenna vende a Francesco De Brentis figlio del q. Pietro Martino di Varenna una casa coperta da piode con Una piccola via di Varenna (Fot. Adamoli)canepa e solaio sita nel borgo sudetto pel prezzo di lire 170 imperiali» e che confina da una parte col lago, da un’altra coi beni degli eredi del qm Bernardo Serponti suo marito, da un’altra con quelli di Nicola Campioni e in fine con la strada3. [p. 154 modifica]

Riguardo alle professioni esercitale dagli abitanti ci limiteremo ad accennare che molti espatriati di Perledo facevano il magnano. Erano magnani i Fumeo, i Pomo, i Fertorazzi, i Manzoni, i Cariboni, i Mazzi e gli Ongania.


Interessante è pure il sapere quali relazioni intercedessero tra il padrone ed il massaro nei contratti agricoli; riproduciamo perciò il seguente strumento notarile che dà anche un’idea delle condizioni economiche del paese nel secolo XVI: «Il nobile signore Pietro Andrea de Schenis f. q. nob. Antonio, abitante nel borgo di Bellano investe a titolo di affitto Stefanino de Cariboni f. del q. Lorenzo abitante a Reulo di una casa terranea in Olivedo territorii Vetii cui coheret ab una parte strada ab alia senterum et ab alia d. Laurentii Serponti, item de petia una terrae con i seguenti patti: Prima che il detto Stefanino massaro sia tenuto a fare le refessole che bisognano in detti luoghi della sorte e nel modo che vorrà il detto sig. Pier Andrea locature et ingrassarle e questo a spese di detto massaro facendole longhe e larghe e profonde secondo che gli dirà esso signor locatore, ancora che andassero alla longa come se bisognasse distendere alla longa una vite e metterla sotto tutta; che detto massaro parimenti sia tenuto cavarli ben tre volte l’anno cioè a San Martino, al principio d’aprile e l’altra l’estate nel tempo che sia più opportuno; che detto massaro non possa tenere alcune bestie salvo che del padrone, anzi non possa tenerne de sue proprie salvo che sei pecore e non più, che non lasci andare a pascolare bestie alcune in essi beni da alcun tempo, sotto pena d’un reale per volta e per bestia, d’essere applicato per la metà a l’accensatore et l’altra al patrone.

Che sia tenuto detto massaro haver finito a calende di marzo di ciascun anno di podar et ben piantar, ligar et ingrassar le dette viti; che detto massaro non possi andare a opera a lavorar d’alcuni altri fuorchè a detto sig. Pietro Andrea havendone di bisogno lui per servizio d’essi beni et d’altri beni ancora o altri servizi pagandolo però secondo il solito de lavoranti. Che detto massaro sia tenuto a far li fossati nelli beni di detto signor Pietro Andrea et nel modo che a esso parerà pagandoli a raggion d’un soldo il brazo e ancora in essi mettergli et piantarli et ingrassarli le viti et elevarli e della sorte de viti che a esso patrone parerà et di più che sia tenuto a redurle a perfettione. Che detto massaro non possi vendere nè feno nè dell’altro et se si troverà che ne habbi venduto che sia punito in la pena de soldi dieci per gerlo et mezo scudo per gerlo del feno da essere applicata la metà all’accusatore et l’altra metà al detto patrone. Che detto massaro non possi tener altri terreni da altre persone durante la presente locatione sotto pena de nullare d’essa locazione. Che al tempo delle raccolte detto massaro sia tenuto pagare detto suo patrone per le subventioni che gli havrà fatto per l’anno compitamente et che se avanzerà robba di più a detto massaro [p. 155 modifica]la qual voglia vendere, ch’el sia tenuto a darlo a detto signor Pietro Andrea al prezzo che havrà, nè li possa vendere ad altri volendola lui. Che detto Pietro Andrea sia tenuto a dare ogni anno al detto massaro durante la presente locazione cento pali»4.

Nel secolo XVI tutte le relazioni d’interesse che intercedevano tra due persone, anche le più insignificanti, erano fatte per atto notarile.

Nei contratti di nozze erano segnati capo per capo tutti gli oggetti di vestiario e di biancheria, che la sposa portava con sè come dote.

L’atto del 20 gennaio 1504 del notaio Matti Tondelli Raffaele ci dà appunto l’elenco di tali oggetti portati in dote da una sposa di media condizione. Caterina de Fumeo maritata a Giovanni de Forno di Bologna, monte di Varenna.

Essa ebbe in dote L. 500 imperiali delle quali 125 in vestiti e cioè:

Una sottana di panno turchino fina listata di vellutu negro L. 57
Una sottana di saia drapata verde L. 15 s. 10
Una sottana di panno rosso listata di saia verde » 10
Una soca verde frusta » 2 s. 10
Un paio di lenzuoli de brazza 20 tele » 12
Un paio de cussini con le foderete nove » 3
Camicie n. 4 » 8
Un sugaio di tela alto, un altro di tela stretto » 3
Scosali numero 4 » 6
Coletti numero 5 » 4
Un sugaio di bambasa usato » 1 s. 10
Calzette di saia paie tre
Coralli in tre collanette tra quali una è segnata da bottoni d’argento lavorati » 12


PESTE

Nel secolo XVI abbiamo memoria di tre grandi pestilenze susseguitesi a breve distanza: la prima nel 1518 la seconda nel 1521 e la terza nel 1523.

Note

  1. Archivio Notarile Milano. Not. Matti Tondelli Raffaele. 2° Pacco. Atto 2 luglio 1571.
  2. A. S. M. - Finanze - Confische - Tenca - 2800.
  3. Arch. Not. Milano. Notaio de Matti Tondelli Raffaele, 20 maggio 1577
  4. Notai incerti del 1400 n. 525.