Una notte di Dante/Canto terzo

Canto terzo

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Canto terzo.

Era già ’l carro della notte al punto
     Che l’ore fosche in duo parte ugualmente,
     E l’astro che le inalba al sommo giunto,
Quando il poeta sollevò la mente
     5Gravata, e volse nubiloso il guardo,
     Qual chi di buio loco esca repente.
Ed ecco passeggiar pensoso e tardo
     A lui dinanzi un cavaliero armato
     Di statura e di membra alto e gagliardo.
10Però lungi un destriero affaticato,
     Con le redini sciolte, la digiuna
     Bocca movea pel rugiadoso prato.
Levava il cavalier gli occhi alla bruna
     Muraglia venerabile che a stento
     15Ridea del pieno lume della luna.

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A quando a quando il piè sostava, intento
     Ad ascoltar del solitario e fioco
     Passere della torre alta il lamento.
Com’ebbe errato in cotal guisa un poco
     20Vide che l’altro i lenti passi sui
     Con lo sguardo seguia di loco in loco.
Allor, traendo riverente a lui,
     Signor, gli disse, benchè fatto io degno
     A vederti da presso unqua non fui,
25Tu se’ certo il cantor del trino regno,
     Tu lo spirto magnanimo e sovrano
     Cui, quasi cervo a puro fonte, io vegno.
Castruccio mi son io che, il suol toscano
     Varcato e ’l giogo d’Appennin, cercando
     30Per occulti consigli a mano a mano
Tutti i miglior di nostra parte, quando
     Testè in Agobbio da Bosone appresi
     Che ricovrarti a questo venerando
Ermo ti piacque, il sacro monte ascesi,
     35E per lo patrio amor prego mi sieno
     In te labbia ed orecchie al par cortesi.
Dante, che al nome di colui che il freno
     Regge di Lucca, e vincitor possiede
     Fra Serchio e Magra ’l monte ed il Tirreno,
40Surto era già maravigliando in piede,
     Rispose: O duce, in te di forti e chiare
     Opre è riposta omai tutta mia fede.
E, sì dicendo, parvesi avvivare
     D’una gioia simile a debil raggio
     45Che fuor da rotti nugoli traspare.
Castruccio a lui subitamente: O saggio,
     E tu dammi virtù, dammi possanza,
     Chè del pari è mestier senno e coraggio.
E ch’altro a noi, fuor che noi stessi, avanza?
     50Quale oggimai nell’alemanno aiuto
     E in due mal fermi cesari speranza 1,
I quai, mentre ciascun del combattuto

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     Dïadema spogliar l’altro sol cura,
     Fan d’Italia infelice ambi rifiuto?
55Dante allor: Nostra colpa, e non ventura,
     La tanto lacrimata alba allontana
     Di questa notte dolorosa e scura.
E qual dà pegno all’anima germana
     Questa che sotto al suo vessil s’accoglie
     60Gente discorde, ambizïosa e vana?
Malvagi son le cui rapaci voglie
     Di patria carità velo si fenno,
     Poma corrotte sotto verdi foglie;
O stolti, che si aggirano ad un cenno,
     65Solo a levar tumulto e a creder presti
     Menzogna il vero, e tradimento il senno.
Da questi la vergogna, il mal da questi
     Contaminati germi si produce,
     Nè degno è ch’altri a noi soccorso appresti.
70Ahi che al vero il tuo dir, soggiunse il duce,
     Consuona tal che nulla altra cagione
     Così peregrinando mi conduce!
Sappi che, poichè a me lunga stagione
     Svelate d’ogni danno ebbe le fonti
     75Là dove il dritto tuo veder le pone,
Alti disegni io fra me volsi, e conti
     Quelli poi feci a’ duo maggior Lombardi
     Lo Scaligero Cane e il gran Visconti 2.
Piaccion gagliarde imprese a cor gagliardi:
     80Onde que’ prodi non mi fur di loro
     Consentimento nè dell’opra tardi.
Per mutua fede si legar costoro
     Celatamente, e a me giuraron patto
     Di bellicose genti e di tesoro.
85Poi ciascun d’essi ogni pensiero, ogni atto
     E quella che il poter, l’ingegno e l’arte
     Somma ad entrambi autoritade han fatto

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Tutta converse in ricompor le sparse
     Voglie e quetar l’invide gare e gli odi
     90Fra l’altre signorie di nostra parte:
E quelle, forti de’ ristretti nodi,
     Quasi a ceppo comun ramose braccia,
     A sè congiunse per diversi modi.
Sebben fortuna ad amendue me faccia
     95Ancor secondo di possanza e gloria,
     Nè l’ala a simil vol ben si confaccia,
Pur la recente di quel dì memoria,
     Quando per me Montecatin sentio,
     Tanto grido levarsi di vittoria,
100Merito e grazia m’acquistò tal ch’io
     Quanto per loro oprar là si dispose,
     Fede ho qua giù di conseguir pel mio.
Come verrà (questo ad ogni uom s’ascose,
     Ed or tu, per altezza d’intelletto,
     105Quarto sarai nelle segrete cose),
Come verrà che all’arduo mio concetto
     Io giunga e veggia di cotal semenza
     Tempo a cogliere omai quel che m’aspetto,
Subitamente e fuor d’ogni credenza
     110Muoverò l’arme impetuoso, e mia
     Sarà prima Pistoia e poi Fiorenza.
Segnale a Cane ed a Matteo ciò fia:
     Allor contra colui, di guerra esperto
     Men che d’ogni arte frodolente e ria,
115Contra il guelfo maggior, contra Roberto 3,
     Tutti, in un punto, di ciascun paese
     Trarrem precipitosi a viso aperto.
Segno a cotante e non pensate offese
     Mal starà fermo quel superbo in campo,
     120Cui l’odio occulto si farà palese.
Che se muova Filippo indi al suo campo... 4
     Dante racceso negli affetti suoi,
     Qui fia cesare, disse, a fargli inciampo.

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Cesare? or quale? a lui Castruccio; e poi:
     125No, l’un l’altro fra lor struggansi intanto;
     A noi guardia fia l’alpe, e all’alpe noi.
Non sì tosto ebbe detto che del santo
     Ostel s’aperse lentamente il fosco
     Uscio, donde fuor venne in sacro manto
130Un che disse: Fratei, pace sia vosco.
     Poi mosse ad una croce, ivi sorgente
     In su l’entrar del tortuoso bosco.
Allor que’ duo, già vinti da un’ ardente
     Brama di ragionar libero e chiaro,
     135Pieni amendue d’alto pensier la mente,
Pel selvaggio cammin si dilungaro.

Note

  1. Federico d’Austria e Ludovico di Baviera
  2. Can della Scala, signore di Verona, e Matteo Visconti detto Il Grande, signore di Milano, ambedue ghibellini.
  3. Re di Napoli.
  4. Re di Francia, fautore dei guelfi.