Pagina:Fiore di classiche poesie italiane ad uso della gioventù, volume II, Milano, Guigoni, 1867.djvu/362

A quando a quando il piè sostava, intento
     Ad ascoltar del solitario e fioco
     Passere della torre alta il lamento.
Com’ebbe errato in cotal guisa un poco
     20Vide che l’altro i lenti passi sui
     Con lo sguardo seguia di loco in loco.
Allor, traendo riverente a lui,
     Signor, gli disse, benchè fatto io degno
     A vederti da presso unqua non fui,
25Tu se’ certo il cantor del trino regno,
     Tu lo spirto magnanimo e sovrano
     Cui, quasi cervo a puro fonte, io vegno.
Castruccio mi son io che, il suol toscano
     Varcato e ’l giogo d’Appennin, cercando
     30Per occulti consigli a mano a mano
Tutti i miglior di nostra parte, quando
     Testè in Agobbio da Bosone appresi
     Che ricovrarti a questo venerando
Ermo ti piacque, il sacro monte ascesi,
     35E per lo patrio amor prego mi sieno
     In te labbia ed orecchie al par cortesi.
Dante, che al nome di colui che il freno
     Regge di Lucca, e vincitor possiede
     Fra Serchio e Magra ’l monte ed il Tirreno,
40Surto era già maravigliando in piede,
     Rispose: O duce, in te di forti e chiare
     Opre è riposta omai tutta mia fede.
E, sì dicendo, parvesi avvivare
     D’una gioia simile a debil raggio
     45Che fuor da rotti nugoli traspare.
Castruccio a lui subitamente: O saggio,
     E tu dammi virtù, dammi possanza,
     Chè del pari è mestier senno e coraggio.
E ch’altro a noi, fuor che noi stessi, avanza?
     50Quale oggimai nell’alemanno aiuto
     E in due mal fermi cesari speranza 1,
I quai, mentre ciascun del combattuto

  1. Federico d’Austria e Ludovico di Baviera