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Quel tristo avanzo del furor nimico
Narrommi le vedute atroci cose
Con duol di padre e con pietà d’amico.
235Qual chi a dura novella il cor dispose
Pur sente innanzi alla risposta un gelo,
Io del fanciul l’inchiesi; ei non rispose.
Allor vid’io, quasi al cader d’un velo,
Per me il mondo una selva orrida e sola,
240E volsi l’alma spaventata al cielo.
Qui l’affannoso duol nodo a la gola
Fe’ del monaco sì che muta indietro
Gli tornò fra i singulti la parola.
Una voce in quel punto a lento metro
245Laude intonò nel vicin tempio a Dio,
E più voci le tennero poi dietro.
Egli, a Dante con man dicendo addio,
Com’uom, se nova e maggior cura il tocchi,
Tacito e ratto quindi si partio.
250Pietosamente seguitò con gli occhi
Dante il misero veglio; indi alle braccia
Facendosi puntel d’ambe i ginocchi
Chiuse nel vano della man la faccia.
Canto terzo.
Era già ’l carro della notte al punto
Che l’ore fosche in duo parte ugualmente,
E l’astro che le inalba al sommo giunto,
Quando il poeta sollevò la mente
5Gravata, e volse nubiloso il guardo,
Qual chi di buio loco esca repente.
Ed ecco passeggiar pensoso e tardo
A lui dinanzi un cavaliero armato
Di statura e di membra alto e gagliardo.
10Però lungi un destriero affaticato,
Con le redini sciolte, la digiuna
Bocca movea pel rugiadoso prato.
Levava il cavalier gli occhi alla bruna
Muraglia venerabile che a stento
15Ridea del pieno lume della luna.