Trezzo e il suo castello/VIII
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Capitolo VIII.
Immediato successore di Vercellino fu il consigliere Guido Antonio Arcimboldo, che ebbe ad un tempo l’incarico del Commissariato nella terra di Trezzo con la personale provisione di 40 fiorini al mese. Tuttavia, nel novembre del 1487, il castello fu affidato al consigliere ducale Giacomo Pusterla, munito di istruzioni conformi a un dipresso alle precedenti che già conosciamo.
Il duca poi (27 d’aprile del 1488) inviava una circolare ai castellani di Soncino, di Cassano, di Caravaggio, di Monza e di Trezzo, avvertendoli della prossima venuta nei rispettivi castelli del duca di Ferrara. Egli ingiungeva loro di ammettervi liberamente quell’alto personaggio con tutto il suo séguito, preparandogli il più onorevole alloggio pel caso che vi si volesse tratenere una notte, e quelle altre buone dimostrazioni che gli si addicevano sì per la dignità, come per la benevolenza ed affinità sua con la casa Sforzesca. Cosi pure nel luglio del 1489 il castellano di Trezzo riceveva ordine di accogliere Pietro Alamanni oratore fiorentino con quattro di lui compagni e di mostrargli le cose più notabili della rôcca senza tuttavia lasciar traspirare ad alcuno che l’Alamanni fosse l’ambasciatore fiorentino1.
Per speciali riguardi poi, che il duca tace, deliberò (17 di genajo del 1490) di rimovere dalla castellania della nostra rôcca il Pusterla, trasferendolo al governo del castello di Pavia, e di surrogargli nel toltogli officio Guido Antonio Arcimboldo, arcivescovo di Milano, allora prefetto della rôcca di Pavia, e già stato altra volta al commando di quel castello. L’Arcimboldo poco stante ottenne licenza di potersi allontanare a suo beneplacito dalla fortezza per recarsi dal principe, lasciando ogni volta in proprio luogo uno de’ suoi nipoti2. Gli si assegnarono allora come a castellano quaranta paghe, metà da balestrieri e metà da pavesari, comprese due morte da dividersi a piacere tra quei compagni ch’ei si fosse eletto in luogo di quattro affini, soliti tenersi presso di sè dai predecessori di lui. Tra le dette paghe era però obligatorio che vi fossero due falegnami, un fabro-ferrajo, un maestro di balestre, un bombardiere ed uno spezza-pietre, che si dividevano tra loro altre due paghe morte.
Soddisfatto il duca dei fedeli e diligenti servigi già da lungo tempo prestatigli dal nobile Giovanni Ambrogio Airoldi da Robiate, come castellano della rocchetta di S. Maria sopra Trezzo, lo confermò (27 di genajo, 1495) in quell’officio a tempo indeterminato con tutti li onori e vantaggi inerenti. Altra simile conferma impartiva il duca nel medesimo giorno a Tomaso Crivelli come prefetto delle Torrette di Trezzo, massime perla sincera fede di lui verso il principe Giovanni Galeazzo poc’anzi defunto. Il 3 del prossimo febrajo il duca creava per la terza volta prefetto della rôcca di Trezzo il consigliere e arcivescovo Guid’Antonio Arcimboldo3.
Morto Guido nel 1497 Lodovico il Moro per dimostrare ai figli di lui la continuazione del suo affetto, li confermò tutti e tre nella carica di castellani di Trezzo. Determinò tuttavia che vi dovesse risedere uno solo di loro, cioè Filippo, giovine che per l’età non aveva, a detta del principe stesso, l’esperienza richiesta per tale officio. Per supplire a questa insufficienza, e ad un tempo assicurar meglio il vantaggio dello Stato, il duca posegli a lato una persona fidata ed esperta, incaricata di dividere con lui le cure della custodia. Fu questi un tal Rampino che, con istruzioni del 24 di novembre, venne spedito al castello perchè vi alloggiasse insieme con alcuni provisionati i quali con altri sotto il commando di Filippo ascendevano a venticinque persone.
Il primo di genajo moriva la duchessa Beatrice d’Este, e Lodovico suo marito ad onorarne la memoria donava pallj di drappo d’oro in cremisino a tutte le città e ai principali luoghi del suo ducato; e, fra li altri, a Caravaggio, a Treviglio, a Pandino, a Vimercate ed a Trezzo.
Nel febrajo dell’anno successivo il commissario ducale sovra le genti d’arme, Lorenzo Mozanica, mise in possesso della rôcca di Trezzo come nuovo castellano, Cristoforo da Calabria4.
Nel marzo insorse una contesa per ragione di confini tra la Corte di Milano e la Signoria Veneta. I figli di Pierino da Villa sudditi della Signoria diedero principio all’edificazione di un molino nell’Adda di fronte ad Imbersago. Ciò fu giudicato pregiudicevole all’interesse dello Stato di Milano, perchè, secondo i capitoli tra i due potentati confinanti, tutto il letto del fiume apparteneva al ducato. Uscirono quindi dalla cancelleria milanese ripetuti ordini al castellano di Trezzo, affinchè con tutta diligenza assumesse informazioni intorno al vero stato delle cose.
Impariamo pure da una lettera di Bartolomeo Calco (2 di marzo del 1499) al nostro castellano che Caterina, vedova di Tomaso Crivello castellano delle Torrette, desiderava d’essere esonerata dall’officio, sì per non poter ella ben soddisfare al bisogno della fortezza, sì ancora perchè quel soggiorno non le tornava conveniente. Fu perciò che il medesimo Calco ordinò quattro giorni dopo a Cristoforo di Calabria di mandar colà alcuni suoi compagni ad assumere temporariamente la guardia del forte in sino alla nomina di altro apposito castellano.
Cristoforo eseguì il 13 le superiori prescrizioni. Indi il duca designò a castellano delle Torrette un Andrea da Lugo, il quale tosto il dì appresso mandò colà suo figlio Giacomo Maria a vedere il propizio alloggiamento.
Già fin dal tempo che era governatore del castello Guid’Antonio Arcimboldo, vi era stato tradutto Galeotto del Carretto prigione del conte di Cajazzo, a condizione che, ad ogni richiesta del conte stesso, gli si dovesse riconsegnare. Fu nel marzo di quest’anno che il Cajazzo deliberò di estrarne quel prigioniero, e perciò vediamo il duca Lodovico con suo autografo del giorno 5, ordinare al nostro castellano di consegnare Galeotto nelle mani di quel qualsiasi messo che il conte a tal fine invierebbe. Sul cadere del maggio (29) poi, trattandosi degli sponsali della figlia del castellano, il duca gli permise d’introdurre nella fortezza dieci persone.
Il consigliere ducale Nicolò ed i fratelli Arcimboldo avevano vicino al castello due peschiere, e per l’incommodo del tenerle in assetto ricevevano un emolumento dai mercanti, soliti condurre legnami pel fiume, compenso in certa guisa delle rotture che questi facevano. Parve di questi giorni che il castellano volesse convertire in proprio uso un tal ricavo: il che diede occasione ai suddetti di far reclami presso la cancelleria ducale, donde uscì un rescritto al castellano in favore dei querelanti5.
Ludovico XII re di Francia intimò la guerra al duca per le pretese dell’ava sua Valentina, levò dalla fortezza di Trezzo il detto Cristoforo, costituendolo ajutante in quella di Milano, e in di lui vece vi spedì Ludovico Visconti figlio adottivo di Vitaliano Borromeo.
In questi difficili tempi essendo rinate, come è noto, anche le scandalose gare dei guelfi e dei ghibellini, Lodovico il Moro nominò Commissario del Monte di Brianza, di Trezzo, della Valsassina e di Lecco il suo secretario Enea Crivelli, con autorità di commandare e disporre tutto che ridondasse a beneficio dello Stato, intimando ai sudditi di prestargli obedienza come al duca stesso6.
Nove anni dopo, cioè nel 1509, i Francesi, passati da prima per la via di Brivio nella valle di S. Martino che affatto disertarono, s’impadronirono anche del nostro castello. Di qui uscendo (4 di agosto del 1512), incendiarono la terra di Levate, continuando il dì successivo le loro scorrerie e depredazioni nel territorio bergamasco.
Il Capitano di Giustizia d’i Bergamo, con cinquanta fanti, fece prigioniero (22 di marzo) il conte Trusardo Caleppio, secondo di questo nome; e conduttolo in cappella dove erano circa venti altri cittadini, lo consegnò al castellano. Là fu tenuto fino al 7 di giugno, nel qual giorno da cinquanta uomini d’armi e 300 fanti per ordine del generale di Normandia fu tradutto a Trezzo e di là in Francia.
L’anno successivo (1513) fu non meno fecondo di avvenimenti guerreschi. Nel principio cessate le armi da ogni parte, perchè nè i Veneziani molestavano altri, nè alcuno si moveva contro di loro, il vicerè di Napoli Raimondo da Cardona venuto con tre mila fanti a campo al nostro castello, lo ottenne con patto che se ne partissero salvi quelli che vi erano dentro.
Allora i castellani delle fortezze lombarde, e però anche della nostra, solevano imporre balzelli ed angariare straordinariamente i loro suggetti. Ce lo insegnano i documenti dell’epoca, e massime, tra li altri, un discorso degli ambasciatori milanesi spediti nel 1516 a Francesco I.° re di Francia e nostro duca.
Inteso Marco Antonio Colonna in appresso ad opporsi al guascone Lautrec, pigliò il cammino del castello di Pizzighettone, dove giunto ed esaminata la rôcca della Macastorna, vi fece erigere validi bastioni, e così di poi al villaggio di Camairago, e lungo la riva dell’Adda fino al nostro castello.
Note
- ↑ V. lettera ducale del 28 di luglio data in Cusago.
- ↑ V. lettera ducale data in Vigevano il 26 di giugno.
- ↑ Le espressioni dell’atto di nomina in latino sono molto onorevoli per l’Arcimboldo, e il preambolo che si scosta notabilmente dai consueti in simili casi, ci pare degno d’essere riportato per i principe amministrativi a cui accenna. Eccone la traduzione. «Benchè sembri talora determinazione imprudente l’affidare ad un solo più impieghi e diversi di grandissima importanza, perchè ciascun affare vien trattato più agevolmente e con più sicurezza da apposita persona, e la prudenza di un solo non suol essere capace di molte cose; tuttavia noi sempre giudicammo, e pure adesso giudichiamo, che più ci convenga, ogni qual volta le cose possono eseguirsi in varii tempi, che siano amministrate e trattate da tal persona la quale, per avere già sostenuto altissimi offici, dimostri di possedere la solerzia e la prudenza di molti; anzichè impiegarvi li ingegni e i consigli di parecchi che bisogna sieno eguali per fede, diligenza ed impegno, e abbiano un’unica e solida prudenza; vedendo noi, che non solo molte cose possono essere rette assai acconciamente e vantaggiosamente da un solo uomo, ma che un solo moderatore può altresì abbracciarne e governarne ottimamente moltissime e grandissime ed anche a un tempo solo. Conoscendo adunque, non per congettura, ma per esperienza, essere il reverendo Guid’Antonio Arcimboldo arcivescovo di Milano e nostro consigliere carissimo largamente fornito di tutte quelle doti che si possono desiderare in più uomini, non potendo trovarsi in alcuno altro maggior fede, una più esatta diligenza, un più ardente amore, una più perfetta prudenza, pensammo dovere senz’altro prepor (sebbene sostenga altri grandissimi offici), a quegli affari che, contenendo il nerbo del nostro Stato, vogliono perciò essere trattati e curati da un uomo solo e della tempra di cui conosciamo essere il signor arcivescovo, nel quale confidiamo come in noi stessi. A tal classe di affari appartenendo il governo della rôcca di Trezzo, noi colla presente lo nominiamo castellano, ecc. ecc.».
- ↑ Così da lettera ducale (3 di febrajo del 1498) a Rampino prefetto della fanteria nel castello di Trezzo; e da un’altra colla medesima data ai castellani fratelli Arcimboldo.
- ↑ V. lettera di B. Calco del 25 di giugno, 1499.
- ↑ V. lettera ducale del 4 di febrajo, 1500.