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Nove anni dopo, cioè nel 1509, i Francesi, passati da prima per la via di Brivio nella valle di S. Martino che affatto disertarono, s’impadronirono anche del nostro castello. Di qui uscendo (4 di agosto del 1512), incendiarono la terra di Levate, continuando il dì successivo le loro scorrerie e depredazioni nel territorio bergamasco.

Il Capitano di Giustizia d’i Bergamo, con cinquanta fanti, fece prigioniero (22 di marzo) il conte Trusardo Caleppio, secondo di questo nome; e conduttolo in cappella dove erano circa venti altri cittadini, lo consegnò al castellano. Là fu tenuto fino al 7 di giugno, nel qual giorno da cinquanta uomini d’armi e 300 fanti per ordine del generale di Normandia fu tradutto a Trezzo e di là in Francia.

L’anno successivo (1513) fu non meno fecondo di avvenimenti guerreschi. Nel principio cessate le armi da ogni parte, perchè nè i Veneziani molestavano altri, nè alcuno si moveva contro di loro, il vicerè di Napoli Raimondo da Cardona venuto con tre mila fanti a campo al nostro castello, lo ottenne con patto che se ne partissero salvi quelli che vi erano dentro.

Allora i castellani delle fortezze lombarde, e però anche della nostra, solevano imporre balzelli ed angariare straordinariamente i loro suggetti. Ce lo insegnano i documenti dell’epoca, e massime, tra li altri, un discorso degli ambasciatori milanesi spediti nel 1516 a Francesco I.° re di Francia e nostro duca.