Trattato di architettura civile e militare I/Trattato/Libro 4/Capo 1

Trattato - Libro 4 - Capo 1

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CAPO I.

Parti esteriori dei templi.

Perchè la notizia delle parti, come già è detto, è necessaria alla cognizione del tutto, è conveniente e necessario dividere il tempio, di cui al presente è da parlare, in tre parti integrali, cioè esteriori, interiori e medie. Le esteriori sono di quattro specie, cioè vestibolo, portico, poggio e ante. Ma poichè, come dimostra Aristotile nel secondo della sua Posteriora, e nel secondo dell’Anima, e nella Metafisica1, e Cicerone in primo degli Offizi2 la sua sentenza seguendo, il principio di ciascuna cognizione è la definizione della cosa di cui si cerca l’intelligenza, per la quale definizione si dichiarerà la essenza e natura del definito: bisogna cominciare dalla definizione il parlare, acciocchè si possa sapere e intendere di quello che si disputa o tratta. È da sapere adunque che il vestibolo è un semplice tegumento e ridotto innanzi alle principali porte con due o quattro colonne, o veramente muri e finestre con archi tirati, o veramente volte, la cui altezza debba seguire quella del primo cinto della cella; ma la lunghezza sua può essere a beneplacito dell’artefice, salva però la debita apparenza; la larghezza sua piglia proporzione dalla lunghezza, perchè debbe essere i tre quarti della lunghezza, cioè in proporzione subsesquitertia.

Il portico è un ornamento di colonne con tetto o coprimento innanzi alle principali porte senza pareti laterali di muro: il quale è di due [p. 219 modifica]differenze, cioè semplice e doppio. Il portico semplice ha una sola serie di colonne. Il portico doppio ha due ordini di colonne, avvegnachè ambedue ricerchino negli angoli della faccia del tempio a destra e a sinistra due mezze colonne quadre. E questi ordini di colonne devono essere di sei colonne per ciascuno, più o meno secondo la discrezione dell’architetto. La profondità dei quali similmente segue quella del primo recinto della cella, come di quella del portico fu detto: ma la longitudine sua si riserva all’intelligenza e discrezione dell’architetto, perocchè lo spazio mezzo infra le colonne debba esser tale che l’architrave al pondo possa resistere; ma quando questo non ostasse, il detto spazio può e debbe essere un diametro d’esse colonne e mezzo, due, due e mezzo, insino a tre. È da sapere che per la longitudine non dobbiamo qui intendere la più lunga dimensione ovvero maggiore, come molti imperiti esistimano, ma quella dimensione che per retta linea si conduce alla porta: e così la larghezza è la dimensione trasversa, cioè quella intersecante ad angolo retto la latitudine del portico. Segue in tre varii modi la lunghezza sua, perocchè la prima proporzione sia alla longitutudine dupla: la seconda superbipartienstertia: e la terza sesquialtera, la quale i Greci emiolios la chiamano. E ciascuna delle predette è approvata per ragioni ed esperienza3.

L’Ante idest tempio anteposto è una deambulazione ovvero spazio infra le colonne e la parete della cella, il quale tutto il tempio circonda, di cui la planizie a quella del tempio debba corrispondere4: sicchè se il tempio fusse in piano, ovvero elevato nella sua planizie o pavimento, lo Ante similmente debba essere in piano o elevato: e questo può in quattro forme esser variato. La prima è semplice secondo la forma dichiarata. E la seconda facendo un parapetto alto piedi tre incirca con [p. 220 modifica]i debiti recinti, base e corone, e sopra questo poi posando le sue colonne. La terza è facendo che le colonne sopra le stereobate si posassero, e queste stereobate, se lo Ante in piano fusse, devono essere semplici: se fusse elevato in alto si deve fare un recinto della medesima altezza della stereobata, a guisa di poggio. La quarta e ultima, facendo l’Ante con le colonne senza le stereobate: e dopo questo murando lo spazio ch’è infra l’una e l’altra colonna, lasciando una debita e proporzionata finestra per ciascuno spazio: l’altezza di questo Ante è eguale a quella del primo recinto del tempio: la larghezza sua con la lunghezza è in proporzione superbipartiens, cioè le tre quinte.

Il poggio è una deambulazione ovvero spazio tutto il tempio circondante senza alcuna colonna, da una banda del quale viene la parete e l’ante della cella, o veramente tutta la cella: dall’altra parte è un parapetto ornato con recinti, cornici e altre parti assegnate per ornamenti. Il qual poggio essendo eminente secondo il beneplacito dell’architetto, per un’ampia e lata scala di bracciali e parapetti ornata e altre parti, ad esso si perviene, come meglio appare per il disegno, perchè troppo lungo saria ogni particula per parole esplicare: sia adunque accettato il supplemento della pittura in quello che la lettera fusse difettiva5.

Perchè ad ogni eminente planizie del tempio per gradi si debba pervenire, al presente è da dichiarare le condizioni che a quelli si ricerca. È adunque da sapere che un grado del tempio totale è composto di più gradi parziali, i quali secondo l’antico rito devono essere di numero impari6, perchè quelli usavano cominciare il moto dell’ascensione loro col diritto piede e con quello finire: onde non possono essere meno di tre, sì perchè uno non è numero ma principio di numero, sì perchè è detto i gradi totali esser composti di più parziali. E benchè ai fedeli sia quasi proibito a queste superstizioni considerare e avere rispetto, niente di meno non è inconveniente usarli di numero impari, nel quale [p. 221 modifica]si afferma godere Dio, e molti teologi vogliono assegnare in tutte le cose create rilucere in certo modo un numero trino, il quale dai filosofi eziandio è tenuto perfetto, come continente in se principio, mezzo e fine. Ma posposte queste considerazioni, è da dichiarare la dimensione loro. Dico adunque che l’altitudine d’essi è la terza parte d’un piè, e la larghezza d’un piè e mezzo.

A maggior perfezione del tempio si può fare intorno un imbasamento con le proporzioni e parti che delle basi delle colonne di sopra è detto, di cui l’altezza debba esser quella d’una base d’una colonna imaginata dal fondo al primo recinto. Siccome il primo recinto o cornice tiene il luogo della detta imaginata colonna, ovvero misura del corpo, e benchè questa sia la debita sua grandezza, pure a libito dell’artefice si può minuire alquanto e accrescere, e per questo ho terminato col dimostrare proporzionale e geometricamente le commensurazioni de’ templi oblunghi ed angulati di più facce, siccome dal corpo umano derivati. Sia in prima il corpo in sette eguali parti diviso, togliendo la misura da tutta la testa, dipoi si tiri una linea dall’infima parte al sommo del cranio, e un’altra al pesamento de’ piedi, la quale si partirà in quattro eguali parti: dipoi si pigli una linea circolare dal sommo del cranio agl’ultimi testicoli, e un’altra dall’imbellìco agli estremi calcagni: dipoi si tiri due linee diagonie dalle ultime estremità della linea trapassanti il petto, e vengano alle due medie della base, dove fanno la loro intersecazione, ivi sarà l’altezza del vano della porta: e dove dette linee intersecano il penultimo partimento sarà il vano e larghezza d’essa porta. Dipoi partendo per rette linee dall’estremo petto al sommo della testa, si distribuirà in questo modo: dall’estremità del petto alla forcina della gola sia dell’epistilio, e da essa forcina all’estremità del mento sia dato allo zoforo, e da esso mento al sommo dei cigli alla corona ovvero cornice s’attribuisca, e il resto del cranio al frontespizio si rilasci: e perchè il tetto è cosa superiore, s’aggiunge una di dette parti, e dove nelle basse linee diagonie interseca l’ultima estremità del circolo l’altezza della base è da collocare. E perchè in queste facce sono diverse misure, supplendo col disegno, più innanzi non m’inoltrerò.

Note

  1. Resolutionum posteriorum, II, 7. De anima, II, 2. Metaphysicorum, I, 2.
  2. De officiis, I, 3.
  3. Vitruvio, lib. III, I. La proporzione superbipartienstertia è : 17 : 5 : dunque v’è sbaglio nel codice che dovrebbe leggere solo supertripartiens, che sarebbe : : 7 : 4. La sesquialtera è : : 3 : 2. I nomi oscuri e quasichè misteriosi dai quali era in que’ secoli ottenebrata l’aritmetica, meglio che da altri, spiegansi da Daniele Barbaro ne’ comenti al l. cit. di Vitruvio, da L. B. Alberti, e dal Valla nel trattato d’aritmetica inserito in quella enciclopedia che intitolò Expetendorum et Fugiendorum. Venezia, 1501.
  4. Posando questo periodo sopra una falsa interpretazione della voce antae, è inutile l’appuntare gli errori che ne derivano.
  5. Mancano tutti i disegni del vestibolo, portico, ante e poggio col qual ultimo nome l’autore intende il podio ossia ambulacro esterno ai templi.
  6. Vitruvio, (III, 3). Grado del tempio totale dicesi qui per quegli scaglioni altissimi che circondavano molti templi greci e che forzavano a framettere gradini minori.