Trattato completo di agricoltura/Volume II/Generalità sulle piante fruttifere/4
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cure di conservazione delle piante fruttifere.
§ 883. Le piante fruttifere esigono molte cure di conservazione oltre quelle che ogni pianta esige per la sua miglior condizione.
Le sarchiature sono utili, ma generalmente non si lavora convenientemente la terra del frutteto che in primavera, in seguito non si potrebbe sarchiare che troppo vicino alla pianta, perchè il terreno è occupato da ortaggi o da fiori; e così riuscirebbe di ben scarso vantaggio.
Il concime è utile ma non deve essere soverchio, perchè la pianta tenderebbe a mettere germogli da legno a scapito del numero dei fiori e dei frutti, i quali ultimi riuscirebbero poi di sapor meno aggradevole. In generale pei frutti dolci si darà la preferenza ai concimi ricchi di alcali; l’abbondanza delle materie organiche è piuttosto di danno che di vantaggio, fuorchè nel caso in cui si tratti di rinvigorire la pianta: epperò i concimi organici è meglio che siano bene scomposti acciò l’ammoniaca sia quasi tutta volatilizzata prima che vengano adoperati.
Importa poi riparare le piante dal soverchio ardore del sole e dalla siccità troppo prolungata. I raggi cocenti che battono sul tronco, singolarmente nei momenti secchi, fanno indurire la corteccia, la quale poi o impedisce il regolare sviluppo della pianta, o scoppia fendendosi per dar sfogo agli umori sotto di essa costretti; ambedue conseguenze che sono causa del deperimento della pianta, come si scorge frequentemente negli alberi disposti a spalliera. A prevenire questi effetti giova il distendere sulla scorza uno strato d’un miscuglio formato con calce e molta argilla; il ricoprire con paglia; oppure il riparare il tronco, se trattasi soltanto della parte inferiore, con una specie di tegolo di legno (fig. 230). Le spalliere sono inoltre soggette a deperire perchè ordinariamente disposte in posizioni nelle quali l’umidità evaporata supera l’umidità assorbita dalle radici; per il che spesso cadono de’ frutti, intristiscono i rami orizzontali e pendenti, ingialliscono le foglie, e la pianta sembra perire per debolezza o siccità. In tal caso in vece d’inaffiare al piede dell’albero, è meglio spruzzare con una pompa (fig. 231), le foglie della pianta due o tre volte per settimana verso sera, onde rendere più fluido l’umore, epperò più atto a percorrere facilmente tutta la pianta. Inaffiando al piede non si somministra l’umidità alle radicette che sono lontane, e queste poi finalmente non potrebbero continuare ad assorbire in proporzione. L’inaffiamento giova per le giovani piante, che non hanno per anco disteso di molto le radici; come talvolta giova il coprire la terra all’intorno con paglia o foglie, allo scopo di scemare l’azione dei raggi solari, e diminuire l’evaporazione.
Siccome poi molte fra le piante fruttifere sono di un clima più caldo di quello in cui vendono coltivate, amando tutti aver frutta di paesi sempre più caldi, perchè più dolci o saporiti, così avviene frequentemente che il freddo anche ordinario dell’inverno può recare gravissimi danni ai frutteti; come più sensibili li arrecano i balzi di temperatura che succedono in primavera nei climi temperati e continentali.
Al freddo jemale si potrà ovviare coll’impagliatura del tronco; col coprire di foglie o concime grossolano intorno ad esso, e fino ad arrivare ove giungano press’a poco le radicette; colle pagliate poste al dissopra delle piante, e coi ripari posti in modo che il sole non possa colpire la pianta immediatamente alla mattina, producendo un rapido e parziale disgelo nella parte illuminata. L’usare poi tutto od in parte queste precauzioni dipende dal criterio del coltivatore, il quale deve aver di mira la qualità delle piante da difendere e del clima in cui vegetano.
Ma se il freddo jemale può essere nocivo ed anche fatale a piante di clima più caldo di quello in cui vegetano, i tardi geli di primavera riescono sempre di grave danno anche alle piante indigene, e soprattutto a quelle con frutto a nocciuolo quali sono il pesco, il mandorlo, l’albicocco, ecc., i quali generalmente hanno una vegetazione precoce. Se queste piante sono all’aperto difficilmente si possono difendere fuorchè con coperture coniche; ma se sono disposte in ispalliera il proteggerle sarà più facile. Noi sappiamo come agisca la brina, e che se poniamo un tramezzo tra la pianta ed il cielo, s’impedisce l’irradiazione terrestre verso lo spazio e con ciò si evitano i tristi effetti di questa meteora. A tal uopo si possono fissare a conveniente altezza nei muri alcuni travicelli B (fig. 232), alquanto pendenti e che sporgano quanto le ramificazioni della spalliera, distendendo sopra questi delle pagliate A appena che incominci la vegetazione e mantenendovele finchè si temano le brine. Quando poi non si vogliano vedere anche durante l’estate i travicelli fissi nel muro, vi si potrà sostituire alcuni piccoli cavalletti A, C, D, (fig. 233), sostenuti per un uncino nel punto B. Sopra questi si distendono le pagliate, e quando queste si levano si tolgono pure anche i cavalletti. Quest’ultimo metodo serve meglio d’ogni altro potendosi facilmente cambiare l’altezza dei cavalletti a seconda della maggior o minor altezza delle ramificazioni della pianta.