Trattato completo di agricoltura/Volume I/Vinificazione/11
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modificazioni al vino.
§ 552. Finora vi ho parlato della vinificazione considerata in grande; ora vi parlerò di alcune modificazioni che si possono fare all’uva od al vino, onde comunicar loro alcune proprietà che naturalmente non avrebbero.
Le principali sorta di manipolazioni che si fanno all’uva ed al vino, si riducono al vino d’uva passa o santo, al vino spumante, al vino cotto, al vino d’uva marcia, ed a procurare che il vino si mantenga costantemente dolce.
§ 553. Il vino d’uva appassita, dicesi anche santo, forse perchè suol farsi al principio di novembre nel giorno d’Ogni Santi, o verso Natale. In qualunque modo, per far questo vino si mette in disparte della miglior uva, disponendola al coperto ed all’aria, sopra graticci o sopra qualche suolo asciutto ed assorbente. In tutto il tempo che sta in questa condizione deve essere mondata più volte, per togliere gli acini od i grappoli che fossero alterati o già marci. Perchè meglio si conservi, importa adunque che sia colta con diligenza, per non contunderla, nè lacerarla. Ben appassita l’uva, oppure, vedendo che dopo un dato tempo, essa, invece di perdere l’umidità, facilmente ammuffisce, si passa a pigiarla e spremerla colle mani, oppure si torchia immediatamente, come si farebbe coll’uva bianca. Il mosto che si ottiene si feltra grossolanamente con un panno a tessitura non molto fitta, onde separarlo dalle parti non liquide, le quali non farebbero che produrre un sedimento nella botte dove si ripone, mantenendovi uno stato d’alterazione e d’intorbidamento dannoso al vino.
La botte in cui si versa ii mosto feltrato d’uva passa deve essere ben cerchiata, con spina e cocchiume di piccole dimensioni, e che possano essere con apposito congegno tenuti ben saldi.
Riposto il vino nella botte, che vuolsi ricolmare perfettamente, si fissano e si chiudono bene la spina inferiore ed il cocchiume superiore, in modo che non penetri aria a destare una forte fermentazione nel mosto, e proceda così lentamente e si mantenga per elementi proprj. Ciononpertanto la botte si usa di grosso legname e ben cerchiata, onde resista all’espansione prodotta dai gas che vanno sviluppandosi nell’interno. Dopo quattro mesi circa (in marzo) si può svinare e riporre in bottiglie, poichè a quest’epoca la fermentazione è intieramente cessata, ed il mosto si è fatto vino e reso limpido.
Questo vino resta dolce ed alcoolico, perchè la fermentazione che subisce nella botte è assai lenta ed incompleta, non potendo continuare che per elementi propij ed a spese del proprio ossigeno, escluso essendo il contatto dell’aria esterna. Per ciò la decomposizione dello zuccaro non sarà completa, ed il glutine, quantunque non tutto reso allo stadio insolubile, pure giacerà sul fondo, inerte per insufficienza d’ossigeno; quindi, dopo il travaso, questo vino avrà un sapore dolciastro ed alcoolico, che a molti aggrada.
§ 554. Per avere del vino spumante basta mettere in bottiglie del vino che peranco non abbia terminata la fermentazione. Ma siccome il vino finchè fermenta non è limpido, così è indispensabile che venga feltrato. Vi sono però certi vini che possono spumare sebbene imbottigliati dopo di aver compiuta la fermentazione, e ciò avviene singolarmente negli anni d’uva non molto matura, e molto acquosa. Ma questo succede per effetto del glutine che ancora rimase nel vino, assieme a poca parte zuccherina; chè, in tali anni, la fermentazione essendo rapida e breve, cessa prima che interamente venga scomposto lo zuccaro e precipitato il glutine, il quale poi continua ad agire nel vino.
Allora questi vini, se sono in bottiglie e privi del contatto dell’aria, riescono spumanti appena che possano venire in comunicazione con essa, dando luogo ad una subitanea decomposizione di porzione dello zuccaro restante e ad un conseguente sviluppo di gas acido carbonico. Tal sorta di vini se invece rimanesse in larghi recipienti, ove l’aria potesse penetrare, terminata la decomposizione dello zuccaro, il glutine ossiderebbe l’alcool e lo cambierebbe in aceto.
Lo spumeggiare dei vini imbottigliati, appena che venga levato il turacciolo, dipende costantemente da una rapida decomposizione di zuccaro, e dallo sviluppo di gas acido carbonico, che facendosi strada attraverso il liquido, dà per effetto la spuma. Alcuni per rendere spumanti i vini, vi aggiungono all’atto d’imbottigliarli qualche poco di zuccaro, o qualche grano di frumento o d’orzo; e ciò allo scopo di supplire alla mancanza reale di zuccaro del vino. Lo zuccaro di canna, e l’amido dei cereali, che vi s’introducono, nel decomporsi, producono gli stessi effetti, cioè danno luogo alla formazione di gas acido carbonico.
§ 555. Il vino cotto era più in uso una volta che oggidì. Esso si ottiene col far bollire il mosto dell’uva in recipienti di rame ben stagnato, o meglio in recipienti di terra. Può farsi bollire direttamente al fuoco, ma è meglio il bagno maria. Col bollire, arrivando la temperatura a 100°, il glutine si ossida a spese dell’ossigeno del mosto, e rendendosi insolubile ed inerte, la fermentazione riesce impossibile, quando non vi si aggiunga altra materia fermentante, o quando il libero contatto dell’aria non agisca per lunghissimo tempo sulla massa.
Il vino cotto adunque resterà dolce e torbido, poichè senza la fermentazione non può farsi nè feccia, nè vino alcoolico, nè cappello. Perciò abbisognerà feltrare il liquido quando si voglia riporlo in bottiglie; nelle botti assai lentamente si rischiara anche senza la feltrazione.
Questa sorta di vino noti è molto aggradevole, poichè colla cottura contrae un sapore medicinale, che perde difficilmente. Spesso è nocivo per qualche sale di rame che vi si combinò durante la bollitura; sempre poi è insalubre, come lo sono tutte le bibite di questo genere che non abbiano fermentato.
§ 556. Il vino d’uva marcia è sempre vino d’uva marcia. Qualche volta pigiando la mondatura ammuffita dell’uva che si fa appassire, si ritrae un mosto dolciastro, di color giallo oscuro, che, feltrato e lasciato in bottiglie, talvolta acquista un sapore come di vino di Malaga. Ma lo stomaco, che è miglior giudice del palato, prova sempre che è insalubre, e che val meglio convertirlo in aceto.
§ 557. Si può mantenere dolce il vino imbottigliando il mosto ancor dolce ma feltrato, e ponendo le bottiglie ben chiuse e catramate a bollire nell’acqua per un quarto d’ora. Con tal mezzo il glutine si ossida a spese dell’ossigeno del mosto, si deposita allo stato insolubile, ed il vino resta dolce, non potendo la sua parte zuccherina convertirsi in alcool per mancanza di fermento attivo.