Trattato completo di agricoltura/Volume I/Dei cereali/30

Terreno, concime, acqua

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terreno, concime, acqua.

§ 733. Il riso non isdegna anche un terreno magro, purchè non troppo freddo. Sebbene questa pianta viva nell’acqua, ha però bisogno che il terreno possa riscaldarsi nei tempi opportuni, cioè avanti la semina, chè diversamente la germinazione sarebbe tarda, difficile, ed ineguale, ed avanti la fioritura quando è costume di asciugare i risi perchè aquistino robustezza, il che certamente serve anche a riscaldare il terreno, e così rimediare ad una casuale deficienza nella somma di calor atmosferico.

Egli è perciò che i terreni paludosi sono i meno produttivi, quantunque la risaja sia l’unica coltivazione possibile. Il terreno che meglio conviene al riso trovasi essere il calcare-argilloso-siliceo e l’argilloso-siliceo-calcare; nei terreni vegetali il riso fa molta paglia, ma la spiga spessissimo [p. 720 modifica]abortisce; solo il riso mellone vi resiste meglio d’ogni altro perchè di stelo assai robusto. Nei terreni pingui il riso non produce a proporzione, pel motivo che troppo lussureggia in parte erbacea.

Il concime migliore per le risaje, specialmente dove sia coltivato già da qualche anno, è certamente l’aggiunta di una certa quantità di terra che non abbia per anco servito a questa coltivazione, come sarebbe lo spurgo de’ cavi, la spazzatura delle strade, ed anche la terra magra. La risaja, essendo continuamente inondata durante la vegetazione del riso, facilmente viene spogliata dai sali inorganici solubili, i quali col tempo e col calor dell’acqua stagnante sono disciolti e messi a profitto della nutrizione del riso. Ora, l’aggiunta d’una certa quantità di terra restituirà alla risaja altri sali solubili inorganici, quantunque non fornisca sostanze azotate; tale è la spiegazione che può darsi ai benefici effetti prodotti dallo spandimento di terre magre, dette vergini, provenienti dagli abbassamenti d’altri campi, le quali, usate nelle coltivazioni asciutte, vengono considerate come sterili, perchè non cederebbero che una piccolissima porzione di detti sali.

Perciò vedesi il riso succedere utilmente alle coltivazioni asciutte, con poco o nessun concime, poichè la stabile irrigazione gli mette a profitto quei sali che difficilmente scioglievansi a vantaggio di quelle. Il riso poi esigendo pochissime sostanze azotate, facilmente le ritrova in qualunque terreno, o come residuo di altre coltivazioni, o qual deposito di materie organiche avvenuto nella stessa risaja, per la decomposizione delle erbe inutili e delle stoppie, o per la putrefazione di moltissimi insetti morti al momento che s’asciuga la risaja.

Ciononpertanto, dopo il secondo od il terzo anno sarà bene concimare la risaja con letame grossolano di stalla, colla calce in polvere sparsa sui solchi delle arature anticipate di primavera; ed anche colle ceneri e coll’urina frammista a terra, e coi concimi liquidi sparsi all’epoca dell’asciutta di maggio o di giugno, ben inteso nei primi giorni onde abbiano tempo di penetrare nei terreno avanti che vi si rimetta l’acqua. L’uso dei concimi liquidi nelle vecchie risaje all’epoca della prima asciutta, dovrebbe esperimentarsi un poco più in grande di quanto alcuno lo pratichi oggidì, persuaso che tale operazione deve compensare abbondantemente la spesa.

Alla qualità del terreno e del concime in questa coltivazione [p. 721 modifica]devesi eziandio aggiungere quella delle acque d’irrigazione. Per la risaja l’acqua non si deve considerare soltanto qual mezzo riparatore della siccità, ma anche qual condizione necessaria alla sua esistenza. Risaje senza acqua non se ne danno o non convengono, ed anche nelle risaje irrigate in ruota abbisogna che la diminuzione dell’acqua sia dovuta piuttosto all’evaporazione naturale che al disperdimento pel terreno, e si esige una ruota tanto più breve quanto maggiore può essere il disperdimento e l’evaporazione. Dal vivere del riso nell’acqua si scorge, come già dissi, ch’esso abbisogna di sostanze solubili, e queste dover esser di tal sorta che le piogge e la semplice irrigazione non bastano a render tali. Finalmente il riso abbisognando di circa 2700° gradi di calore, è necessario che l’acqua non lo sottragga all’influenza del calor atmosferico.

Egli è perciò che le acque considerate le migliori pei prati nell’irrigazione estiva sono pur quelle che meglio convengono alla risaja. Epperò poco o nulla adatte saranno le acque fredde appena derivate da fiumi a corso rapido, o verso la loro scaturigine, e quelle dei fontanili: buone saranno quelle tolte a grandi bacini d’acqua, quali sarebbero quelle dei laghi, e quelle dei grossi cavi a lento corso; e migliori di tutte le colature adoperate più presto che si può, poichè queste, oltre all’essere ricche di materie levate ai campi superiori, riescono essenzialmente le più calde.

Riguardo poi alla qualità del terreno, delle acque e del concime, nonchè per riguardo alla rotazione, le risaje prendono varj nomi, i quali facilitano l’intelligenza delle loro diverse circostanze e della diversità delle cure che esigono. Diconsi perciò Risaje da vicenda o di rotazione, quelle che seguono le coltivazioni asciutte, di solito dopo tre o cinque anni di spianata, e durano dai due ai tre anni, secondo le circostanze e la ruota prestabilita. Le risaje da vicenda diconsi nuove nei primi due anni e si possono considerare come vecchie dopo il terzo. Risaje stabili sono quelle che per circostanze particolari non si alternano, o ben di rado, con altri prodotti asciutti. Chi per esempio gode di poca acqua farà bene a tener risaje da vicenda, e non potrebbe fare diversamente; chi invece abbia i suoi campi in posizione tale da ricevere abbondanti colature dei superiori, farebbe assai male a non utilizzarle, molto più che tali campi sarebbero freddi e sortumosi per la vicina superiore ed estesa coltivazione a riso. Vi sono [p. 722 modifica]delle proprietà che tengono un quinto del terreno a risaja, ed altre 1/4, 1/3, 1/2, 3/5 e persino 3/4 a riso. Certo è che una buona rotazione non permetterebbe che si coltivasse più di 1/3 a riso, perchè in questo caso i concimi degli altri 2/3 verrebbero concentrati sopra un sol terzo del fondo con vantaggio delle coltivazioni asciutte, e si potrebbe stabilire la seguente ruota, dividendo il fondo in nove porzioni, come è in uso in molte località della provincia di Milano, Pavia e Lodi.

1.° Frumento od altro cereale, da convertirsi a spianata.

2.° Spianata concimata.

3.° Spianata concimata.

4.° Spianata, o lino, o ravizzone, poi melgone quarantino.

5.° Riso.

6.° Riso.

7.° Riso.

8.° Melgone con poco o nessun concime.

9.° Melgone concimato.

Una maggior estensione data al riso, che a prima vista sembra possa produrre un maggior concentramento dei concimi, riuscendo a scapito della produzione dei foraggi, ne diminuisce all’incontro la massa, e per conseguenza nuoce alla fertilità delle terre.

Ciò non pertanto vi sono delle località le quali, come già dissi, trovansi in circostanze tali da dovere pel maggior utile convertire a risaja la metà e persino tre quarti del loro fondo, perchè in posizione da ricevere le abbondanti e calde colature de’ fondi superiori, che non sarebbe utile di fugare finchè il prezzo del riso si mantiene superiore a quello del frumento, e finchè il terreno della risaja non sia tanto spossato da rendere meno di trenta ettolitri di riso vestito per ogni ettaro.

Egli è però evidente che, coll’andar del tempo i fondi quasi intieramente convertiti a risaja non potendo produrre sufficiente foraggio pel mantenimento di tanto bestiame che produca letame bastante da concimare largamente almeno un terzo del fondo ogni anno, dovranno scapitare di valore, quando per qualche circostanza non convenisse più la coltivazione dei riso. Simili fondi daranno buoni prodotti ancora forse per due anni, ma dopo esigerebbero una completa ed abbondante concimazione.

Risaje vallive, paludose, o da zappa. Il vero o più importante vantaggio che s’introdusse colla coltivazione del riso, fu quello di poter utilizzare per l’agricoltura molti terreni che [p. 723 modifica]dapprima rimanevano improduttivi perchè paludosi, e, come tali, anche eminentemente mal sani quali causa di mal’aria. Nella Lombardia moltissimi di questi terreni, appena che potessero presentare una pendenza tale da sperarsi uno sfogo alle acque, furono ridotti a risaja; ed a motivo della loro posizione valliva o paludosa si dissero risaje vallive o paludose, ed anche da zappa, perchè difficilmente vi si possono introdurre bestie da lavoro, cedendo di troppo il terreno sotto il loro peso, e dovendo perciò accontentarsi il coltivatore di lavorarle colla zappa il meglio che può.

Queste risaje sono stabili perchè non si possono convertire ad altro prodotto se non quando se ne possa rialzare il fondo, o procurare un rapido sfogo alle acque. Generalmente sono poi anche le meno produttive essendo di terreno troppo freddo, e non potendosi mai perfettamente asciugare durante il verno nè all’epoca ordinaria dell’asciugamento. Il miglior modo per render produttive queste risaje è quello di condurvi ogni anno della terra, quantunque magra, onde lentamente rialzarne il livello e rendere più compatta la cotica troppo spugnosa; giova altresì nel verno lo spandervi la calce od il concime non troppo grossolano da stalla. Una cura principale che devesi avere per migliorare queste risaje è quella di tener liberi i canali di scolo, procurando ogni anno di abbassare il livello dei fossi di scolo in confronto di quello del fondo.